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Sala conferenze - Hotel Ala d'Oro

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sabato 31 gennaio 2009

"Io sto con voi" di IVANO NANNI

Sull'incontro con Eraldo Affinati di mercoledì 28 gennaio
Io sto con voi. (dalla parte degli ultimi nella città dei ragazzi). Con quei ragazzi che sono partiti dai loro paesi africani in cerca di una vita migliore in Italia, l’insegnante Affinati trova un linguaggio comune, ne conquista la fiducia ed esercita l’antica arte della maieutica. Quella strana scuola di vita e di amore che apre le porte al desiderio e all’intima vocazione dei ragazzi di trovare il loro posto tra altri come loro o meglio di loro, è un ibrido scolastico nel pieno delle sue facoltà propositive. Nel lavoro di insegnante, che non sempre gratifica, c’è la traccia vera di un percorso che parte da un cuore per arrivare a un altro cuore passando il reticolo delle improvvisazioni, della retorica, dei mimetismi. Sul palco di quella scuola il capocomico è nudo, risparmia ai suoi allievi le battute e i copioni logori, si avvicina a loro con la cautela del cacciatore. Nella città dei ragazzi non è possibile giocare di rimessa è una partita che si gioca alla pari, con chi è partito dal nulla non si può bluffare. All’inizio dell’avventura c’è stato il reverendo Carroll Abbing, e la fiducia nella provvidenza divina, nel lavoro degli uomini, nella capacità di decidere come istituire un percorso di umanità. A chi non aveva niente, agli orfani di guerra, si dava un tetto e da mangiare per sopravvivere. La certezza di non morire di fame, di un posto dove dormire, e la possibilità di crescere ricostruiva un poco alla volta la speranza che la guerra aveva sepolto, e diventava la ragione su cui innestare la fiducia nell’avvenire. Da questo prese avvio un' avventura educativa che ricorda quello che fece Don Milani a Barbiana con i figli dei contadini: dare un istruzione, un futuro, costruire delle persone consapevoli. Ora in questa particolare città-scuola, ci si misura con i figli di altri contadini, con i figli di altre miserie. Vengono da lontano, dai deserti dall’Africa e dalla guerra in Afghanistan, e in Italia, semplicemente cercano di salvarsi, di trovare un posto dove stare meglio, istintivamente fiutano una possibilità da un’altra parte, in un altro mondo. Questo li spinge a tentare l’avventura, a mettersi in viaggio. Se questi giovani, non avessero lasciato giovanissimi le loro case, prendendo sulle loro spalle fragili il peso di un viaggio tutto sommato nell’ignoto, sarebbero rimasti a pencolare attorno al pozzo riarso del loro villaggio nella certezza che il futuro per loro non sarebbe mai esistito. A tutto questo la città dei ragazzi pone una barriera. In un senso vero e mai retorico li salva dal loro destino segnato dalla povertà, concede loro la possibilità di crescere e di conoscere le potenzialità che hanno dentro, che loro stessi ammettono di avere raccontando le loro storie che annientano per la crudezza delle immagini che evocano, e con le quali dobbiamo pur convivere una volta che ne siamo a conoscenza. E qui emerge come da un pozzo il senso del fare scuola in quella particolare condizione e che davvero travalica il concetto di insegnamento. Il contatto che si stabilisce con questi ragazzi diventa impegnativo come un atto notarile, è davvero un farsi carico dello sguardo altrui, come dice Affinati, diventa decisivo quel legame che prevede un' attenzione nuova, è carico di attese e di premonizioni. Forse l’insegnante, qui, in questo modo, con un nuovo senso di responsabilità diventa qualcosa di più di un semplice trasmettitore di conoscenza, diventa una guida per muoversi nel mondo appena conosciuto, quasi un navigatore satellitare che ha in sé le mappe del mondo di ieri e di oggi e le adatta a chi ha davanti.

