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Sala conferenze - Hotel Ala d'Oro

Via Matteotti, 56 - 48022 Lugo di Romagna - (Ravenna) - Italia
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sabato 28 novembre 2009

Lunedì 30 novembre - "La creta di Da Ponte e il soffio di Mozart" serata conviviale con UGO ZOLI

“La creta di Da Ponte e il soffio di Mozart” questo il titolo della serata conviviale che lunedì 30 novembre alle ore 20,30 all’Hotel Ristorante Ala d’Oro, concluderà gli incontri del mese di novembre di Caffè Letterario. Appuntamento quindi dedicato alla grande musica lirica e in particolare al celeberrimo Wolfgang Amadeus Mozart e al suo geniale librettista Lorenzo Da Ponte. "Le nozze di Figaro", "Don Giovanni", "Così fan tutte": la nota trilogia musicale di Mozart ha avuto alle spalle questo grande poeta italiano. Un'esistenza avventurosa, quella di Da Ponte, vissuta tra debiti, gioco d'azzardo, donne, anticonformismo, teatro, che lo portò, fra continui rovesci di fortuna, a morire a New York nel 1838 all’età di 89 anni. A parlarci di questi due giganti del XVIII secolo, sarà Ugo Zoli che dopo le conferenze su Svevo, Pirandello, Leopardi e Goethe, torna a Caffè Letterario per un’altra delle sue imperdibili lezioni, coadiuvato anche, in questa occasione, dalla proiezione di brani tratti da versioni cinematografiche delle tre opere. E' la fede degli amanti come l'araba fenice: che vi sia ciascun lo dice; dove sia, nessun lo sa. Se tu sai dov'ha ricetto, dove muore e torna in vita, me l'addita, e ti prometto di serbar la fedeltà. (da "Così fan tutte") Questo il menù della serata: Aperitivo al buffet Paiella alla valenciana Gelato al limone e vodka Caffè €.20,00 per persona, bevande incluse. E’ necessaria la prenotazione - Tel. 054522388

La serata con GABRIELE NISSIM

Grande successo di pubblico con oltre cento persone presenti ieri sera nell’Aula magna del Liceo Classico di Lugo per la presentazione del libro “Una bambina contro Stalin” di Gabriele Nissim. Sul palco dei relatori, oltre allo scrittore milanese erano presenti Silvia Golfera e Gilberto Zappitello, che hanno introdotto la serata, e Piero Facchini a far gli onori di casa. La serata, organizzata in collaborazione con l’Università per Adulti di Lugo, si è conclusa anche questa volta con il tradizionale brindisi finale affidato in questa occasione al bianco siciliano “Anthilia” della cantina Donnafugata di Marsala.

Ecco le immagini della serata

lunedì 23 novembre 2009

Venerdì 27 novembre - GABRIELE NISSIM a Caffè Letterario

Venerdì 27 novembre alle ore 21,00 nell’Aula Magna del Liceo Classico di Lugo, nuovo incontro di Caffè Letterario dedicato alla storia del XX secolo con lo storico Gabriele Nissim che presenterà il suo ultimo lavoro edito da Mondadori “Una bambina contro Stalin”. La serata, organizzata con la collaborazione della “Università per Adulti di Lugo”, sarà introdotta da Silvia Golfera e Gilberto Zappitello e si concluderà con il consueto brindisi con i vini in degustazione.
Mosca, 1937. Un regista, autore di documentari di propaganda socialista, viene prelevato dagli uomini dell'Nkvd, la polizia segreta, negli studi cinematografici in cui lavora e di lui non si sa più nulla. Si tratta di Gino De Marchi, un militante del Partito comunista italiano, che nel 1921 si è trasferito dalla provincia piemontese in Unione Sovietica. Non è il suo primo arresto; già nel 1921, ingiustamente accusato di essere una "spia dell'Italia fascista", era stato incarcerato, ma grazie all'intervento di Antonio Gramsci, suo intimo amico, dopo un anno e mezzo era tornato in libertà. Questa volta l'imputazione è la stessa, l'esito però è completamente diverso. Sottoposto a incalzanti interrogatori, De Marchi continua a negare di aver svolto attività di spionaggio, ma senza subire alcun processo è condannato alla pena capitale. Luciana, la figlia tredicenne, lo aspetterà per anni, dedicando l'intera esistenza alla sua ricerca e alla difesa della sua memoria. Gabriele Nissim, che ha incontrato Luciana De Marchi numerose volte a Mosca e a Fossano e ha potuto leggere le lettere e le carte private da lei conservate, ricostruisce con dovizia di particolari una straordinaria vicenda umana che la storiografia ufficiale ha finora ignorato, affrontando una realtà per molti aspetti ancora poco conosciuta, quella dei comunisti italiani in Unione Sovietica durante il regime staliniano; uomini e donne di cui non va perso il ricordo perché "l'esercizio della memoria è un'arte molto raffinata. Chi riesce a farne un uso prezioso può cambiare la percezione della storia". Gabriele Nissim, nato a Milano nel 1950, si è sempre occupato della realtà culturale e politica dell'Europa orientale. Nel 1982 ha fondato L'Ottavo Giorno, rivista italiana dedicata ai temi del dissenso nei paesi dell'est europeo realizzando fra l’altro numerosi documentari per le reti televisive di Canale 5 e della Svizzera Italiana sull'opposizione clandestina al comunismo, sui problemi del post-comunismo e sulla condizione ebraica nell'Est. Per Mondadori ha pubblicato nel 1995 “Ebrei invisibili. I sopravvissuti dell’Europa orientale dal comunismo ad oggi”, nel 1998 “L’uomo che fermò Hitler. La storia di Dimitar Peshev che salvò gli ebrei di una nazione intera”, nel 2003 “Il tribunale del bene. La storia di Moshe Bejski, l’uomo che creò il Giardino dei Giusti”.

