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Sala conferenze - Hotel Ala d'Oro

Via Matteotti, 56 - 48022 Lugo di Romagna - (Ravenna) - Italia
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martedì 31 marzo 2009

I ritratti di STEFANO BABINI

Ecco gli ultimi acquarelli del fumettista lughese STEFANO BABINI dedicati agli autori ospiti di Caffè Letterario nel mese di febbraio. In ordine Andrea Bajani, Caterina Cavina, Guido Guidi, Massimo Franco, Claudio Spadoni. Andrea Bajani Caterina Cavina Guido Guidi Massimo Franco Claudio Spadoni

lunedì 30 marzo 2009

"The magical forest" di DAVID FARRELL

Dal discorso tenuto in occasione dell'inaugurazione della Mostra Fotografica "Lugo Land" (sabato 14 febbraio 2009) It is truly a great pleasure to be back, here in the magical forest and to have the opportunity to look at the work of the twelve photographers who participated in this years project Lugo Land. Lugo has a very special place in my personal archaeology and a lot of people in Ireland who have viewed the documentary David Farrell - Elusive Moments have asked me Where is this place? How do I get there? Is it always mysteriously foggy? So perhaps, it might be a good idea to prepare the fog machine for an Irish invasion. As I get older which, as you know, happens day-by-day if not second by second I more fully realise that we photographers have many things in common; we are obsessive, we are compulsive, we have a strange relationship with time, we have perhaps an even stranger relationship with light as we are often controlled by it. I also feel that perhaps many of us make photographs to escape the inevitable narrative of our lives – to quote Beckett ‘the light gleams an instant then it is night once more’ – and yet, in resisting our own narrative we create other narratives through our photographs possibly to distract us from our fate. So when we look at the work presented here we see twelve individual voices, each one presenting us an insight to Lugo through their obsessions and narratives. It is worth remembering that photographs sometimes reveal more about the photographer than what is actually photographed. Lugo Land to me is pure photography, a work by photographers who are artists rather than artists who are simply using photography as a medium in itself and perhaps one of they key elements of this way of being a photographer is an engagement with the real world mediated by a personal philosophy or sensibility. However it is important to bear in mind that what we see here is not reality but twelve creative interpretations of reality. Perhaps a starting point for this exhibition is the fragmented text on the first floor here in the ALA d’ORO – at first sight it makes no sense we have to work a little to draw the individual letters together in order to form the words Lugo Land a title that is both real and mythical and this mirrors or echoes what occurs when we draw the twelve works together we get an insight into a place that is both real and mythical a place that is both Lugo and Lugo Land. As I get older which, as you know, happens day-by-day if not second by second I also more fully realise the conceptual centrality of the FRAME within the medium of photography - this device that we as photographers cast over the world. Again as ever I bow to Beckett who said that ‘the chief demand on any artist is to find a correct form for the chaos’ and this we attempt with our frames – to me we are like old-fashioned cowboys throwing our lasso out into the world in order to draw something back to us. I don’t wish to single out individual photographers but I do feel as part of my introduction to Lugo Land within this framing concept I will touch on the work of Guido Guidi - in fact, it would be useful if Guido would more fully elaborate on his work when I finish. He offers to us framed photographs in which the photographs presented appear to shift from left to right around a central axis. What will remain unknown to the casual viewer who doesn’t question this framing is that beneath the pass par tout is another image withheld from us by the presentation framing. So we get framing within framing within framing – the frame of the camera, the frame of the pass par tout and the presentation frame (corniche) itself and through this process the photographer controls and decides what he wishes to make visible and invisible to us. The last ideas I wish to explore are light and the echoes and dualities within and across the series of works. So we have viewers of an air show echoing the famous Baracca in the way they stand or simple white clouds echoing a small plane parked on the ground – we have photographs of old people that are both cruel and tender with their mortality heightened through translucent skin made visible by direct flashlight which brings us to the light of day which rises and falls and during this time through light and shadow reveals to the photographer ‘the most beautiful street in Lugo’ which then brings us to the light that passes though a circular window, which in itself echoes a camera lens, to apparently blind a single eye on a forbidden portrait in a graveyard which brings us back to a quote used by Guido that ‘photography is a step through a forbidden threshold’ . In closing, let me say that with the continued support of the commune we, the photographers, who