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giovedì 24 gennaio 2013

"La storia di un marziano" di IVANO NANNI


Sull'incontro di mercoledì 23 gennaio con Gino Ruozzi e il suo libro “Ennio Flaiano. Una verità personale” edito da Carrocci Editore.

Ennio Flaiano dice di se stesso:
“Io forse non ero di questa epoca, non sono di questa epoca, forse appartengo a un altro mondo: io mi sento più in armonia quando leggo Giovenale, Marziale, Catullo, è probabile che io sia un antico romano che sta qui ancora, a scrivere cose che gli altri hanno scritto molto meglio di me...” (da una intervista alla Radio della Svizzera italiana del '72). Ennio Flaiano con molto senso della realtà e dell'humor si colloca in un altro mondo, un mondo che non c'è più dove lui si trova bene, fuori dal chiasso e dalle convenzioni.
Il suo nome si prestava molto bene a una latinizzazione, poteva effettivamente essere letto come Ennius Flaianus e in qualche caso così venne percepito come un antico epigrammista, uno scrittore latino classico, qualche riga indietro ai sommi che aveva citato, dove lui si collocava, uno scrittore satirico minore del xx secolo. Leggibilissimo ora forse più di allora, non contemporaneo ma attualissimo come non lo sono certi contemporanei polverosi, vecchi e inutili prima ancora di entrare in libreria, naturalmente buoni venditori di confezioni di successo. Oggi si può dire senza forzare la realtà che Flaiano è tornato.    
Il libro di Gino Ruozzi libera Flaiano dalla gabbia di una percezione troppo ristretta,(il creatore di epiche battute), per scoprirlo come un letterato di vaglia europea quale era. Egli non si riteneva e non era un uomo spiritoso come venne più volte etichettato, non aveva il passo dell'uomo leggero che scherza come amano fare i comici italiani, Flaiano insieme a pochi altri era un umorista vero e come tale non poteva che essere un uomo serio, malinconico, e amaro, poco compreso dalla società delle belle lettere che considera l'umorismo scritto una linea letteraria minore da non considerare seriamente. Il problema dunque è sempre stato questo, una seriosità ingombrante della critica e della letteratura, e una percezione non favorevole di una società tutta intera orientata più verso la burla, lo scherzaccio greve, lo sberleffo goliardico piuttosto che per la ricezione di un aforisma profondo, umano, non retorico.
Autore eccelso di libri nati stanchi, scritti in overdrive con la marcia lunga inserita, fluidi, meditati, sofferti, libri da studio e da comodino, pubblici e intimi allo stesso tempo mai urlati, sempre ironici.
Ogni suo libro è un livre de chevet, quasi un breviario, è il caso di dirlo. Apriamone uno a caso e funzionano tutti. In ogni pagina  si trova sempre qualcosa di memorabile, ci si imbatte sempre in una luce costante che illumina ogni angolo cieco con una frase, una descrizione, un commento.  Prendete un suo libro (Flaiano probabilmente sarebbe contento di questa casualità) e, prima di dormire  leggete una pagina  sempre a caso, potete trovare un apologo sulla  società degli orrori che si profila all'orizzonte, un raccontino sul cambiamento, in peggio, della vita notturna romana, oppure potete leggere un breve saggio d'arte o di architettura, una poesia o un articolo di satira politica, un commento sapido contro gli sprechi pubblici, un aforisma fulminante, un epigramma sulla caducità della vita, una confessione,  un commento su Manzoni e uno su Leopardi, un'invettiva, uno frammento di sceneggiatura, un dialogo teatrale. Tale è questo grande scrittore eclettico e polimorfo per nulla pigro, ma scontento di se stesso, con lo straordinario talento di non imporre la sua presenza. Flaiano scrive come stesse di lato all'argomento in una prospettiva di sbieco, palleggiando il tema, creando un'anamorfosi, un oggetto che si percepisce solo spostando l'angolo di visione. Come in  un quadro famoso di Hans Holbein dove l'oggetto anamorfico è un teschio, Flaiano traccia il suo oggetto deformato, la malinconia del vivere, in una serie infinita di cronache che prendono le forme letterarie più varie.
Su questa verità concentra tutte le sue forze di cronista, di redattore cupo (come era chiamato nella redazione del “Mondo”), della dissoluzione sociale, descrivendo in modo mirabile come tutto si corrompe all'insegna dell'insipienza. E lo fa senza far pesare il pensiero sulla frase costruendo un mare magnum e incognito dove perdersi è davvero rinfrancante, specie dopo letture di romanzi che spariscono man mano che si leggono, al contrario della sua opera intera, interviste comprese, mai retorica e scontata, e soprattutto mai noiosa. E non è poco.
di Ivano Nanni

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