"Almeno lui..." di Claudio Nostri

Sull'incontro con LEONARDO COLOMABATI di venerdì 20 novembre Speravo che lui, almeno lui non l’avesse fatto. E invece anche lui, l’Avvocato per eccellenza, uno dei più grandi industriali del vecchio continente, il simbolo del capitalismo italiano, l’amico di Kennedy, Kruschev, Rotschild e Fidel Castro, insomma il vero Re d’Italia, in punto di morte, negli ultimi giorni della sua vita, minato dal male che lo sta divorando, ebbene sì… si pente! Che delusione! Va detto subito, ad onor del vero, che nel libro di Colombati non si tratta di un vero e proprio pentimento cristiano, benedetto da una sincera e contrita confessione sussurrata negli orecchi di un povero fraticello in odore di santità, ma piuttosto sembra aver la forma quasi di un’ultima pratica burocratica da sbrigare, dettata di fronte a un distinto porporato, come del resto si conviene a un moribondo del rango di Gianni Agnelli. La delusione vera è vedere l'Avvocato sofferente in un letto, macerato dai ricordi del passato, sovrastato da un groviglio di dubbi e di rimpianti, terrorizzato dalla morte perché consapevole di aver lasciato tanti conti in sospeso e soprattutto immaginarlo così disperato quando, ormai troppo tardi, si rende conto, illuminato da una visione folgorante, che l’unica cosa che ha valore nella vita è l’amore che abbiamo saputo dare agli altri. Mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Ora io non conosco bene la biografia dell’Avvocato ma mi pare di ricordare che nella sua vita non si sia macchiato di azioni criminose particolarmente efferate né tantomeno sia mai stato punito in maniera esemplare da quell’unica giustizia che ci dovrebbe riguardare, cioè quella degli uomini. D’altro canto l’essere a capo di un impero economico di così grandi dimensioni l’avrà costretto, o per lo meno spinto, a scelte e decisioni discutibili, talvolta forse ai margini della legalità e tante volte certamente assunte con quel pragmatico “pelo sullo stomaco” che sembra essere una caratteristica abbastanza comune fra i capitani d’industria. Più o meno quello che capita, facendo le dovute proporzioni, alla stragrande maggioranza dell’umanità. E poi l’amore… famosa la frase che molti biografi gli attribuiscono e che viene ricordata, spesso con un moto di repulsione, per ribadire la sua aridità sentimentale: «L’amore? È una cosa da cameriere». Be’ in una società dove la parola amore è usata quasi sempre a sproposito, dai “tre metri sopra il cielo” ai bassifondi dove allignano romantici pseudo-vampiri, per non parlare della televisione e dei suoi piagnucolanti programmi sul tema, insomma, mi sembra che sia quasi una frase intelligente. Non tanto lontana da quello che sull’argomento diceva Gesualdo Bufalino: «L'amore è un sentimento inventato: ciò che conta è il gioco della seduzione, il rituale di piacere a qualcuno». Dall’altro lato penso invece che il Signor Fiat sul suo letto di morte fosse consapevole della straordinaria vita che il fato gli aveva dato in sorte. Un’esistenza dalle possibilità praticamente illimitate. L’aver avuto l’opportunità di poter assaporare tutte le dolcezze della vita ai massimi livelli, dal cibo, ai viaggi, alle donne per non parlare degli incontri e delle amicizie coi personaggi più importanti della politica, della cultura, dello spettacolo. Mi piace pensare allora che l’Avvocato nei suoi ultimi momenti di lucidità, visitato da lugubri fantasmi ultraterreni che gli intimavano di pentirsi abbia semplicemente risposto come il grande Don Giovanni: No! di Claudio Nostri