are invited to Lugo will attempt that anarchic step. David Farrell E’ un vero piacere essere di nuovo qui, nella foresta magica, e avere l’opportunità di vedere il lavoro dei dodici fotografi che hanno partecipato quest’anno al progetto Lugo Land. Lugo occupa un posto speciale nella mia personale archeologia e molte delle persone che in Irlanda hanno visto il documentario David Farrell – Elusive Moments mi hanno domandato “Dove si trova questo posto? Come lo si raggiunge? E’ sempre così misteriosamente nebbioso?” Potrebbe, dunque, essere una buona idea preparare una macchina per la nebbia per un’eventuale invasione di irlandesi. Invecchiando – cosa che, come sapete, accade giorno dopo giorno, per non dire secondo dopo secondo – mi appare sempre più chiaro che noi fotografi abbiamo molte cose in comune: siamo ossessivi, siamo compulsivi, abbiamo una strana relazione con il tempo, abbiamo forse una ancor più strana relazione con la luce, essendo spesso dipendenti da essa. Mi sembra anche che molti di noi facciano fotografie per evadere dall’inevitabile scandirsi della nostra vita – citando Beckett: “La luce brilla un istante, poi è notte ancora una volta” – e dunque, nel tentativo di resistere alla nostra storia personale, ne creiamo altre attraverso le fotografie, con la speranza che possano distrarci dal nostro destino. Guardando i lavori presentati oggi, è come ascoltare dodici voci individuali, ciascuna delle quali rivela un dettaglio di Lugo filtrato attraverso le storie personali e le ossessioni dei loro autori. A questo proposito vale la pena ricordare che a volte le fotografie rivelano più cose riguardo al fotografo che non riguardo ciò che è fotografato. Lugo Land, per me, è fotografia pura, è il lavoro di fotografi che sono artisti, piuttosto che artisti che usano semplicemente la fotografia come medium in quanto tale, e forse uno degli elementi chiave di questo modo di intendere la fotografia è il relazionarsi con la realtà mediante la propria personale filosofia o sensibilità. E’ comunque importante ribadire che ciò che vediamo qui non è la realtà, ma dodici creative interpretazioni di essa. Un buon punto di partenza per questa mostra potrebbe essere il testo frammentato al primo piano dell’ Hotel Ala d’Oro: a una prima occhiata sembra non avere senso e dobbiamo lavorare un po’ per unire mentalmente le singole lettere che formano la parola Lugo Land, un titolo che è sia reale sia immaginario, e che riflette ciò che succede quando mettiamo assieme i lavori dei dodici fotografi, che ci conducono in un posto che è, appunto, sia reale e sia immaginario: un posto che è sia Lugo, sia Lugo Land. Invecchiando – cosa che, come sapete, accade giorno dopo giorno, per non dire secondo dopo secondo – sono sempre più consapevole dell’importanza concettuale dell’inquadratura all’interno del medium della fotografia, uno strumento attraverso il quale noi fotografi plasmiamo il mondo. Ancora una volta mi inchino a Beckett quando dice che “la questione principale per ogni artista è di trovare la giusta forma per il caos”, ed è ciò che i fotografi tentano di fare quando scelgono l’inquadratura (potrei dire che i fotografi sono come dei cowboy fuori moda che gettano il lazo sul mondo nel tentativo di catturare qualcosa). Senza voler isolare un singolo lavoro da questo progetto collettivo, mi sembra però doveroso, avendo affrontato il tema dell’inquadratura in questa mia introduzione a Lugo Land, citare il lavoro di Guido Guidi. Guido ci presenta delle fotografie incorniciate, dove le fotografie sembrano spostate – a destra o a sinistra – rispetto a un asse centrale. Ciò che resta sconosciuto all’osservatore superficiale, che non si interroga sul perché di questa scelta, è che sotto il passpartout c’è un’altra immagine che ci viene deliberatamente nascosta, ma che noi possiamo intuire proprio dal modo in cui ci viene presentata. Ciò che ne risulta, dunque, è un’inquadratura all’interno di un’inquadratura all’interno di un’inquadratura: l’inquadratura della macchina fotografica, l’inquadratura del passpartout, l’inquadratura della cornice, e attraverso questo processo il fotografo controlla e decide ciò che vuole rendere visibile e invisibile all’osservatore. Le ultime idee che vorrei approfondire riguardano la luce e gli echi e i rimandi all’interno e tra le serie di lavori. Dunque abbiamo spettatori di un’esibizione aerea che ricordano il famoso Baracca del monumento per il modo in cui stanno in piedi con lo sguardo rivolto al cielo, oppure semplici nuvole bianche che assomigliano al piccolo aeroplano parcheggiato sulla pista; abbiamo fotografie di anziani che sono allo stesso tempo tenere e crudeli, con la loro mortalità accresciuta dalla pelle traslucida a causa della luce diretta del flash, che ci rimanda alla luce diretta del sole che sorge e tramonta e in questo arco di tempo ci rivela la via più bella di Lugo, che poi è la stessa luce che passando attraverso una finestra circolare, cosa che in sé stessa ricorda l’obiettivo di una macchina fotografica, acceca l’occhio di un ritratto proibito trovato in un cimitero, che ci riporta alla citazione usata da Guidi per cui la fotografia è un passo attraverso una soglia proibita: permettetemi di dire che, col rinnovato supporto dell’amministrazione comunale, noi fotografi invitati a Lugo continueremo e tentare questo passo anarchico.

