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sabato 14 dicembre 2013

"Le vite -altre-" di Ivano Nanni

Sull'incontro di mercoledì 11 dicembre con lo scrittore Osvaldo Guerrieri che ha presentato il suo saggio "Col diavolo in corpo" edito da Neri Pozza.

Non si può pensare al maledettismo poetico senza associarlo al vagabondaggio, all'uso di sostanze stupefacenti, all'erranza concettuale e allo spirito di diniego e di mostrificazione dei comportamenti che poeti e artisti vissero con rigore certosino da veri monaci della depravazione e cultori della sulfurea dimenticanza di ogni savoir faire borghese.
Questi comportamenti, questo “vivere altro”, questo vivere oltre,  non erano solo conseguenti allo spirito di una legge e di un assioma come -epater les bourgeois-,che pure era una cifra necessaria ma era la commistione della poesia con il corpo e le sue pulsioni, senza l'inciampo del Parnaso  dei suoi poeti laccati,  degni di nota ma alla fine stopposi elementi d'arredo nel salotto della petite dame de la ville.  
Quando Verlaine scrisse il famoso saggio che aprì la stagione all'inferno dei maudits tracciò una via oscura da percorrere “sul battello ebbro” in una erranza che annegava i malumori dei suoi adepti nell'assenzio e nell'haschish dove tutti i ragguardevoli poeti della compagnia, tra cui uno eccelso, avrebbero marcato il territorio sconfinato dell'arte con uno sputo sprezzante sulle carte di arcadici sonetti. Essi scelsero deliberatamente una parola che definisce chi compie una cattiva azione e nello stesso tempo chiude la stagione inquieta del romanticismo per aprirne un'altra ancora più agitata. Il maledettismo è una chiamata fuori della società prima che una uscita dalla patria delle belle lettere è un clamoroso urlo contro tutta l'apparenza delle mode e della bellezza in senso classico.
Rimbaud scrive una lettera a un poeta parnassiano, de Banville credo dimenticato dai più, nella quale enuncia che la sua Saison a l'enfer spedisce tutti quanti loro nel regno delle ombre poetiche, e in un'altra lettera a Paul Demeny, avverte che solo con la sregolatezza di ogni comportamento si diventa veggenti e si accede alla terra ignota, a “quell'inconnu”, a quella terra ignota che è la sola meta per il poeta e oggetto di rivelazione.
Il maledettismo è l'ultimo tratto del romanticismo, probabilmente il suo apice insuperabile,la vetta fredda dove dimorano le aquile di un'altra poesia. Dentro a questo -ismo- che la definisce come corrente c'è tutto quello che comunemente si definisce una vita sprecata. Verlaine rompe ogni indugio e ammette che l'artista sia qualcosa che somiglia a un depravato e che non  ha paura delle conseguenze. Sprecare la vita diventa un imperativo kantiano, quello che conta non è conservarsi ma raccontarsi senza il ritegno dovuto alle convenzioni.
-Tutto va bene nel peggiore dei mondi possibili- così sentenziava Dino Campana senza un briciolo di speranza in corpo  inchiodato a vivere nella cosidetta normalità, nonostante una scrittura poetica abissale lo consegnasse fuori dal mondo, mettendo anche lui come altri la sua firma in calce a una pagina storica nella quale molti artisti scrivono col sangue la loro vita. Poesia e vita. E non una vita qualunque ma quella fuori da ogni schema borghese.
di Ivano Nanni

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