Le serate con ERALDO AFFINATI e SALVATORE GIANNELLA

Due appuntamenti ravvicinati e di altissimo livello per Caffè Letterario quelli di mercoledì scorso 28 gennaio con lo scrittore romano Eraldo Affinati, e quello di ieri venerdì 30 gennaio col giornalista Salvatore Giannella. Eraldo Affinati ha presentato il suo ultimo romanzo, appena edito nella versione economica degli Oscar Mondadori, “La città dei ragazzi”. Dopo l’introduzione di Marco Sangiorgi, lo scrittore romano ci ha raccontato il suo libro soffermandosi in particolar modo sulla sua straordinaria esperienza di insegnante nella “Città dei ragazzi” di Roma. Nata nell’immediato dopoguerra con lo scopo di provvedere all’assistenza e all’educazione sociale e professionale dei ragazzi privi di un valido supporto familiare ed esposti a rischi di devianza “La città dei ragazzi” è stata caratterizzata fin dalla sua fondazione dallo strumento pedagogico dell’”Autogoverno” che regolamenta la vita comunitaria e che fa di questa comunità praticamente un piccolo comune dotato di strutture politiche, amministrative, economiche finanziarie proprie, gestite dagli stessi ragazzi. Ragazzi provenienti, nella maggior parte, da quelle parti del modo più povere e diseredate, che arrivano in Italia attraverso viaggi incredibili trascinandosi sulle spalle ricordi di miseria e di violenza difficilmente dimenticabili. A conferma di questo è stata emozionante la lettura dell’incipit del libro da parte dello stesso Affinati , dove uno dei suoi alunni, il tredicenne bambino afgano Afiz racconta, in un italiano approssimativo, la storia del suo viaggio-calvario dall’Afghanistan all’Italia attraverso Iran, Turchia e Grecia. Della difficoltà di essere insegnanti in un simile contesto, con bambini provenienti da mondi e culture diversissime fra loro, con una nuova lingua da imparare, e che spesso sono analfabeti nella loro stessa lingua madre, è facile intuire; più difficile, ma allo stesso tempo molto confortante, è saper e che ci sono ancora insegnanti che in queste difficoltà vedano una sfida da vincere, ma soprattutto un arricchimento personale e professionale di cui, come ha detto Affinati, non potrebbero più fare a meno. Altrettanto interessante l’incontro di ieri sera col giornalista milanese Salvatore Giannella che ha presentato il suo saggio-inchiesta “Voglia di cambiare. Seguiamo l’esempio degli altri paesi europei” edito pochi mesi fa dal nuovo marchio editoriale “Chiarelettere”. La lunga e accattivante dissertazione di Giannella è stata centrata sul concetto di “emulazione”, o meglio in parole povere, su come si dovrebbe guardare, copiare e imparare da chi, fra gli stati europei, è riuscito nei più svariati campi della vita sociale ad eccellere e fare ricadere gli indiscutibili vantaggi di queste eccellenze su tutti i cittadini. Seguire il discoroso di Giannella è stato come fare un viaggio molto istruttivo nel vecchio continente alla scoperta di realtà innovative e vincenti come il sistema fiscale danese, la sicurezza sul lavoro in Svezia, i trasporti record della Spagna, la scuola e l’educazione in Finlandia. L’anima ambientalista del giornalista milanese (direttore dal 1986 al 1996 di Airone il primo e più diffuso mensile dedicato all’ambiente) è uscita poi allo scoperto nel parlare dei problemi energetici e di come si sta cercando di risolverli in Germania e in particolar modo nella città di Friburgo diventata in questi anni un grande laboratorio di ricerca per l’energia solare. Proprio sulle tecnologie edili volte al risparmio energetico è stata proiettata una piccola parte di un documentario dedicato alla città tedesca e in particolare al suo quartiere di “Am Schlielberg”,progettato dell’architetto Rolf Disch, costruito secondo i criteri di “ecologia” e di “efficienza energetica” che contiene 50 case a schiera immerse nel verde che producono più energia di quella consumata dagli abitanti grazie ai tetti interamente ricoperti di pannelli fotovoltaici, a un isolamento termico molto efficiente e ad un impianto di ventilazione che consente di riscaldare l’aria fredda invernale con quella calda dell’aria esausta. Insomma tanti i buoni esempi da seguire che hanno già ampiamente dato dimostrazione di funzionare e di migliorare la vita di tutti. Bisogna solo trovare la “Voglia di cambiare”.