sabato 28 marzo 2009

"Giardino d'infanzia" di IVANO NANNI

Sull'incontro con Marco Politi di mercoledì 25 marzo Sinceramente mi pareva incredibile che le suore missionarie in Africa indicassero alla gente come proteggersi con il preservativo ed evitare di morire di aids. Forse è il cambiamento di clima a giovare allo spirito pragmatico di quelle religiose, fatto sta che questo è uno dei tanti aneddoti raccontati da Marco Politi nella presentazione del suo libro. Un simile atto di elusione alla parola del papa si spiega,a mio parere, solo con la caduta dei paraocchi dogmatici e libera anche i non religiosi dal pregiudizio di credere che fede e papato siano la stessa cosa. Politi indica come ci siano, nella chiesa cattolica, biforcazioni plausibili, mondi della fede ben temperata dal buon senso, forti pulsioni di protesta sotterranea, binari a scartamento ridotto che corrono paralleli a quelli del Vaticano. E sono vari i percorsi intrapresi da alcuni religiosi, noti solo quando vengono sequestrati da militari o fanatici vari, i quali coraggiosamente dotati di senso pratico, con in mano il vangelo cercano di conciliare pesi e misure diversi in una terra magica e crudele. Sono tanti gli uomini di fede che sentono le stonature che vengono dal Vaticano. Non sempre le campane del cupolone suonano cristalline. Sempre più spesso i rintocchi delle campane chiamano i fedeli a una maggiore attenzione verso le indicazioni del papa. La chiesa si arrocca e attacca i suoi critici interni ed esterni ripassando il credo e indicando le vie del Signore che sono quelle della vita(eterna). Gli ultimi eventi riguardo al tema del” fine vita” sono emblematici. Da questo punto di vista si sono capite bene alcune cose: La prima cosa è che siamo un popolo che si appassiona ai casi umani sui quali come nei melodrammi la gente finisce per demolire il teatro a suon di fischi parteggiando per una causa o per l’altra. Sul dramma della povera ragazza in coma da decenni sono interventi tutti. Politici e vescovi in testa in un bel connubio di frasi fatte e benedizioni, senza che intervenisse un arbitro, magari un costituzionalista che fischiasse la fine della partita e rimettesse la decisione in mano ai familiari. Ovviamente il dramma privato è stato sottoposto al linciaggio dei media, che l’hanno stravolto in un pessimo copione per cattivi figuranti. In quel bailamme senza senso l’unica persona con i nervi saldi, il padre della ragazza, è stato brutalmente insultato dal popolino della tivù e dai mestatori di professione. Sull’onda anomala di questa popolarità infausta sono spuntati i sondaggi sulla famigerata libertà di coscienza su temi moralmente sensibili. Per dirla in politichese. Che per tutti si è tradotta in libertà di decidere cosa fare nel caso che la stessa cosa capitasse a noi. “La gente”, una categoria sociologica speciale, simile al popolo, ma più volgare, più televisiva e ignorante ha risposto. E l’ha fatto istintivamente con quella sensatezza da animale che evita la pozza avvelenata e sebbene muoia di sete, cammina nei boschi tortuosi della speranza tastando il terreno, annusando l'umidità dell'aria. I sondaggi di Pagnoncelli, o chi per lui, hanno decretato che a decidere in questi casi deve essere la famiglia. Senza nessun dubbio. Vox populi. La vox dei però si è ribellata a quella vocetta del popolino e ha emesso la sentenza di allarme rosso. Sirene spiegate contro la deriva del relativismo in materia tanto complessa e di natura sottilmente teologica. Gran sventolio di pianete. Tiare in fibrillazione come non si era visto dai tempi del concilio vaticano secondo. Si sono alzati in alto i pastorali e sono fioccate le prime affettate. I nostri politici che hanno grandi qualità, ma non sopportano le scomuniche, hanno preso sul serio l’ammonimento, si sono rimessi tutti quanti i paraocchi e hanno pensato a un contentino. Allora, la seconda cosa che si è capito è che esiste il testamento biologico. Un documento dove chiunque abbia la maggiore età può dire come vuole essere trattato in caso di coma o di malattia terminale. È un documento privato nel quale tutti possono mettere becco. Il dottore, il prete, e infine il diretto interessato. Il quale non sa che firmando quel documento dove crede di decidere cosa fare di se stesso quando è in coma, o giù di lì, in realtà ha delegato a due figure altre quello che succederà al suo beneamato corpo ormai sfinito dalle diatribe postconciliari, e che non vede l’ora di andarsene per sempre. Da ciò si deduce una terza cosa importante, e cioè che il corpo non è un bene disponibile dal suo possessore. Per cui quello che sta scritto e firmato è impugnabile davanti a qualunque tribunale di nostro Signore. Un tribunale ben più fornito di attributi dei tribunali laici privi del fondamentale senso della vita e della morte. La quarta cosa che si è capita è che siamo distanti anni luce dall’ Europa di cui siamo un lembo dimenticato nel Mediterraneo, a ridosso di quell’Africa terra di pellegrinaggi papalini, come del resto anche l’Italia. La quinta evidenza è che siamo un popolo con forti problemi cognitivi che mugola come un gatto in fondo a un sacco prima di essere buttato in uno stagno. Siamo trattati come carne elettorale buona solo per mettere una croce vicino a un simbolo, senza sapere nulla di quel simbolo. Siamo una nazione in coma irreversibile da ignoranza acquisita in lunghi anni di campagne pubblicitarie e con questi bagagli tecnico pratici vogliamo pure continuare ad essere alimentati forzatamente? Se ritrovassimo un residuo di fierezza dovremmo chiedere a qualcuno di staccare la spina, e dare in appalto il governo dell'Italia. Magari al papa con il conforto della sua benedizione. Ivano Nanni