sabato 21 novembre 2009

La serata con LEONARDO COLOMBATI

Più di cinquanta persone hanno assistito ieri sera alla presentazione del libro “Il Re” dello scrittore e giornalista romano Leonardo Colombati, edito da Mondadori pochi mesi or sono. A fare gli onori di casa e a introdurre la serata, sul palco di Caffè Letterario insieme all’autore, Marco Sangiorgi curatore della nostra rassegna letteraria. Un gradito ritorno quello di Leonardo Colombati a Caffè Letterario dove proprio un anno fa in una affollatissima conferenza concerto, coadiuvato dalla band di Lorenzo Miami Semprini, presentò il suo saggio “Bruce Springsteen. Come un killer sotto il sole” dedicato ai testi ed alla musica della grande rock star americana. Serata assolutamente letteraria, invece, quella di ieri sera, dove Colombati ci ha parlato del suo ultimo romanzo imperniato sulla figura di Gianni Agnelli. “Questo romanzo non è una biografia – ha subito precisato Colombati - ma il racconto della morte di un uomo che è sempre stato e si è sempre percepito diverso, unico, superiore. Come un Re.” Un racconto quindi che è frutto della fantasia dello scrittore che immagina l’Avvocato mentre rivede i fasti, le tragedie, le sfide vinte e le guerre perse della sua vita; rivede gli amici, gli amministratori dell’azienda di famiglia, gli eredi, (primo fra tutti l’erede mancato, il nipote Giovanni, morto a 33 anni). “In realtà — ha detto Colombati — Agnelli era un personaggio molto complesso, con un codice di comportamento che potrebbe essere semplicemente il frutto di un’educazione a non esternare nulla o, al contrario, la maschera di un uomo superficiale. Per questo mi interessava capire che cosa succede a un uomo che soltanto quando è troppo tardi si rende conto che ciò che rimane dopo di noi è l’amore che abbiamo dato a chi ci sta vicino». Non male per un uomo a cui i suoi biografi hanno attribuito questa frase “L’amore? È una cosa da cameriere”. Centrale nel racconto anche la figura del figlio Edoardo morto suicida nel 2000, che come fa dire Colombati ad Agnelli “era un ragazzo dolcissimo, sicuramente troppo fragile per andare d’accordo con un genitore per cui la migliore educazione possibile è quella della scuola militare.” Alla difficile relazione col figlio si lega la figura del giovane cameriere Giorgio, personaggio di pura invenzione, che sembra l’unico a capire la brutalità della morte imminente e a cui Agnelli affiderà il suo pentimento. Finale di serata con il consueto rito degli autografi e col brindisi affidato questa volta al Prosecco della cantina veneta Mionetto.

mercoledì 18 novembre 2009

Venerdì 20 novembre - LEONARDO COLOMBATI a Caffè Letterario

Venerdì 20 novembre alle ore 21,00 nella sala conferenze dell’Hotel Ala d’Oro, nuovo appuntamento di Caffè Letterario con lo scrittore romano Leonardo Colombati che presenterà il suo ultimo romanzo “Il Re” edito da Mondadori. A condurre la serata, che si concluderà con l’abituale degustazione di vini offerta a tutti i presenti, sarà il curatore di Caffè Letterario Marco Sangiorgi.Un gradito ritorno quello di Leonardo Colombati a Caffè Letterario dove proprio un anno fa in una affollatissima conferenza/concerto, coadiuvato dalla band di Lorenzo Miami Semprini, presentò il suo libro “Bruce Springsteen. Come un killer sotto il sole” dedicato ai testi ed alla musica della grande rock star americana. In questa occasione lo scrittore romano presenterà il suo ultimo romanzo “Il Re”, edito da Mondadori pochi mesi or sono, imperniato sulla figura di Gianni Agnelli, uno dei personaggi più affascinanti del Novecento italiano e non solo, un sovrano appunto, che ha regnato sull'economia e sulla vita pubblica della Penisola così come sul nostro immaginario. Il personaggio Agnelli (inteso soprattutto come “fantasma psichico” creato da Colombati) è raffigurato nel limbo che separa il mondo dei vivi da quello delle anime, sospeso a galleggiare in un presente liquido punteggiato da flash-back. Negli ultimi giorni della sua vita, minato da un male che non lascia scampo, l’Avvocato giace nel suo letto, pensa, ricorda, soffre, tira le somme: non è un bel bilancio, è un bilancio di frivolezze, di sconfitte, di fughe. «Gianni Agnelli è una figura che mi ha sempre affascinato — spiega Colombati —. Ho sempre letto molto su di lui. Per quasi quarant’anni è stato il simbolo di una certa Italia da esportazione, ha incarnato il capitalismo familiare italiano, ha attraversato, con la Fiat, tutte le vicende politiche importanti del nostro Paese. Ma nel libro non è questo che volevo raccontare. Mi interessava la vicenda umana di un vecchio ricchissimo terrorizzato dalla sua morte imminente perché consapevole di aver lasciato molti conti aperti. Entrare nella testa di quest’uomo è stata la mia sfida.»Gianni Agnelli, l' "Avvocato", il "Signor Fiat", l'uomo che ha rappresentato il volto del capitalismo italiano di gran parte del Novecento morì nel gennaio del 2003 per una malattia incurabile. La rivista francese Paris Match scriveva di lui che ricordava l'effigie di un condottiero e il magazine americano Life intravedeva in lui la fisionomia di Giulio Cesare. Il suo volto era finito sulla coperti¬na del settimanale Newsweek, sopra un titolo che recitava: "Il primo industriale d'Europa". Il regista Federico Fellini disse che aveva l'aspetto di un re. Era stato amico di John Kennedy e Nikita Krushev, di Rothschild e Fidel Castro, e di Truman Capote.
Leonardo Colombati è nato a Roma nel 1970. Il suo primo romanzo, Perceber (Sironi 2005), è stato salutato come uno degli eventi più significativi nella letteratura italiana contemporanea. Il secondo, Rio, è uscito nel 2007 per Rizzoli. Redattore di «Nuovi Argomenti», collabora con «Il Giornale» e «Vanity Fair». «Tutto il saper stare al mondo di un uomo che ha avuto ogni cosa dalla vita non ba­sta a saper morire con dignità . Lui lo sapeva e ne era terrorizzato.» Leonardo Colombati, "Il re"