giovedì 29 gennaio 2009

Venerdì 30 gennaio - SALVATORE GIANNELLA a Caffè Letterario

Venerdì 30 gennaio alle ore 21,00 nella sala conferenze dell’Hotel Ala d’Oro ultimo appuntamento del mese per Caffè Letterario con lo scrittore e giornalista Salvatore Giannella che presenterà il suo ultimo lavoro, “Voglia di cambiare. Seguiamo l’esempio degli altri paesi europei” edito da Chiarelettere. La serata sarà introdotta dall’Assessore alla cultura del Comune di Lugo Giovanni Barberini e terminerà come buona consuetudine di Caffè Letterario con l’abituale degustazione di vini. Non c’è italiano che, dopo aver passato un periodo anche breve in qualche paese europeo, non torni a casa carico di meraviglia, magnificando questo e quello e trattenendo a stento il disgusto per la nostra inciviltà. Salvatore Giannella ha cercato di dare consistenza oggettiva a queste impressioni, girando in lungo e in largo l’Europa alla ricerca delle buone prassi degli altri. Ne è venuto fuori questo saggio che parte da una statistica su “fiducia nel futuro e felicità” che vede, manco a dirlo, all’ultimo posto gli italiani ed ai primi danesi e finlandesi, prosegue con l’analisi dei modelli virtuosi degli altri paesi europei e culmina nella proposta di importarli, “perché quel che c’è di buono in Europa può aiutare a indicare strade per un’Italia più efficiente, più fiduciosa nella politica e nelle istituzioni, meno pessimista e disincantata”. Salvatore Giannella, giornalista professionista dal 1974, è nato in Puglia nel 1949. Vive e lavora a Milano dal 1975 dove è chiamato all’«Europeo» da Tommaso Giglio, assumendo la direzione del settimanale dieci anni dopo. Nel 1986 diventa direttore di «Airone», il primo e più diffuso mensile di natura e civiltà. Dal 1997 è tra le principali firme di «Oggi» (Gruppo Rizzoli - Corriere della Sera) per i temi della cultura e delle scienze. Paulo Coelho lo ha salutato come «cronista della luce». Ama Italo Calvino dal quale ha raccolto l’invito a illuminare «personaggi e mondi che tenebre non sono e a dar loro forza».

lunedì 26 gennaio 2009

Mercoledì 28 gennaio - ERALDO AFFINATI a Caffè Letterario

Mercoledì 28 gennaio alle ore 21,00 nella sala conferenze dell’Hotel Ala d’Oro terzo appuntamento del mese per Caffè Letterario con lo scrittore romano Eraldo Affinati che presenterà il suo ultimo romanzo edito da Mondatori “La città dei ragazzi”. L’incontro con l’autore sarà introdotto da Marco Sangiorgi e come di consueto terminerà con l’abituale degustazione di vini offerta da Caffè Letterario a tutti gli intervenuti. Eraldo Affinati, nato a Roma nel 1956, è scrittore, giornalista e insegnante. Dopo i primi studi, insieme alla moglie Anna Luce Lenzi, sull’opera di Silvio D’Arzo, ha pubblicato su Nuovi Argomenti ed ha composto un saggio sulla poesia di Milo De Angelis. Nel 1997 il romanzo Campo del sangue, diario di un viaggio a piedi da Venezia ad Auschwitz, entra in finale ai premi Campiello e Strega. L’interesse per i temi novecenteschi, indagati attraverso il viaggio, si riflettono anche nei libri successivi: la biografia Un teologo contro Hitler, Sulle tracce di Dietrich Bonhoeffer (Mondadori 2002), il romanzo Secoli di gioventù (Mondadori 2004). Ha curato l’edizione completa delle opere di Mario Rigoni Stern, Storie dall’Altipiano, (I Meridiani Mondadori 2003) Del 2008 il suo più recente romanzo, La città dei ragazzi. In questo romanzo tre vicende si mescolano e si annodando in una catena di rimandi e riflessi continui: la cronaca delle giornate presso questa nuova scuola di Barbiana che è la Città dei ragazzi, la narrazione di un viaggio in Marocco, ospite desiderato e curioso di due studenti, Omar e Faris, la ricostruzione, sul filo labile della memoria, della storia del padre dell'autore. Anche lui è stato un orfano e uno sciuscià, a suo modo, nell'Italia del secondo dopoguerra, anche lui un ex cucciolo smarrito alle prese con la schiacciante brutalità delle cose. Quel padre tanto poco conosciuto in vita, tanto enigmatico e sfuggente, la cui personalità Affinati ricostruisce per tagli ed ellissi, viene recuperato proprio attraverso quei "minori non accompagnati, quei figli senza padri". È come se il contatto con quel mix di determinatezza e fragilità che è la loro adolescenza gli consentisse di compiere il più nobile e antico gesto del mondo, quello di Enea che carica sulle proprie spalle il padre Anchise. Senza di loro, l'avrebbe perso per sempre. “Lo scrittore e l’insegnante dividono una medesima responsabilità: quella nei confronti della parola, scritta e orale. Il che significa ricomporre la frattura tra pensiero e azione, una delle ferite della modernità. Da una parte ha trionfato la poetica dell’artista libero da ogni condizionamento, dall’altra quella dell’artista impegnato a realizzare un programma. Alla Città dei ragazzi capisco quale avrebbe dovuto essere la vera rivoluzione, fra tutte quelle fallite nel sangue del ventesimo secolo: farsi carico dello sguardo altrui. L’avevano detto, fra gli altri, Dietrich Bonhoeffer, Pierre Teilhard De Chardin, Don Lorenzo Milani, ma, benché i loro nomi siano comparsi spesso sulle pagine dei libri e perfino nei proclami, di fatto sono rimasti inascoltati”. Eraldo Affinati