La serata con MARCO POLITI

Ennesima serata da tutto esaurito per Caffè Letterario quella di mercoledì 25 marzo con l’editorialista e vaticanista di “Repubblica” Marco Politi che ha presentato il suo ultimo libro “La chiesa del no” edito da Mondadori nel 2008. Dopo la breve presentazione della serata da parte di Giovanni Barberini, Marco Politi, appena ritornato dal viaggio in Africa al seguito di Papa Benedetto XVI, ha fatto il punto della situazione sul difficile rapporto fra Stato e Chiesa su argomenti scottanti e ancora aperti come quello del divorzio, della fecondazione assistita, dell'aborto, delle coppie di fatto, dei gay, dei diritti del malato a sospendere nutrizione e idratazione artificiale in caso di stato vegetativo persistente. Alla ricerca di risposte, l'autore ha spaziato dal mondo ecclesiastico a quello della scienza, dalla medicina alla politica, dal diritto al cinema, raccontando dei suoi incontri con personalità come Alessandro Plotti, Gustavo Zagrebelsky, Ignazio Marino, Enrico Bellone, Vito Mancuso, Giulio Giorello, Enzo Bianchi, donne dai destini diversissimi come Mina Welby e Rosy Bindi, uomini di spettacolo come Lino Banfi, seguace di Padre Pio, e sacerdoti dal percorso travagliato come Franco Barbero. Una serata insomma davvero interessante, dove Marco Politi in un tono pacato e mai polemico ha gettato un po’ di luce in più sul modo così diverso di intendere la libertà di coscienza nel nostro paese e all’interno dello stesso mondo cattolico.

venerdì 27 marzo 2009

Sabato 28 marzo - EUGENIO BARONCELLI a Caffè Letterario

Sabato 28 marzo, alle ore 18,00, nella saletta conferenze della Libreria Alfabeta terzo e ultimo appuntamento del mese con gli aperitivi di Caffè Letterario con lo scrittore ravennate Eugenio Baroncelli e il suo ultimo lavoro “Libro di candele. 267 vite in due o tre pose” edito da Marsilio nel 2008. A introdurre l’incontro con l’autore, che terminerà con il consueto brindisi aperitivo, sarà Paolo Franceschelli. Eugenio Baroncelli ha avuto un’idea borgesiana: condensare in poche righe emblematiche biografie di illustri personaggi o di persone qualunque, vivi o defunti: re, attrici, ambasciatori, esploratori, condottieri, vicini di casa, vittime e assassini d’ogni epoca, fin anche se stesso; le ha raggruppate in sezioni dai titoli spesso sorprendenti - come Il cielo, Diavoli e maghi, Messicani, Freaks - le ha infarcite di exerghi e citazioni, le ha condite con calibrate dosi d’ironia e malinconia, e se ne è ritrovato in fila ben duecentosessantasette. “Collezionismo intellettuale”, azzarda il risvolto di copertina, cogliendone certamente la fonte e una possibile spiegazione. Personalmente credo che questo godibilissimo libro sia figlio del nostro tempo come pochi altri, poiché, con raffinata leggerezza, salva per noi dall’oblio quell’affollato pantheon che ci portiamo dentro, e lo fa senza timore dei nomi, dello spazio e del tempo.