Nota Patafisica "Soluzione immaginaria al problema dell'immigrazione" di IVANO NANNI


Nota Patafisica di Ivano Nanni
Figuri della Padània:
il Partenopeo celtico:
Genere ibrido
Appartenenza
grammaticale-sintattica:
Ossimoro vivente.
Soggetto culturalmente complesso, spesso irrisolto. In bilico tra due culture. Definizione dal Grande Dizionario Italiano-celtico: “tutti coloro che dal Sud sono migrati al Nord e ivi si sono insediati. Soggetti con identità ibrida, integrati a vari livelli. Soggetti in transizione da un luogo all'altro, da una cultura all'altra. Alcuni più integrati di altri parlano fluentemente la lingua del luogo; in questi soggetti si può dire che la mutazione si è risolta completamente, altri, per un rigetto verso l'ambiente hanno mantenuto pressoché intatti usi, costumi, e linguaggio delle terre d'origine. Soggetti trans-topici. Migranti da un luogo all'altro senza arrivare da nessuna parte. Impossibilitati a tornare indietro, e non disposti ad andare avanti. Sono a metà del guado. Mutanti, ma fino a un certo punto."
Il partenopeo celtico, si configura allora come un mutante, una figura in migrazione da una topografia culturale all'altra. È un trans-gender di luogo che mantiene due anime in equilibrio in una forma di dissolvenza incrociata mai risolta. È un ibrido, come da definizione, un soggetto con manifesta ipersensibilità ambientale e che può sviluppare atteggiamenti aperti all'integrazione oppure al contrario diventare indifferente al luogo, rimanere chiuso in se stesso in una crescente malinconia eccessivamente meditativa, molto dubbiosa, quasi sempre deprimente, o all'eccesso diventare palesemente ostile, verso persone, luoghi, simboli del posto manifestando perciò apertamente il suo disagio. Dal momento che ci stanno a cuore i destini del nostro beneamato paese è quanto mai opportuno promuovere in tutte le sedi, momenti di integrazione culturale, contribuendo a vivacizzare lo scambio di opinioni su problemi relativi alla convivenza e alla tolleranza e, considerato che crediamo che non esistano integrazioni possibili calate dall'alto dei cieli, ma pensiamo che tutti gli atti ragionevoli e di buona convivenza derivino da atti minimi e fondamentalmente da dettagli, azioni concrete, aperture improvvise, amori e colpi di fulmine, si può e si deve consigliare ai nostri amici del sud cosa fare per una migliore integrazione nelle fredde terre del Nord. Presupposto per una buona integrazione è, innanzitutto, il tempo. Ce ne vuole un bel po'. Non si può pensare di integrarsi in un ambiente che non si conosce in due e due quattro. Non è possibile. Anzi a questo proposito si deve notare che quelli che non sono più trans-topici, quelli che hanno risolto il loro ibridismo diventando a tutti gli effetti, celtici partenopei, sono decenni che vivono al nord. Hanno sviluppato sensibilità e curiosità verso i luoghi che li hanno accolti, hanno studiato la lingua, hanno apprezzato gli usi e costumi dei locali, sviluppando una rete di conoscenze e amicizie che hanno favorito il cambio di polarità, l'inversione di tendenza consolidando la nuova appartenenza. I celtici partenopei, gli integrati al massimo livello, hanno raggiunto la perfezione genetica dopo venti, trenta, quarant'anni di permanenza nelle brume delle Padània ricevendo da queste terre fredde nuove fonti di ispirazione. L'integrazione diventa integrale e inequivocabile quando: 1-si è assimilata la cucina del luogo, 2-si tifa per la squadra della città dove si vive, 3-ci si esprime nella lingua dei locali, 4-si vota per la Lega. Esempio di perfetto integrato. Vive in Lombardia. Tifa Atalanta. Una domenica sì e una no è presente alla stadio di Bergamo insieme al capo della tifoseria Calderoli e alla truppa leghista a tifare per la squadra del cuore. La sua stanza è arredata con cura. Sciarpe e gagliardetti dell'Atalanta pendono dalle pareti. In una sacca di cuoio nero ci sono gli scalpi dei tifosi avversari, specie quelli del Napoli. L'urlo di guerra del celtico partenopeo raggela e impressiona i suoi nemici del sud. Vicino a un poster della squadra, nel frigo bar, dentro a un vaso dove prima c'erano ottime pesche sciroppate ora ci sono le palle dei nemici che ha incontrato allo stadio. Galleggiano nell'alcool da anni. Sono diventate bianche, diafane, e in controluce sono di una trasparenza opalina. Si è convertito ai tortelli di zucca. Parla il bergamasco della Val Brembana.