Ugo Zoli visto da STEFANO BABINI

Continua la serie dei ritratti degli autori ospiti di Caffè Letterario realizzati dal fumettista lughese Stefano Babini con questo ritratto di Ugo Zoli che ha condotto la serata dedicata al "Faust" di Goethe sabato 24 gennaio.

domenica 25 gennaio 2009

La serata "faustiana" con UGO ZOLI

Più di cinquanta persone hanno partecipato ieri sera alla prima serata conviviale dell’anno di Caffè Letterario. L’incontro era dedicato a un grande capolavoro della letteratura di tutti i tempi come il Faust di J.W.Goethe. Brillantissimo protagonista della serata il Professore lughese Ugo Zoli che oltre ad aver presentato l’anno scorso a Caffè Letterario il proprio volume di pezzi teatrali “Burlesca” ha condotto negli anni precedenti altre serate conviviali dedicate a Svevo, Pirandello e Giacomo Leopardi. Prima della cena, tanto per entrare in clima “faustiano”, è stato proiettatato sullo schermo gigante del salone delle feste dell’Hotel Ala d’Oro, un piccolo spezzone di uno dei più importanti film dedicati alla leggenda dell’alchimista/mago tedesco. Le suggestive immagini del patto scellerato fra Faust e Mefistofele tratte dal “Faust” (1926) del regista tedesco Friedrich Murnau, considerato uno dei maestri dell’Espressionismo tedesco, hanno fatto così da introduzione alla relazione di Zoli. Relazione che si è dipanata per più di un’ora, partendo dalle poche note biografiche che si conoscono del personaggio storico di George Faust, nato in Germania alla fine del quattrocento, passando per i due secoli successivi, quando la sua storia divenne uno dei miti popolari più diffusi e amati, rappresentato nelle piazze dalle tante rappresentazioni popolari di attori viaggianti o dagli spettacoli di marionette dove Goethe conobbe Faust per la prima volta, per finire con la lettura e l’analisi del testo goethiano. Il tutto con quella leggerezza mai banale e quella capacità di muoversi fra filosofia, poesia, matematica, scienze, che fanno delle conferenze del professore lughese delle occasioni imperdibili per avvicinarsi in maniera piacevole ai grandi autori del passato.

martedì 20 gennaio 2009

"Il Faust di Goethe" - Serata conviviale con UGO ZOLI

Una serata conviviale sarà il secondo appuntamento del mese di gennaio per Caffè Letterario. Sabato 24 gennaio alle ore 20,30 nella sala conferenze dell'Hotel Ala d'Oro il Professore Ugo Zoli ci parlerà di uno dei più grandi capolavori della letteratura di tutti i tempi, in una dissertazione dal titolo “Il Faust di Goethe”. L’incontro è organizzato in collaborazione con il Teatro Rossini di Lugo, dove dal 19 al 22 gennaio la compagnia Mauri-Sturno presenterà la versione teatrale del “Faust” con la regia di Glauco Mauri. Grande mito della modernità, la vicenda esemplare del Dottor Faust parla agli uomini delle loro angosce, dei dubbi, delle solitudini, delle speranze. Il Faust fa convivere sotto lo stesso tetto, dramma shakespeariano e tragedia greca, moralità medievale e rivista satirico-illuministica, poema epico e aforisma gnomico, ballata popolare e lirica cerebrale, frecciate politiche e squarci di dialogo scientifico. Per questo il Faust non è imitabile. Discorso analogo si può fare per lo stile, cioè per quella foresta di stili e di proposte linguistiche e verbali, formali e sonore che costituisce uno dei lati più attraenti dell'opera."Il mio Faust è un grande gioco molto serio" così scriveva Goethe in una delle sue ultime lettere, pochi giorni prima di morire, al suo amico Von Humboldt che gli chiedeva che cosa fosse in definitiva questo Faust. La sua geniale ironia, sempre presente anche nelle opere più drammatiche, nel Faust anima di poetica leggerezza anche i momenti più misteriosi del cammino dell'uomo. Goethe nella sua infanzia restò profondamente affascinato da una rappresentazione di marionette che raccontava la straordinaria storia del Dottor Faust, mago e scienziato già allora molto noto nella tradizione popolare che per desiderio di onnipotenza stipulava un patto con il diavolo firmando con il proprio sangue la sua rovina. La leggenda di Faust e il teatro delle marionette furono per il fanciullo Goethe una indimenticabile emozione che il futuro grande poeta racchiuse dentro il suo cuore come una feconda memoria per tutta la sua lunga vita. Forse è anche per questa feconda memoria, che il suo Faust, pur nella sua maestosa complessità, ha l'inventiva e la gioiosa fantasia di un grande gioco. Ugo Zoli è nato a Lugo nel 1922. Per quasi trent'anni ha insegnato Letteratura italiana al Liceo Scientifico di Lugo restando nel ricordo di suoi tantissimi allievi come uno dei pochi "grandi" professori del Liceo. Per Caffè Letterario ha già condotto diverse serate dedicate a Pirandello, Svevo e Leopardi. Nel maggio scorso, edito dal “Bradipo” e presentato nella nostra rassegna letteraria, ha pubblicato una raccolta di bellissimi pezzi teatrali dal titolo “Burlesca”.