lunedì 23 marzo 2009

Mercoledì 25 marzo - MARCO POLITI a Caffè Letterario

Mercoledì 25 marzo alle ore 21,00 nella sala conferenze dell’Hotel Ala d’Oro, il penultimo appuntamento del mese di Caffè Letterario toccherà un tema di stretta attualità. Sul palco della rassegna letteraria lughese salirà infatti Marco Politi una delle firme più autorevoli di‘ Repubblica’, dove lavora come editorialista e corrispondente vaticano, che ci parlerà del suo nuovo libro “La Chiesa del No. Indagine sugli italiani e la libertà di coscienza”, edito da Mondadori nel 2008. L’introduzione alla serata sarà affidata all’Assessore alla Cultura del Comune di Lugo Giovanni Barberini e si concluderà come buona abitudine di Caffè Letterario con il consueto brindisi finale con i vini in degustazione. Cosa significa per la Chiesa cattolica fare i conti con una società pluralistica come quella italiana, in cui convivono fedi e concezioni filosofiche diverse e in cui si profila una novità assoluta rispetto al passato: il pluralismo etico? Quale e quanta libertà di discussione c'è all'interno dell'istituzione ecclesiastica? Marco Politi in questo libro affronta i problemi più scottanti del rapporto tra Stato e Chiesa: eutanasia e testamento biologico, coppie di fatto e unioni omosessuali, moratoria sull'aborto e difesa della legge 194, tutela dell'embrione e referendum sulla fecondazione assistita. Temi che accendono vivaci polemiche all'interno della società italiana, e che il pressante interventismo della gerarchia ecclesiastica, inusuale negli altri paesi occidentali, fa spesso divampare. Marco Politi editorialista e vaticanista di Repubblica, ha scritto con il Premio Pulitzer Carl Bernstein la biografia best-seller di Giovanni Paolo II “Sua Santità”, pubblicata negli Stati Uniti da Doubleday e tradotta in dieci paesi d’Europa e delle Americhe. In Italia da Rizzoli. Nel 2004 ha pubblicato “Il ritorno di Dio – Viaggio tra i cattolici d’Italia”, edito da Mondadori e giunto già alla terza edizione. Autore di numerose inchieste, si occupa di informazione religiosa dal 1971 (all’epoca per Il Messaggero) e nei due conclavi del 1978 è stato il primo giornalista a fare un reportage con interviste sui programmi dei cardinali-elettori, individuando l’identikit del ‘’papa-pastore’’ che corrisponderà esattamente ai pontefici Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II. Ha seguito papa Wojtyla in oltre settanta viaggi intorno al mondo. Nel novembre 2004 ha intervistato il cardinale Joseph Ratzinger e nel gennaio 2005 (a due mesi dal conclave) lo ha indicato come successore di Wojtyla nell’articolo intitolato “Ratzinger. Il candidato segreto”. Collabora regolarmente con le principali catene televisive americane ed europee, fra cui Abc, Cnn, Bbc. Il programma “ABC News Special Events”, con cui ha collaborato in occasione della morte di Giovanni Paolo II e l’elezione di Benedetto XVI, ha ricevuto negli Stati Uniti il prestigioso premio Alfred-duPont-Columbia University per la qualità di un’«informazione rispettosa e pregnante».

