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sabato 31 gennaio 2009

"Io sto con voi" di IVANO NANNI

Sull'incontro con Eraldo Affinati di mercoledì 28 gennaio
Io sto con voi. (dalla parte degli ultimi nella città dei ragazzi). Con quei ragazzi che sono partiti dai loro paesi africani in cerca di una vita migliore in Italia, l’insegnante Affinati trova un linguaggio comune, ne conquista la fiducia ed esercita l’antica arte della maieutica. Quella strana scuola di vita e di amore che apre le porte al desiderio e all’intima vocazione dei ragazzi di trovare il loro posto tra altri come loro o meglio di loro, è un ibrido scolastico nel pieno delle sue facoltà propositive. Nel lavoro di insegnante, che non sempre gratifica, c’è la traccia vera di un percorso che parte da un cuore per arrivare a un altro cuore passando il reticolo delle improvvisazioni, della retorica, dei mimetismi. Sul palco di quella scuola il capocomico è nudo, risparmia ai suoi allievi le battute e i copioni logori, si avvicina a loro con la cautela del cacciatore. Nella città dei ragazzi non è possibile giocare di rimessa è una partita che si gioca alla pari, con chi è partito dal nulla non si può bluffare. All’inizio dell’avventura c’è stato il reverendo Carroll Abbing, e la fiducia nella provvidenza divina, nel lavoro degli uomini, nella capacità di decidere come istituire un percorso di umanità. A chi non aveva niente, agli orfani di guerra, si dava un tetto e da mangiare per sopravvivere. La certezza di non morire di fame, di un posto dove dormire, e la possibilità di crescere ricostruiva un poco alla volta la speranza che la guerra aveva sepolto, e diventava la ragione su cui innestare la fiducia nell’avvenire. Da questo prese avvio un' avventura educativa che ricorda quello che fece Don Milani a Barbiana con i figli dei contadini: dare un istruzione, un futuro, costruire delle persone consapevoli. Ora in questa particolare città-scuola, ci si misura con i figli di altri contadini, con i figli di altre miserie. Vengono da lontano, dai deserti dall’Africa e dalla guerra in Afghanistan, e in Italia, semplicemente cercano di salvarsi, di trovare un posto dove stare meglio, istintivamente fiutano una possibilità da un’altra parte, in un altro mondo. Questo li spinge a tentare l’avventura, a mettersi in viaggio. Se questi giovani, non avessero lasciato giovanissimi le loro case, prendendo sulle loro spalle fragili il peso di un viaggio tutto sommato nell’ignoto, sarebbero rimasti a pencolare attorno al pozzo riarso del loro villaggio nella certezza che il futuro per loro non sarebbe mai esistito. A tutto questo la città dei ragazzi pone una barriera. In un senso vero e mai retorico li salva dal loro destino segnato dalla povertà, concede loro la possibilità di crescere e di conoscere le potenzialità che hanno dentro, che loro stessi ammettono di avere raccontando le loro storie che annientano per la crudezza delle immagini che evocano, e con le quali dobbiamo pur convivere una volta che ne siamo a conoscenza. E qui emerge come da un pozzo il senso del fare scuola in quella particolare condizione e che davvero travalica il concetto di insegnamento. Il contatto che si stabilisce con questi ragazzi diventa impegnativo come un atto notarile, è davvero un farsi carico dello sguardo altrui, come dice Affinati, diventa decisivo quel legame che prevede un' attenzione nuova, è carico di attese e di premonizioni. Forse l’insegnante, qui, in questo modo, con un nuovo senso di responsabilità diventa qualcosa di più di un semplice trasmettitore di conoscenza, diventa una guida per muoversi nel mondo appena conosciuto, quasi un navigatore satellitare che ha in sé le mappe del mondo di ieri e di oggi e le adatta a chi ha davanti.

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