lunedì 19 gennaio 2009

"Non comprate questo libro" di DAVIDE SILVESTRI

Lo scrittore veneziano DAVIDE SILVESTRI è stato ospite di Caffè Letterario il 6 ottobre scorso con il suo romanzo "La linea generale". Non comprate questo libro. Tanto per cominciare, è un libro di racconti, e tutti sanno che i libri di racconti non funzionano. Poi parla di cose che cerchiamo per tutto il tempo di dimenticare. Che bisogno c’è di un libro che ti faccia venire in mente quello che continui a nasconderti con tanta fatica? Per questo “Il migliore dei mondi” di Quim Monzò non va comprato. Parla della morte, della malattia… lasciamolo perdere, questo libro. Eppure c’è qualcosa che… con questo non voglio dire che sia un libro da comprare, me ne guardo bene… però mi ha fatto ridere, con le lacrime agli occhi, e mi ha fatto ridere di tutto quello che mi terrorizza. E’ sadico, no? Voglio dire, prima ti suggerisce delle idee spaventose e poi ti fa ridere dei tuoi stessi brividi… che persona balorda, questo Monzò! Da dove sarà saltato fuori… Rimane il fatto che non è un libro da comprare, senza alcun dubbio. Che se lo compri qualcuno che ha bisogno di aprire gli occhi. Io i miei voglio tenerli chiusi, ecco perché non ho comprato questo libro. C’è tanta gente al mondo! Che se lo compri qualcun altro.

venerdì 16 gennaio 2009

Serena Zoli vista da STEFANO BABINI

Una originale e piacevole novità di quest'annata di Caffè Letterario sarà la graditissima collaborazione del fumettista lughese Stefano Babini, già stato nostro ospite in una bellissima serata conviviale dedicata al fumetto nel marzo scorso, che durante questa stagione di incontri ci proporrà i ritratti degli scrittori che via via si succederanno sul palco della nostra rassegna letteraria. Si comincia ovviamente con la scrittrice e giornalista Serena Zoli che ha presentato il suo libro "Il lavoro smobilita l'uomo" mercoledì 14 gennaio.