"Sono solo bollicine" di IVANO NANNI

Sull'incontro di sabato 21 marzo dedicato al film "Amarcord" di Federico Fellini. Film di depistaggi come si è detto. E forse nel titolo sta la più riuscita mistificazione del mago Fellini. Quell’Amarcord non somiglia forse a un improbabile aperitivo? A qualcosa di leggero e poco alcolico che inebria quel tanto che basta per iniziare a sognare?. È poi davvero un film fondato sul ricordo? Solo vagamente, credo, e i ricordi, in ogni caso sono un pretesto per una diversa e nuova invenzione. Fellini torna spesso sui luoghi che l’hanno visto protagonista di bugie e tradimenti. Rimini in fondo è stata tradita, abbandonata lasciata nel dolce limbo del trascorrere delle stagioni. Nella fiacca di un eterno ritorno sempre uguale, mitizzando un domani che sarà uguale all’oggi. Già il mondo della provincia, del borgo, l’aveva raccontata nei Vitelloni con amarezza, pietà, disincanto e amore per i protagonisti, sempre in attesa di un evento che li faccia partire per Milano o Roma. Eventi che non verranno mai perché non si è mai pronti per partire. Troppi vincoli che trattengono, troppe le ansie per il domani, troppe le comodità cui rinunciare. Solo uno, una mattina, senza dire niente a nessuno, senza nessuna prospettiva prese un treno e partì. Morando nei Vitelloni rifiuta l’attesa e decide di fare un salto nel vuoto. Si mette in gioco e parte per la sua avventura nel mondo. Non che abbia le idee chiare, non è questo. E’ il viaggio ha intrigarlo a metterlo nel centro del mondo. Se non parte non saprà mai quello che si perderà a rimanere. Non conoscerà mai se stesso e quello che può fare. E come Morando, l’unica che se ne va dal borgo, è la Gradisca all’inizio di una nuova primavera. La sua attesa si è compiuta. Ha sognato Gary Cooper e ha trovato un carabiniere. Sempre e comunque un'altra uniforme, un simbolo di quella autorità ordinatrice alla quale tutti, compreso la gradisca, si sono uniformati, nel roboante strombettio delle parate di regime. Nella provincia tutta inventata di Fellini, perciò così universale nel linguaggio e nelle maschere, il rito dell’attesa permane come un aspetto delle vite degl’abitanti del borgo. L’attesa della fine dell’inverno e l’esplosione della primavera con le manine che volano nella piazza, e il rogo della vecchia. L’attesa che tinge l’universo poco conosciuto e dimesso di quei personaggi-burattini diventa la ricerca di un evento prodigioso come il passaggio del mitico Rex. E ancora di più. C’è l’attesa di un amplesso sognato e vissuto tutto nella immaginazione del piccolo Biscein che si fa coccolare da un improvvisa visione di amore stregato dalla luna e dai veli delle odalische. Che altro se non l’attesa di una svolta? Un ribaltamento epocale come quello che volevano i fascisti sperando in una vittoria improbabile. Una svolta da operetta se si pensa a quella che segna il passaggio dall’adolescenza alla vita adulta di Titta quando muore la madre. L’attesa dei vitelloni di Amarcord, epigoni invecchiati di altri giovani invecchiati, incastonati nei loro preludi amorosi, vivono la primavera come l’anticamera dell’estate. Il vero momento nel quale danno il meglio di se stessi stringendo delle ammiccanti bionde straniere in languidi balli al chiaro di luna borbottando frasi d’amore incredibili. Sono risvegli dal torpore dell’autunno dei sensi e dall’inverno dei sentimenti. Si sa che dopo quello scalpiccio di piedi sui pavimenti del Grand Hotel il sonno li prenderà di nuovo e dormiranno lieti occupando le serate a conversare di conquiste. Solo uno sguardo da fuori vedrà che questi dolci epigoni del non far nulla ad ogni anno saranno più vecchi e prima o poi anche il parlare sarà solo un ricordo. di Ivano Nanni

martedì 17 marzo 2009

Sabato 21 marzo - "Amarcord" serata conviviale con Andrea Bruni

Sabato 21 marzo alle ore 20,30 al ristorante dell’Hotel Ala d’Oro serata conviviale di Caffè Letterario dedicata al cinema. Le serate conviviali infatti a partire da questo mese, con cadenza mensile, fino al mese di giugno, avranno come filo conduttore il rapporto fra il cinema e la Romagna. Si comincia, sabato 21 marzo con “Amarcord” di Fellini, poi sarà la volta de “Il Presidente”, girato fra Lugo e Bagnacavallo con un grande Alberto Sordi nelle parti di presidente dell’improbabile squadra di calcio del Borgorosso; quindi avremo “La mazurca del barone della santa e del fico fiorone” film d’esordio di Pupi Avati con protagonista Ugo Tognazzi, e per finire “La Riffa” episodio tratto da Boccaccio ’70, con la regia di Vittorio De Sica, e con una prorompente Sofia Loren all’apogeo della sua statuaria bellezza. Il critico cinematografico Andrea Bruni condurrà le serate alternando la discussione alle immagini e alla buona cucina romagnola dell’Ala d’Oro. Si comincia quindi con il capolavoro Felliniano “Amarcord” senza dubbio il più autobiografico dei film del regista riminese. La vicenda, ambientata dall'inizio della primavera del 1933 all'inizio della primavera del 1934 in una Rimini onirica, ricostruita a Cinecittà come la ricordava Fellini in sogno, narra la vita nell'antico borgo e dei suoi più o meno particolari abitanti. Attraverso i toni della commedia venata di malinconia, Amarcord distilla generosamente umori e sensazioni che si fanno poesia e i protagonisti, e soprattutto le figure di contorno diventano tipi universali, che vanno oltre la dimensione temporale per diventare immortali come, appunto, la poesia.
Questo il menù della serata:
  • Aperitivo con stuzzicherie
  • I cappelletti dell'Ala d'Oro
  • Zuppa inglese
  • Caffè
€. 20,00 per persona bevande incluse
( prenotazione obbligatoria - Tel 0545 22388 )

