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martedì 22 marzo 2011

"Italieschi, Italioti o Italiani?" di MARCELLO SAVINI

Sulla tormentata, inquieta e inquietante adesione degli italiani ai festeggiamenti per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia, invio qualche mia riflessione di cittadino avanti negli anni, fiero(?) di essere italiano e desolatamente triste per la ancora massiccia presenza di italieschi, cinici, furbi, tifosi dei potenti, allegramente nuotanti nell'ignoranza, miopi cultori della piccola patria paesana. Con appendice di italioti affetti dal morbo del revisionismo più becero e di italieni vaganti nel vuoto di idee. Sia chiaro: l'entusiamo acritico per il Risorgimento è risibile, perché non mancarono miserabili machiavellismi, calcoli meschini, atti di sopraffazione, mosse interessate di paesi stranieri, ma su tutto prevalse la passione ideale e generosa di tantissimi giovani che aspiravano a non essere più sudditi, e a diventare cittadini di uno Stato moderno e liberale (le cose poi andarono diversamente e ancora oggi traballano). E vi furono guide carismatiche, come Giuseppe Garibaldi, che accesero il cuore e la mente di un popolo disperso che non aveva nome, se non nella dimensione letteraria e artistica. La Repubblica Romana del 1849, che ebbe due ministri lughesi (Giacomo Manzoni e Silvestro Gherardi) fu, con l'impresa dei Mille, l'evento col più alto tasso di democrazia di tutto il Risorgimento. Da mesi si pubblicano libri di storici e di giornalisti che analizzano il nostro Risorgimento sotto tutti i profili e ad essi rimando. Qui mi preme sottolineare alcuni fattori che hanno reso alquanto debole il sentimento di italianità. Il regime fascista, che per vent'anni suonò la grancassa della nazione, della patria, della bandiera tricolore, in realtà fu ladro non solo di libertà, ma anche dei simboli della libertà: si appropriò del fascio, che era stato il simbolo di coesione e unità dei giacobini, si appropriò della storia dell'antica Roma illudendosi di rinnovellarla con fasti di cartapesta e con funeste avventure belliche, si appropriò di Balilla, l'ardito ragazzino genovese, per farne il prototipo del giovane italiano pronto a credere, obbedire e combattere, operò un mostruoso coniugio fra il mazziniano "pensiero e azione" e il mussoliniano "libro e moschetto". Insomma il fascismo fu ladro di patriottismo. Questo sentimento, nella sua alta e genuina espressione, si manifestò nella Resistenza antifascista, autentico Secondo Risorgimento, ma poi si snervò, s'infiacchì. E' sintomatico che nel 1967, quando in molti luoghi d'Italia dove il Partito Comunista Italiano organizzò celebrazioni per il 50° anniversario della rivoluzione bolscevica, fu intonato il canto dell'Internazionale più entusiasticamente dell'Inno di Mameli. Erano i tempi ancora del mito sovietico, che via via è andato scemando e oggi finalmente anche la sinistra postcomunista ha riannodato i fili col Risorgimento (a mio parere, la denominazione delle brigate garibaldine del '43-'45 e il simbolo del Fronte Popolare con la faccia di Garibaldi nelle elezioni politiche del 1948 obbedivano a comprensibili ragioni contingenti di natura eminentemente politica ). In sostanza, la cultura marxista, internazionalista e duramente avversa al fascismo, mise la sordina al sentimento nazionale. Sul fronte opposto, la Chiesa se ne stava soddisfatta dei Patti Lateranensi del '29 e il virus del clericalismo smorzava ogni vampa di italianità anche in ampi settori della DC. I liberali, i repubblicani e i socialisti avevano globuli tricolori, ma erano vasi di coccio. Infine il MSI emetteva stanchi rantoli patriottardi. L'Italia civile, l'idea di progresso che va da Beccaria e Compagnoni a Gobetti e Carlo Rosselli e Galante Garrone, continuava a restare nel limbo. Ne uscirà mai? E oggi? E' sperabile che, grazie anche all'azione propulsiva di due grandi presidenti della Repubblica Italiana, Azelio Ciampi e Giorgio Napolitano (un ex-azionista e un ex-comunista migliorista) lo spirito di italianità si allarghi, non resti confinato negli stadi di calcio, quando gioca la Nazionale. Per parte mia, mi auguro che esso non venga oscurato dai raggi neri del sole delle Alpi né dalle corna, dai cucù, dalle insipide facezie, dai baciamano rivoltanti, dalle tariffe di Hardcore, insomma da una visione dell'Italia come uno sfavillante bordello, né dai velenosi e velleitari saggi di settori nostalgici dell'era costantiniana e dell'antico regime. di Marcello Savini

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