"Smobilitanti" di IVANO NANNI

Sull'incontro con SERENA ZOLI di mercoledì 14 gennaio Il lavoro, lo abbiamo sentito durante l’incontro, non rientra più nel novero delle certezze umane, una volta lo era molto più di adesso con l’aggiunta che quando si perdeva o si decideva di cambiare lo si trovava. Ora non è più così. Il lavoro appare sempre più etereo nella sua improvvisa e spesso letale volatilità. Ora c’è, fra un giorno non c’è più. Sparisce creando scompiglio, sgomento, ondate di rabbia, sommovimenti e proteste, violenza familiare, suicidi. Si può ben dire che la sua presenza rafforza il nostro ottimismo. Il nostro pensiero diventa forte, la capacità creativa di ogni persona aumenta; il lavoro fa campare bene e meglio, infonde generosità e innesta il lavoratore nel contesto civico e umano, lo fraternizza con gli altri, lo mette al centro di ogni riflessione filosofica, teologica, sociologica, e storica. La costituzione protegge il lavoro, ne ha fatto il pilastro fondante del suo animus, ne ha colto la portata edificante e liberatoria. D’altro canto, è quando lo si perde, che ci si accorge di quanto fosse importante per il proprio equilibrio psichico, economico, e giuridico. Il lavoro stabilizza e concretizza l’azione umana e la eleva a un gradino di consapevolezza miracolosa, e chi perde il lavoro o non ce l’ha, non solo risulta menomato nella sua capacità di spendere per sopravvivere ma smette di vivere pur spendendo soldi che non guadagna. Diventa un paria, forzatamente spinto ai margini a declinare all’infinito il verbo disperare e la parola nostalgia. Nostalgia di ciò che si è perso, e che spesso non ritorna, per difetto di organizzazione e per disaffezione alla umana partecipazione, alla condivisione compassionevole. Il lavoro, allora, appare sempre di più, da questo punto di vista come un gioco da illusionisti. Al punto che ci si chiede se quello che si vede è la realtà o un trucco da magic box. Dove la scatola magica è rappresentata dal grande contenitore globale dove le relazioni umane trascendono la loro efficacia diventando subumane, prendendo quello che trovano, cioè quasi niente. Ebbene, l’illusione di trovare l’eldorado nel nocciolo della finanza è stato per due decenni il nervo scoperto dell’economia che ha marciato a testa bassa contro ogni decenza, fregandosene bellamente di ogni riferimento morale, lasciando il discorso sui diritti e doveri al sindacalismo e alla politica meno contaminata. Entrambi perdenti, deboli, e con prospettive ridotte al lumicino. Perché in questi anni non ci si è accorti che l’economia stava mutando pelle. Entrava a pieno titolo, attraverso i suoi santuari intangibili, nella lista delle attività criminali. Non ci si è accorti che la finanza era già andata oltre nel suo giudizio sul lavoro e sull’etica che accompagna il lavoro. Aveva già costituito di per sé la sua metafisica perversa, la sua procedura di annichilimento, il suo sistema di scambi virtuali paradossali. Il godimento di diritti ha rappresentato perciò finalità obsolete rallentanti la corsa all’arricchimento, per il semplice fatto, a mio avviso, che il genere etico e il genere profitto solitamente non vanno d’accordo. Perseguono obiettivi diversi, per cui, per avere uno, l’altro dev’essere imbrigliato, se non negletto. Abbiamo visto che massimizzando il profitto con pericolose acrobazie finanziarie, l’etica che sottende a quella operazione è identica a quella prodotta dai pirati della Tortuga. E se il profitto, ha sostituito la centralità del lavoro, prima ancora ha smosso la centralità della divinità dalla nostra vita. Ha sostituito un dio misterioso e remoto, con la tangibilità di una forza bruta e tutta visibile, una specie di vis natura primigenia, moderna, senza remore e sensi di colpa, che ha costituito le sue chiese, i suoi altari, i suoi riti, e ovviamente la sua casta sacerdotale. Allora è vero che, da questo punto di vista, l’opera che s’attende è quella di una riforma economica di portata mondiale. Molti la invocano, altri ne vedono i segni già in nuce, altri attendono frastornati gli eventi colti alla sprovvista dalla depressione monetaria. Mi permetto di dubitare di una simile frana ideologica. Il capitale ha in se stesso corpi e anticorpi per curare le sue piaghe a meno che le ferite non siano tali e tante e profonde da annullare ogni terapia assistenziale. Ma anche in questo caso il filo per suturare le ferite impedirà il tracollo del paziente. Per alcuni, e anche per me, l'onda della smobilitazione si alza sempre di più e minaccia di travolgere il brulichio dei lavoranti che vivono ai piedi dell’Olimpo dei guru dell’economia. Quando la grande alluvione avrà raso al suolo le capanne dei piccoli e le acque si saranno ritirate, le montagne saranno di certo più basse, ci saranno picchi più brulli, ma quelli che oggi vivono sull’Olimpo continueranno a viverci perché dall’ondata si saranno salvati di certo. Non dobbiamo dimenticare la straordinaria capacità di accumulo della casta degli eletti e della capacità di sopravvivenza e soprattutto delle facoltà ipnotico-affabulatorie dei medesimi. Si parla del momento d’oro delle opportunità. Si sostiene che questa ventata di ribassi e di depressione può portare un ridimensionamento degli obiettivi del capitale, un suo rafforzamento organico di natura etica. Insomma si dovrebbe assistere alla stagione della grande riforma; anzi dell’autoriforma, visto che dall’altra parte, la classe storica che impatta con il capitale è impedita a svolgere alcunché dalla mancanza di riferimenti politici. Ma anche di questo mi permetto di dubitare. Il lavoro sarà sempre più smobilitante ed estraniante e il capitale nello stesso tempo, troverà un nuovo assetto di condizionamento, un nuovo modo di procedere, lasciando morti e feriti sul campo come succede in qualunque guerra. E se è vero che si deve ripartire, allora lo si deve fare elaborando la perversione degli espedienti fino a qui adoperati dal capitale per mangiarsi la coda e milioni di esseri umani, fin nei minimi dettagli, finalizzandola a un nuovo linguaggio, e non limitarsi a un'opera di restyling del bel mondo finanziario dando la botta definitiva all'economia reale. Penso tuttavia che dovremo convivere con una mutazione lunga, dolorosa, e poco incline a nuovi innesti riformistici. Perché le relazioni nel mondo del lavoro deformate dalla competizione ammettono solo le regole del branco, che l'economia di questi anni ha messo in luce nei suoi aspetti peggiori. Quello che è micidiale non è tanto la relazione uomo-macchina, e il suo rapporto con la tecnologia, peraltro fondamentale, ma il rapporto uomo-uomo sempre più robotizzato da un linguaggio sempre più esangue e ripetitivo. E' questa disaffezione al sentimento sul luogo di lavoro che ci mortifica. È, permettete, la mancanza di gentilezza e di sfumature del linguaggio, e la poca educazione nei luoghi deputati alla produzione a deprimerci. Ma come potrebbe essere diversamente? il profitto non prevede un condiviso sentimento per l'altro. Di questo cinismo i manager se ne fanno vanto, sono pagati lautamente per robotizzare gli esseri umani, fanno perciò quello che devono, prendono ordini dai consigli di amministrazione, dagli azionisti. I lavoratori sono merci che producono altre merci, ma che vengono dopo le merci che producono, hanno meno diritti, e similarmente a una confezione di formaggio hanno una data di scadenza dal momento che il lavoro con tutte le sue implicazioni di diritti e doveri si è volatilizzato. C'è solo la precarietà della mansione e la certezza della sostituibilità. Quindi il rapporto lavoratore e datore viene risolto nel momento stesso che la posizione dei lavoratori diventa precaria. Nello stesso istante in cui c'è una data in calce al contratto se ne sancisce l'instabilità, giorno per giorno si naviga a vista e alla prima turbolenza si gettano a mare i clandestini. Di qui a prevedere catastrofi generali e pene quotidiane il passo è breve. Da diversi anni ho la percezione che siamo precipitati nel baratro di una straordinaria recessione proprio nel momento stesso in cui si gettavano le fondamenta del palazzo della finanza creativa. Il magico mondo delle bolle speculative ci ha distratti dal coma farmacologico in cui siamo sprofondati, io stesso mi sono svegliato da poco e ho trovato purtroppo che il fondo del barile somiglia stranamente al pavimento di casa mia.