Sabato 21 marzo - Aperitivo di Caffè Letterario all'Alfabeta

Sabato 21 aprile, alle ore 17,30, nella saletta conferenze della Libreria Alfabeta continuano gli aperitivi di Caffè Letterario con la presentazione del libro “Giovane Antologia Faentina” edito da Tempo al Libro nel 2008. Il volume, curato da Mauro Gurioli, raccoglie il meglio del concorso “Piccolo Link” e altri racconti firmati dai giovani di Faenza e dintorni, in una piccola antologia di 14 brani di scrittura giovanile. A parlare di questo coro di voci e di storie che vedono Faenza come punto di riferimento e filo conduttore, sarà lo stesso curatore Mauro Gurioli. Al termine, come da abitudine consolidata per Caffè Letterario, il consueto brindisi-aperitivo offerto a tutti i presenti.

lunedì 16 marzo 2009

"Si è lamentato perché il libro costava troppo" di DAVIDE SILVESTRI

Lo scrittore veneziano DAVIDE SILVESTRI è stato ospite di Caffè Letterario il 6 ottobre scorso con il suo romanzo "La linea generale".
Si è lamentato perché il libro costava troppo. Ha detto: io so cosa costa fare un libro così: costa meno di un euro. Io non ho detto niente. Lui ha continuato, ha detto che gli rubavano i soldi, con i libri. Si dà il caso che fosse un libro intelligente, non dirò il titolo ma era un bel saggio. E lui che continuava a dire che costava troppo, a voce alta, come se protestasse anche per gli altri, per quelli che in libreria i libri li comperano e stanno zitti. Non riuscivo a capire come non riuscisse a capire. Insomma, è lampante che quando ti comperi un libro ti comperi una scatola di attrezzi, questo lo sanno tutti. Hai provato a comperarti una scatola di cacciaviti di acciaio, oppure un paio di tenaglie o qualche martello… costano un bel po’ di soldi, quelle robe là. E lui che si lamentava: è chiaro che così nessuno legge… i soldi… i soldi. Si comperava una bella scatola di attrezzi e si lamentava per il prezzo. Il suo cervello avrebbe utilizzato gli attrezzi che c’erano dentro al libro, l’avrebbe fatto magari per costruire cose diverse, nuove. e l’avrebbe fatto per sempre. Insomma, se non per sempre fino a quando il rompipalle fosse rimasto a 36° e avesse continuato a metabolizzare gli zuccheri. Per sempre, fino alla fine, perché quel genere di strumenti non si spunta mai. E lui si lamentava, l’idiota, diceva che i libri costano troppo, costano troppo. di Davide Silvestri

sabato 14 marzo 2009

La serata con PAOLO MAURENSIG

Paolo Maurensig, ennesimo ospite eccellente della nostra rassegna letteraria, è stato il protagonista, mercoledì 11, del terzo appuntamento di marzo di Caffè Letterario. Lo scrittore friulano ha presentato il suo ultimo romanzo “Gli amanti fiamminghi” edito da Mondadori nel 2008. L’introduzione alla serata è stata affidata a Daniele Serafini, che in un pacato colloquio con l’autore, ha ripercorso le tappe principali della sua carriera letteraria partendo dal suo primo romanzo, “La variante di Luneburg”, pubblicato da Adelphi nel 1993. Il romanzo che, attraverso la metafora del gioco degli scacchi, racconta gli orrori dell'olocausto, divenne in breve tempo un best seller internazionale. In pochi anni venne tradotto in tutti i paesi del mondo, compresi Cina e Giappone, conquistando milioni di lettori. Il successo del libro poi, perdura ancora oggi tanto da essere inserito ormai a pieno titolo nell’invidiabile categoria dei long-seller. Dal romanzo è anche stato realizzato un adattamento teatrale. Progetto che ha preso il via dallo stesso Paolo Maurensig, che ha riscritto il testo sia della parte narrata che delle canzoni, portate in scena in questi anni da Milva e da Walter Mramor in qualità di voce recitante. La musica del resto, come ha ricordato più volte lo scrittore goriziano, rimane tuttora una delle sue grandi passioni, esplicitata chiaramente in un altro dei suoi libri come “Canone Inverso”. E della musica Maurensig, prima di diventare scrittore a tempo pieno, ne aveva fatto una professione, esercitando per diversi anni l’inusuale mestiere di liutaio. Scacchi, musica e letteratura insomma sono le grandi passioni di Maurensig, e con quest’ultima è riuscito, con la sua scrittura elegante e raffinata e soprattutto mai pedante, a conquistare milioni di lettori in tutto il mondo; non ultimi gli amici di Caffè Letterario, grati anche per questa sua visita a Lugo.