"il perfetto integrato"
collage di
Carmine Della Corte
















Esempio di semi-integrato.
Vive in una qualunque delle regioni del nord. Il soggetto semi-integrato si riconosce solo in alcuni dei quattro capisaldi che sono alla base dell'inversione di polarità. Se ne sta a metà del guado, è perplesso, dubbioso, riflessivo e ostinato. La sua posizione, in bilico tra due sponde, lo rende precario, incline ai funambolismi, predisposto all'eclettismo iperbolico. Sono soggetti migranti, posizionati in quella particolare area da cui possono scendere o salire nella scala di valori. Possono cioè diventare o completamente integrati, o apertamente ostili all'integrazione. Sono la categoria più complessa e sono suddivisi in tre gruppi. In linea di massima un semi-integrato del primo gruppo apprezza la cucina del luogo; ad esempio, mangiare luganega, polenta, e sarde in saor sono passi necessari all'integrazione, se si vive in Veneto. Comunque, ogni regione ha i suoi piatti tipici da apprezzare se si vuole essere accettati. Il semi-integrato del secondo gruppo oltre ad apprezzare la cucina, tifa per la squadra locale. Aggiunge un elemento fondamentale alla sua integrazione sposando la causa calcistica del luogo dove vive. Questo da parte dei locali è molto apprezzato. Possono nascere amicizie allo stadio. In questo caso il partenopeo- celtico si farà apprezzare per il suo tifo sfegatato. Nel terzo gruppo, troviamo quello che oltre a mangiare il cibo del luogo, tifa per la squadra della città, ha studiato la lingua, il dialetto; ha ascoltato le chiacchiere nei bar, specie gli insulti, le polemiche e il borbottio attorno ai tavoli da gioco, si è applicato, ha perfino seguito corsi all'università degli adulti, insomma ha conseguito padronanza del dialetto, ha un buon lessico e solo qualche difetto di pronuncia lieve e assolutamente perdonabile. È in poche parole a un passo dall'integrazione totale. Che, come abbiamo visto, avviene solo con il voto alla Lega. Forse il passo più arduo.

"Il semi-integrato"
collage di
Carmine Della Corte

















Ora passiamo alla nota dolente. Esempio di non-integrato, o meglio di dis-integrato totale. Questo soggetto si differenzia nettamente dagli altri due simili: Non apprezza nulla della città che lo ha accolto. Non gli piace l'aria che si respira, la posizione geografica, il clima è troppo freddo o troppo caldo, il tasso di umidità è improprio, Non ama la cucina che giudica sciapa, non tifa per la squadra locale che ritiene superflua, intende solo qualche parola di dialetto ma non lo parla, anzi ostinato oltre ogni ragione parla solo il suo dialetto, e sacrilegio dei sacrilegi, odia pesantemente la Lega. Non frequenta i bar e le osterie, non gli piace il mare e nemmeno la collina, Insomma, è ostile a tutto. Va da sé che con questi presupposti la sua integrazione non è a rischio, è impossibile. È un soggetto ostinato, ombroso, ma nonostante tutto ammirato per il suo carattere indomito. Vive discretamente in un luogo che respinge dal quale però in un senso misterioso, sottile, catacombale è accettato. È, insomma, l'esempio vivente che le ragioni dell'integrazione non sono solo razionali e schematiche,ma strisciano in canali sotterranei, attecchiscono in segreti ricettacoli di senso occulto, si nutrono nel mare magnum dell'ignoto.


