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Sala conferenze - Hotel Ala d'Oro

Via Matteotti, 56 - 48022 Lugo di Romagna - (Ravenna) - Italia
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mercoledì 7 maggio 2008

UGO ZOLI a Caffè Letterario

Serata da non perdere, Venerdì 9 maggio alle ore 21,00 nella sala conferenze dell'Hotel Ala d'Oro, per il secondo incontro del mese di Caffè Letterario dedicato questa volta al teatro. Protagonista l'autore lughese Ugo Zoli che presenterà il suo volume "Burlesca e altri pezzi teatrali" edito pochi giorni or sono dalle "edizioni del Bradipo" di Lugo. A sottolineare l'importanza della serata a introdurre i "pezzi teatrali" di Zoli sarà il Prof. Arnaldo Bruni ordinario di Letteratura italiana all'Università di Firenze. Nel corso della serata gli attori Tamara Fagnocchi e Massimo Boncompagni faranno vivere i personaggi di Zoli in una serie di letture tratte dal volume presentato. Ugo Zoli è nato a Lugo nel 1922. Per quasi trent'anni ha insegnato Letteratura italiana al Liceo Scientifico di Lugo restando nel ricordo di suoi tantissimi allievi come uno dei pochi "grandi" professori del Liceo.
"Peccati di vecchiaia" di Ugo Zoli
L’autore delle schegge teatrali contenute in questo volume è nato a Lugo nell’ottobre del 1922 e vi ha visto la luce nell’aprile del 1945. Fra le due date è corso un periodo buio, nel quale il nostro soggetto si è trovato a vivere in una specie di materiale amniotico fatto di berci, di inni sguaiati, di messe piane e cantate, di bestemmie e di spari, tanti spari, per produrre i quali anche lui fu ammaestrato e addestrato, ma che non ebbe mai occasione di dirigere verso qualcun altro, perché il caso o l’occasione cercata o “i noti eventi bellici” ne lo stornarono. La sua mancanza di iniziativa fu dovuta, oltre che al carattere poco incline all’azione violenta, alla confusione che mulinava nella sua testa fra i doveri ufficiali, inculcati dalla scuola, dalla stampa e dalli superiori, e doveri morali insufflati dalle cure parentali e dalla religione ufficiale. Inoltre, alcuni scritti di persone defunte, ma divenute personaggi famosi, autori inclusi nei programmi scolastici, scontrandosi con la becera retorica di molti virilissimi viventi che incitavano all’assalto, e con i devoti borbottii di nonne madri e sorelle che invitavano ad inchinarsi al mistero, aggiungevano confusione a confusione, rendendo pallido e muto un giovanetto nato robusto e chiacchierino. Dopo l’aprile del 1945, alcune degne persone, sfiorate per brevi istanti di colloquio, chiarirono al giovane che c’era stata un po’ di confusione, in Italia oltre che nella sua testa, e che quelli che prima urlavano avevano torto mentre i clandestini avevano ragione. E la gran massa? “Le masse” gli fu garantito, avrebbero dirizzato tutte le storture. Ma, edotto da quel poco di esperienza fatta, e dalla voce pigolante ma chiara del conte di Recanati, il nostro sentiva, più che pensare, che le masse sono composte da un uomo più un uomo più un uomo e così via, e che quando questi uomini diventano massa tendono a riempire le piazze di canti applausi e boati di consenso al primo che ha guadagnato il balcone e indica la direzione del vento. Il quale vento spira sempre dove i furbi puntano il soffio e i babbei dirigono il naso. Però, almeno, adesso si poteva parlare, esprimersi, far sentire la propria voce. Il nostro, credendosi aver qualche po’ di voce, e comunque volendo scaricare nella parola certe sue tensioni, mise fuori voce e parola: si ebbe qualche riconoscimento, un piccolo premio, qualche sua opera fu rappresentata non come l’aveva scritta ma secondo i dettami della imperial regia papalina censura, che ridusse dei testi vacillanti a sgangherate insensatezze, poiché la censura non si era applicata a pesantezze