La serata con SERENA ZOLI

Di fronte a più di 70 persone si è svolto ieri il primo appuntamento di Caffè Letterario di quest’anno. Protagonista la giornalista di origine voltanese Serena Zoli che ha presentato il suo ultimo libro edito da Longanesi “Il lavoro smobilita l’uomo”. A introdurre la serata sono state le parole del Sindaco di Lugo Raffaele Cortesi e del presidente della Commissione Lavoro del C.N.E.L. Giuseppe Casadio. Il mondo del lavoro, tema portante del libro di Serena Zoli, è stato quindi il fulcro centrale della serata attorno al quale si sono susseguiti gli interventi della giornalista lughese e del sindacalista Giuseppe Casadio. Negli ultimi due decenni, o poco più, il lavoro ha subìto uno stravolgimento che lascia smarriti. Oltre alla sicurezza economica il lavoro sostanziava le nostre identità e i nostri sogni, individuali e collettivi, e dava un forte senso di appartenenza a un’azienda, a un progetto, a una società. Poi, il lavoro si è “corrotto”: ristrutturazioni, informatizzazione, nuove tecnologie, delocalizzazioni e soprattutto l’imporsi di una esasperata ideologia del profitto. Tutto questo, come è stato sottolineato più volte, risulta essere in forte contrasto con quanto dettato dalla nostra Costituzione in cui il lavoro è presentato come valore supremo della Repubblica e che concorre, come specifica l’articolo 4, “al progresso materiale o spirituale della società” ed è quindi indissolubilmente legato al concetto di “lavoro” come affermazione della persona. Particolare risalto è stato dato poi al fenomeno del precariato e a quel contesto ideologico che fa da sfondo a quei lavoratori instabili, che lavorano oggi e sono disoccupati domani e che in un contesto lavorativo come quello italiano significa non poter mettere a frutto il proprio titolo di studio, dequalificare il proprio profilo personale e soprattutto incrementare i profitti delle imprese e comprimere i redditi, senza per altro offrire i benefici della flessibilità. Dopo le numerose domande del pubblico la serata si è conclusa con il consueto brindisi finale.