"Il dis-integrato"
collage di
Carmine Della Corte

martedì 17 novembre 2009

La serata con EDGARDA FERRI

Un’altra bella serata quella di Caffè Letterario di ieri sera con la scrittrice e storica mantovana Edgarda Ferri che ha presentato il suo ultimo libro “Uno dei tanti. Orlando Orlandi Posti ucciso alle Fosse Ardeatine. Una storia mai raccontata”, edito da Mondadori. L’incontro si è svolto nella Aula Magna del Liceo Classico di Lugo alla presenza di oltre cinquanta persone ed è stato introdotto dalla curatrice di Caffè Letterario Patrizia Randi. “Uno dei tanti”, libro evocativo fin dal titolo. Orlando Orlandi Posti era infatti una delle 335 persone trucidate quel 24 marzo del 1944 alle Fosse Ardeatine dall’esercito nazista a Roma. Ma ‘Uno dei tanti’ rievoca anche il senso più profondo della lotta di Resistenza, sta a ricordarci come innumerevoli persone comuni, di cui ancora oggi si ignorano i destini, vite brevi e rimaste nell’oblio, si opposero alla barbarie di cui fu investita la storia, salvarono compagni di lotta e magari finirono nelle mani dei tedeschi, come Orlando, soltanto per vedere un’ultima volta la fidanzata. Edgarda Ferri, affermata scrittrice di biografie di importanti personaggi storici come Giovanna La Pazza, Matilde di Canossa, Piero della Francesca e tanti altri, ha raccontato questa volta la storia di un comune ragazzo diciottenne che si trovò precipitato in quel terribile periodo dell’occupazione nazista di Roma seguito all’armistizio con gli alleati e alla fuga del Re, Vittorio Emanuele III, dalla capitale. La scrittrice mantovana ha parlato poi della genesi del libro, nato dalla lettura dei foglietti che lo stesso Orlando inviava alla madre dal carcere di Via Tasso, nascosti nei colletti delle camicie da lavare, oggi conservati presso l’Archivio dei Diari di Pieve S. Stefano e vincitori del premio miglior manoscritto originale nel 2004. Avvincente poi il racconto che Edgarda Ferri ha fatto della sua visita a Herbert Kappler nella città di Soltau, nel nord della Germania Federale, nel gennaio del 1978. Il colonnello delle SS, malato di cancro al retto, era fuggito in maniera rocambolesca dal ospedale militare del Celio a Roma pochi mesi prima e sarebbe poi morto pochi giorni dopo, vinto dal male incurabile, e sepolto presso il locale cimitero, presente una piccola folla di amici e nostalgici, alcuni dei quali non esitarono a rendere omaggio al feretro con il braccio teso nel saluto nazista.