sessuali, che non c’erano, ma a battute impertinenti (nel senso di “non pertinenti” al retto pensare e alla giusta morale). Una gentile signora gli garantì di aver visto quella commedia, di essersi divertita, ma di non averci capito niente. Dall’altro canto, arrivavano scomuniche e ostracismi per chi non adorasse Brecht, non recitasse le litanie a Brecht e non scrivesse come Brecht. Allora, non sentendosi nell’animo la vocazione a fare il chierico in alcuna chiesa o convento, decise di volgersi a cose più serie. E di serie in serie, arrivò all’età della pensione. Aveva cominciato a scrivere, da scolaretto, col pennino Perry (in occasioni eccezionali con la penna “campanile”); era passato alle stilografiche con pompetta, alle biro, alla Olivetti 22, per approdare al computer che rendeva tanto più agevole la scrittura. Perché, allora, non tornare ai vecchi amori, come spesso si fa in età matura, non potendo intrecciarne dei nuovi? Ci sono ore, giorni, settimane, da ammazzare! E c’è un residuo di voglia di parlare, senza essere interrotto in continuazione dagli interlocutori e senza essere sommerso dai loro strepiti. Solo, davanti al computer, sorridendo ai cattivi umori che se ne vanno fuori con le battute acide e le morti incongrue, le apparizioni d’uso nel paese dei miracoli e le riletture maliziose di testi e personaggi più o meno famosi. Insieme con la solita, repellente ma ineludibile “ricerca del tempo perduto” e rivisitazione delle ombre passate. Ma senza ignorare le carognate che il presente gli ributtava in faccia, tanto simili a quelle che aveva conosciute nella sua frastornata pubertà. Tornavano, tornavano le vecchie solfe, le parole d’ordine in lode del disordine, le invettive contro il rispetto della legge in nome della forza (questa volta, del denaro), le conversioni e le inversioni di rotta, l’astuto ossequio alla retorica del momento, in nome della carriera, della famiglia e dello sniffo. Tornarono i Mario Appelius e gli Ezio Maria Gray con le “cronache del regime”; i Farinacci e i Bombacci con le loro sparate contro tutti i non allineati, specialmente se sodali appena di ieri; e, in mancanza dei fasti dell’Impero e delle imprese sabaude, li si vide radunati sotto i fastosi baldacchini di San Pietro e intorno alle redditizie imprese dell’Opus Dei e delle emittenti televisive. Pazienza: natura non facit saltus, figuriamoci se lo fa l’Italia! Non era sperabile una mutazione antropologica nel giro di settant’anni. Il nostro, giudicandosi inadatto a vivere, volle continuare a vegetare nella dilettosa selva delle contraddizioni proprie e altrui, usando le parole per svalutare la Parola, irridendo alle deficienze proprie con l’attribuirle ad altri, cercando le profondità dell’Essere nella superficie dell’esistere. Finché si può; e il Cielo e il servizio sanitario lo permettono. Così, sostenuto dal benevolo consenso di pochi amici e dalla fantomatica presenza dei santi protettori dell’Unione europea (fra gli altri, per l’Inghilterra, Bertrand Russell e Winston Churchill; per l’Italia, Gaetano Bresci e papa Roncalli; per la Germania, Albert Einstein e Richard Strauss), passò le sue giornate a scrivere prose teatrali soprattutto per il gusto di far parlare i personaggi uno alla volta, in contrasto con le esibizioni della avvinazzata coralità indigena. Secondo le più recenti previsioni manifestate, e le manifeste debilitazioni fisico-neuronali, il nostro prevede che toglierà le tende e l’incomodo senz’altro entro il secolo corrente, ma forse anche nel giro di pochi mesi, chissà, si vedrà… In ogni caso, si scusa per il fumo con cui coprirà, per un breve tratto e per brevissimo tempo, questa amabile terra, e scomparirà verso un problematico cielo.
Ugo Zoli visto da Carmine Della Corte

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