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Sala conferenze - Hotel Ala d'Oro

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giovedì 6 dicembre 2012

La serata con ANDREA MOLESINI


Ancora una splendida serata a Caffè Letterario in compagnia dello scrittore veneziano Andrea Molesini e del suo romanzo “Non tutti i bastardi sono di Vienna” edito da Sellerio nel 2010. Romanzo splendido, affresco di un periodo, quello degli ultimi anni della Prima Guerra Mondiale ingiustamente trascurati sui banchi di scuola. Sicuramente uno dei romanzi storici più belli degli ultimi dieci anni: un capolavoro di stile, contenuto e cultura. Straconsigliato!
Autunno 1917, Caporetto. Gli austriaci arrivano al Piave. Villa Spada, a pochi chilometri dal fiume, viene requisita e diventa un comando nemico. La famiglia Spada si scopre, d’improvviso, prigioniera in casa propria. La storia è raccontata in prima persona da Paolo, un diciassettenne che nell’ultimo anno della Grande Guerra conosce per la prima volta l’amore, la gelosia, la vendetta, e capisce che vincitori e vinti sono lo stesso impasto di eros e di polvere, avviliti dalla stessa tragedia che travolge nazioni e famiglie, e mette a soqquadro ogni ordine conosciuto. «A generali cretini seguiranno caporali cretini», profetizza il nonno. Così il ragazzo si fa uomo, mentre l’Italia sconfitta prepara la riscossa.
Personaggi vigorosi calcano la scena. C’è una nonna matematica, che oppone al nemico la muraglia del proprio garbato disprezzo. Un nonno che si finge scrittore per scansare le grane e sfida il mondo con sentenze al vetriolo. Una zia malinconica e ardente – di lei s’invaghisce il comandante nemico – che regge le sorti della casa con astuzia e prudenza. C’è il segreto custodito dal guardiano Renato, zoppo ma fiero: «Dalle mie parti sgozziamo il cinghiale, non il porco, e i falchi per noi sono polli». C’è Teresa, una cuoca coriacea che in quell’anno di carestia trasforma un ratto in un arrosto di coniglio, e sua figlia Loretta, graziosa ma di poco cervello, che per gelosia combinerà un guaio terribile. E poi c’è Giulia, una giovane ricca, rossa, sfacciata, che fa innamorare al primo sguardo, protagonista di uno scandalo di cui tutto si sa e niente si dice. C’è don Lorenzo, un prete sanguigno che castiga il mondo con lo spiffero fetido del suo alito e un bizzarro, talvolta involontario, umorismo. E infine il barone von Feilitzsch, l’invasore, che presto si rende conto che i vincitori di Caporetto perderanno la guerra, la patria, tutto: la sua tristezza si fa via via più devastante, come quella degli italiani soggiogati. Vivere in una casa invasa. Come non pensare che questa sia la metafora della nostra condizione di uomini occidentali all’alba del terzo millennio? Ci sentiamo tutti costretti in un ruolo che non ci appartiene, deciso da altri, chissà quando, chissà come. Nessuno interpreta la parte che vorrebbe recitare. Il ruolo di “ospite in casa propria” è quello di ciascuno di noi, ora, qui.






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