giovedì 12 novembre 2009

Lunedì 16 novembre - EDGARDA FERRI a Caffè Letterario

Attenzione. Contrariamente a quanto pubblicato nel calendario degli appuntamenti di Caffè Letterario l'incontro con Edgarda Ferri, per problemi organizzativi, si terrà presso l'Aula Magna del Liceo Classico di Lugo anzichè nella sala conferenze dell'Hotel Ala d'Oro. Lunedì 16 novembre alle ore 21,00 nella Aula Magna del Liceo Classico di Lugo secondo appuntamento del mese per il Caffè Letterario di Lugo con la scrittrice e storica mantovana Edgarda Ferri che presenterà il suo ultimo lavoro edito da Mondadori “Uno dei tanti. Orlando Orlandi Posti ucciso alle Fosse Ardeatine. Una storia mai raccontata”. A fare gli onori di casa e a introdurre l’incontro sarà l’Assessore alla Pubblica Istruzione del Comune di Lugo, nonché curatrice della nostra rassegna letteraria, Patrizia Randi. Come buona abitudine di Caffè Letterario il brindisi finale con i vini in degustazione chiuderà la serata. Roma, 8 settembre 1943: dopo aver firmato l'armistizio, il re fugge a Brindisi. Abbandonata a se stessa, Roma sta per essere invasa dalle truppe di Hitler. A fianco del poco che resta dell'esercito italiano, la popolazione combatte per tre giorni nei punti strategici della città. Fra gli studenti, le donne, gli operai che cercano di respingere le armate tedesche a Porta San Paolo e sulle rive dell'Aniene, c'è un ragazzo di diciassette anni, alto, bellissimo e armato di un vecchio fucile. È Orlando Orlandi Posti, orfano di padre e di origini modeste, studente alle scuole magistrali e innamorato di Marcella Bonelli, la cui famiglia è proprietaria del bar più frequentato del quartiere di Montesacro. Dopo l'invasione di Roma, Orlando entra nella Resistenza. All'alba del 3 febbraio 1944, un'automobile delle SS si aggira per Montesacro: ci sarà una retata. Orlando passa di casa in casa per avvertire i compagni. Una corsa di quattro ore, affannosa e spericolata, che si conclude davanti al bar Bonelli, dove spera di salutare Marcella prima di fuggire, come gli altri, nel campanile della chiesa vicina o nelle campagne del Viterbese. La vedrà proprio mentre i tedeschi lo arrestano per portarlo in via Tasso, dove sarà imprigionato e torturato per cinquanta giorni. Il 24 marzo, appena compiuti diciotto anni, sarà fucilato alle Fosse Ardeatine. Edgarda Ferri compie un viaggio struggente alla ricerca di Orlando. Attimo per attimo ripercorre la vita sconosciuta e breve del ragazzo, non ancora diciottenne, che salvò i compagni di lotta e, per vedere ancora una volta la sua fidanzata Marcella, finì nelle mani dei tedeschi. I foglietti di Orlando, conservati presso l'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, hanno vinto il premio del miglior manoscritto originale nel 2004. Edgarda Ferri è nata a Mantova e vive e lavora a Milano. Scrittrice, saggista, giornalista e grande specialista in biografie di personaggi storici, campo nel quale eccelle. Esordisce nel 1982 con “Dov’era il padre”, un romanzo che rimane tuttora un punto di riferimento per un’intera generazione. Nel 1988 si aggiudica il premio Walter Tobagi e la medaglia d'oro del premio letterario Maria Cristina per il libro “Il perdono e la memoria”. Laureata in giurisprudenza, grande appassionata di storia. Fra le sue fortunate biografie, che l'hanno resa la maggiore rappresentante in Italia di questo antico e raffinato genere,ricordiamo quella di Giovanna la pazza, madre di Carlo V , Caterina da Siena, Matilde di Canossa, Letizia Bonaparte, Vespasiano Gonzaga, Piero della Francesca fino all'ultimo grande imperatore saturnino Rodolfo II d'Asburgo. (Foto di Edgarda Ferri di Fulvio Lo Cicero)