giovedì 12 marzo 2009

"L'avventura per immagini" di IVANO NANNI

Sull'incontro con Folco Quilici di domenica 8 marzo.
Una delle ragioni per cui il caffè letterario lughese è così apprezzato ben oltre i confini della provincia e della regione è che si fanno incontri letterari di grande rilevanza. È stato elaborato un progetto culturale, creato un contesto adeguato, e realizzato grazie all’impegno costante dei suoi proponenti. Per cui quando ieri sera Folco Quilici ha fatto la sua comparsa nella sala delle conferenze dell’hotel Ala d’oro è stato come se un pezzo della cultura italiana si fosse materializzata come per miracolo. Non è stato il solo, si dirà. Anche altri autori importanti hanno raccontato il loro libro dal palco del caffè. Ma effettivamente Quilici è qualcosa di più. È stato davvero un pioniere della cultura in Italia, aprendo la strada al documentario d’autore quando nessuno nemmeno se lo sognava. E ne ha dato un assaggio subito dopo aver parlato del suo libro di avventure. Si sono viste immagini spettacolari per ambientazione e inquadrature. Immagini delle isole Bismark, ad esempio, realizzate nel 1955. Pensiamo agli anni e a quelle immagini. Il 1955. Chi le ha viste allora poteva veramente pensare che venissero da un altro pianeta. Era l’irruzione dell’esotico nell’impianto culturale italiano. Una cosa mai vista e stravolgente. Quilici esplorava la vita di quelle popolazioni con la curiosità del geografo e dell’antropologo. L’immagine eloquente di una mascella di squalo lambita dalle onde su una spiaggia deserta preludeva, come si è visto, a un rito iniziatico. Mostrava come tutti i ragazzini di un villaggio per diventare adulti e pescatori dovessero passare attraverso la fauci enormi e dentate di uno squalo. Da quel momento, come spiega Quilici, si diventava uomini pronti a lavorare, ad affrontare il mare e gli squali. Poi, siamo nel 1970, è sempre il mare, onnipresente nei suoi viaggi, a raccontare la storia di altri uomini. E si descrive un rito di sposalizio tra la terra e il mare che si spinge ai primordi della storia. Questa volta siamo in Giappone, e protagonisti sono altri pescatori. Il vincolo che unisce mare e terra è simboleggiato da una fune enorme che i pescatori tendono tra due rocce che emergono dall’acqua. Una seconda fase del rito prevede che si getti cibo in acqua per i marinai scomparsi, che in questo modo partecipano al banchetto nuziale. A Bahia, invece, la gente acclama trionfatrice e dea del mare una sirena, alla quale fanno doni propiziatori. Una sirena bionda che ricorda le nostre madonne. Una simile emerge dal mare a Mongibello, Italia, in un rito cattolico ma che probabilmente ha lontani tratti animistici come quelli brasiliani. Per tutta la vita Folco Quilici ha trattato il mare e le acque come fossero personaggi veri delle sue storie narrate per immagini, o a parole, come nei suoi romanzi. Ha trovato legami inconsueti tra paesaggi nostrani come le valli di Comacchio e le foci di fiumi asiatici, tra il Mediterraneo e il grandioso delta de Rio delle amazzoni. Con le sue immagini terse ed evocative, ci ricorda che per la mente di un viaggiatore e romanziere cercare delle trame significa leggere la storia del mondo attraverso il suo ambiente, fatto di natura,uomini e lavoro.
di Ivano Nanni

La serata con FOLCO QUILICI

Ancora una serata da tutto esaurito per Caffè Letterario quella di domenica 8 marzo con lo scrittore e documentarista Folco Quilici che ha presentato il suo ultimo romanzo “Libeccio” edito da Mondatori nel 2008. La serata è stata introdotta dal curatore di Caffè Letterario Marco Sangiorgi e si è conclusa con il brindisi consueto, offerto in questa occasione dalla cantina Villa Bagnolo con il suo ottimo Sangiovese Sassetto. Insomma un’altra grande serata e un grande onore per Caffè Letterario avere ospitato un “monumento” della cultura italiana, come Folco Quilici che con il suo romanzo “Libeccio” ha voluto scrivere un inno alla libertà, raccontando la storia vera di un vecchio zio del padre, che, anarchico nella Toscana di fine ottocento, tentò la fortuna in America. Un libro d’avventura veramente avvincente che si fa leggere tutto d’un fiato. E d’altronde chi meglio del pioniere del documentario naturalistico in Italia ci poteva parlare di civiltà lontane, terre incontaminate e di oceani sconfinati? E proprio a fine serata Quilici ha raccontato della sua carriera di documentarista, coadiuvato dalla proiezione di alcune suggestive immagini tratte dai suoi tantissimi lungometraggi girati per il mondo. Un grazie di cuore quindi a Folco per la bella serata, con la speranza di poterlo riavere a Lugo, questa volta nella figura di regista, a presentare uno dei suoi bellissimi, film nella rassegna di Caffè Letterario Cinema.