SERENA ZOLI - La rassegna stampa

mercoledì 7 gennaio 2009

Mercoledì 14 gennaio - SERENA ZOLI a Caffè Letterario

Primo appuntamento del 2009 di Caffè Letterario, mercoledì 14 gennaio alle ore 21,00 nella Sala Conferenze dell'Hotel Ala d'Oro, con la giornalista di origine lughese Serena Zoli che presenta il suo ultimo lavoro "Il lavoro smobilita l'uomo" edito da Longanesi pochi mesi or sono. A introdurre la serata interverranno il Sindaco di Lugo Raffaele Cortesi e il Presidente della Commissione Lavoro del C.N.E.L. Giuseppe Casadio. C'era una volta il lavoro... E ora? Negli ultimi due decenni, o poco più, il lavoro ha subito uno stravolgimento che lascia smarriti. Era il pilastro centrale del nostro mondo. Oltre alla sicurezza economica, sostanziava le nostre identità e i nostri sogni, individuali e collettivi, e dava un forte senso di appartenenza a un'azienda, a un progetto, a una società. Poi il lavoro si è "corrotto": ristrutturazioni, informatizzazione, nuove tecnologie, delocalizzazioni, soprattutto l'imporsi dell'ideologia del profitto - tanto, benedetto e subito - hanno intaccato il valore portante del Novecento rendendolo "flessibile", effimero, incerto. Mentre la globalizzazione dissotterra un nuovo antico "lavoro": la schiavitù. L'autrice ripercorre queste tappe, anche con testimonianze e interviste a studiosi, esplorando il senso di precarietà e l'insicurezza che stanno invadendo i singoli e la società, e la paura che si insinua: il sole tramonta davvero a Occidente? Serena Zoli, nata a Lugo di Romagna (Ravenna), giornalista, ha lavorato a lungo alle pagine culturali del Corriere della Sera. Tra i suoi libri: Quand’ero piccolo credevo che... (Mondadori) e Storie di ordinaria resurrezione (e non) (Rizzoli). Come di consueto la serata si concluderà con l'abituale degustazione di vini.

Da "Il lavoro smobilita l'uomo" di Serena Zoli PREMESSA L'Italia è ancora una Repubblica fondata sul lavoro, come serenamente afferma l'articolo 1 della Costituzione? O non si fonda piuttosto sulla finanza? Oppure sul lavoro un po' sì e un po' no, un lavoro a scatti? O sul mercato? Una Repubblica di commercianti. O pilastro centrale non e forse ora il consumo, vero volano dell'economia? Ma no, secondo alcuni la centralità del lavoro e persa in quanto trasmigrata — o trasmigrante — nel suo opposto, il tempo libero. Siamo o saremo presto alla leisure society? Una Repubblica di vacanzieri? Di certo c'è solo — e indubitabilmente — che qualcosa e cambiato nel lavoro e attorno al lavoro. Radicalmente. Un pomeriggio d'inverno, ed è già buio, vedi da una finestra illuminata — di quelle che incuriosiscono: che vita ci sarà dietro? - l'ultimo ripiano di uno scaffale. Grandi buste, forse impolverate, raccoglitori, cartelle straripanti di disordinati fogli. E subito ti prende, cuore e stomaco, un inconsulto struggimento. È nostalgia. Ma di che cosa? Poi con stupore capisci: è nostalgia del lavoro! Ma esiste, una tal nostalgia? E perché poi? Nel lavoro, ci sei tuttora immerso; certo, da qui alla pensione il tempo è ora misurabile, ma la distanza si conta pur sempre in vari anni. Chissà, forse basta quell'orizzonte non più velato... Forse è il « buco » che s'intravede oltre, il salto incognito, che già inquieta. Sì, è questo. La fine del lavoro assomiglia alla fine della vita. E' la fine di una vita. L'età adulta è prevista per l'attività produttiva e per combaciarvi nel tempo, e le età precedenti sono di preparazione a questo fine. Niente, invece, prepara al dopo. Non c'è una via univoca, né più vie certe tracciate. Sì, è proprio questo. Ma c'è dell'altro nell'imprevi¬sto struggimento di un tardo pomeriggio d'inverno. Nostalgia «preventiva» rispetto all'uscita dal lavoro, ma anche nostalgia del passato, com'è proprio che sia: è nostalgia del lavoro com'era, in un tempo non archeologico, databile in un paio o poco più di decenni fa, dunque ben a memoria d'uomo (e di donna) ancora in attività. O pure di impiegati e operai e imprenditori più giovani, per aver intravisto - e assaporato -tutta un'altra temperie agli esordi o per averla «vissuta» attraverso gli impieghi di padre e madre.