lunedì 9 novembre 2009

"Crepuscolo del nuovo" di IVANO NANNI

Sull'incontro con LUCA TELESE di sabato 7 novembre.
Forse occorre liberarsi dalla suggestione di essere arrivati alla conclusione del viaggio. A giudicare dalla mediocritas che scorre a fiumi nelle vene dei dirigenti del PD assisteremo probabilmente, nei prossimi tempi, ad altre acrobazie concettuali, grafiche, e verbali. Il viaggio della Cosa venuta dallo spazio profondo non è terminato. È iniziato vent'anni fa e ora è nel pieno della seconda fase. Quella della proclamazione di una nuova identità. L'ennesima nuova identità. Nel frattempo, a forza di parlare di rinnovamento, il finto partito è diventato vecchio. Pensando al rinnovamento si è spinto fino alle soglie della decrepitezza imbalsamando il nulla dopo aver sepolto la forza delle proprie ragioni. E dire che il cammino che il vecchio PCI aveva davanti non era il duro sentiero di Ho Chi Min nella giungla indocinese, era un percorso arduo ma non impossibile, una specie di ferrata con indicazioni chiare per un arrivo tranquillo in vetta; bastava solo essere meno subdoli e con un pizzico di coraggio in più per guardare quello che c'era da salvare e organizzarsi attorno a un nucleo sostanziale di pratica politica. Si è preferito ignorare ogni percorso critico, eludere le asperità del dibattito, fingere che si sia gettato il proprio sguardo oltre l'orizzonte. Su questo PD grava il peccato originale di un'opera mancata, e di un approdo troppo rapido alla vergogna di essere stati quelli che stavano dalla parte sbagliata della storia. Ma cosa dire allora adesso che la storia, propone situazioni che dirigenti e ministri di destra leggono con categorie filosofiche che la sinistra ha derubricato troppo rapidamente? Qualche frate che ha buttato il saio alle ortiche vorrebbe recuperarlo ma non sa che fare, non sa se è eticamente corretto contraddirsi. Dire che ci si è sbagliati, quando si credeva di sbagliare mentre si faceva bene, sarebbe uno sbaglio imperdonabile. Perciò silenzio su tutta la linea. Intanto la nave da crociera appena varata somiglia sempre di più alla zattera della Medusa di Theodore Gericault, un fasciame zuppo d'acqua alla deriva. Non so quale virus abbia contagiato questi spretati ma di certo se rinnegano i libri sui quali hanno imparato le orazioni possono solo affondare in gironi danteschi sempre più cupi . Toccato il fondo non si rimbalza in alto seguendo la corrente ascensionale come si crede comunemente. La cosa non è così naturale. “ Si può anche iniziare a scavare” come insegna un grande filosofo zen contemporaneo, Roberto” Freak” Antoni. L'operazione da incartapecoriti è iniziata già nella culla due anni fa. Si è nati vecchi, con nasi finti, e nessun sogno nel cassetto. Nessuno slancio utopico se non quello dell' ingarbuglio, dell'incartamento, della giravolta attorno al proprio asse. Incartandosi nel veltronismo, malattia infantile del dalemismo, filosofia che ha come asserto fondamentale” rinnega te stesso e fai finta di niente” Veltroni ha tentato una dissolvenza incrociata. Tuttavia è la tecnica che gli ha fatto difetto. Se solo avesse guardato meglio i film del bolscevico S.M. Eisenstein avrebbe notato che in questa delicata operazione sostitutiva si fa entrare una nuova immagine dentro alla vecchia, e gradualmente le due immagini si fondono suggerendo un nuovo elemento visivo. Qui, nell'operazione PD, e cazzi vari, l'immagine entrante non c'era, c'era solo un buco nero a squarciare il telo, un pezzo mancante, decenni di vita vera di partito buttati al vento. Ma non era importante sostituire qualcosa, era bensì più importante svincolarsi da un ingombro, sciogliere un imbarazzo, strapparsi le palle degli occhi che hanno letto e visto certe miserie umane, accecandosi completamente. Era più importante partorire in provetta il bambino cosmico/comico nell'eterno ritorno del niente. Era più importante tacere e far finta di essere cambiati, ma l'occultamento non poteva che produrre che nani da giardino. Ma non è mai troppo tardi come il maestro Manzi insegna. Avere la consapevolezza del proprio nanismo non sarebbe male; il gigante sul quale arrampicasi per guardare un po' più lontano è ancora lì. Aspetta. di Ivano Nanni

La serata con LUCA TELESE

Grande successo di pubblico con più di cento persone presenti sabato scorso 7 novembre a Caffè Letterario per la presentazione del libro “Qualcuno era comunista” del giornalista Luca Telese. La serata, organizzata in collaborazione con “Associazione Eco”, è stata introdotta da Paolo Galletti ed è subito entrata nel vivo della questione trattata nel bel libro di Telese con la proiezione di alcuni brani del film di Nanni Moretti “La cosa”, film/documento in cui nel 1990 il regista romano mostrò, senza aggiungere commenti e prendere posizione, le opinioni divergenti e la confusione generale all’interno delle sezioni del PCI sparse in Italia, nel momento della travagliata transizione al PDS scatenata dal crollo dei regimi dell’Europa orientale in quegli anni. Partendo da questo spunto Luca Telese ha catturato per più di un’ora l’attenzione del pubblico raccontando col suo stile accattivante le storie di quegli anni accompagnandole con episodi ed aneddoti della storia della sinistra italiana e dei suoi difficili rapporti con il socialismo reale dei paesi dell’Est, mettendo in risalto quella profonda, irrisolvibile, contraddizione tra l’amore per la democrazia da un lato e il legame sostanziale, simbolico, emotivo, con tutti gli altri comunismi del mondo, che odiavano quella stessa democrazia. I tantissimi interventi del pubblico hanno poi preceduto il brindisi finale e il consueto rituale delle dediche e degli autografi a cui nonostante l’ora tarda Luca Telese si è sottoposto con generosa disponibilità.

Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia. Qualcuno era comunista perché il nonno, lo zio, il papà… la mamma no. Qualcuno era comunista perché si sentiva solo. Qualcuno era comunista perché aveva avuto un’educazione troppo cattolica. Qualcuno era comunista perché il cinema lo esigeva, il teatro lo esigeva, la pittura lo esigeva, la letteratura anche… lo esigevano tutti. Qualcuno era comunista perché glielo avevano detto. Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto. Qualcuno era comunista perché prima era fascista. Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona. Qualcuno era comunista perché Andreotti non era una brava persona. Qualcuno era comunista perché era ricco ma amava il popolo. Qualcuno era comunista perché era così ateo che aveva bisogno di un altro Dio. Qualcuno era comunista perché era talmente affascinato dagli operai che voleva essere uno di loro. Qualcuno era comunista perché non ne poteva più di fare l’operaio. Giorgio Gaber