Paolo
Pombeni è stato ospite del Caffè Letterario di Lugo venerdì 11 maggio 2018 per
presentare il suo libro "Che cosa resta del ‘68” edito da Il Mulino.
Per
chi scrive libri presentarli e dibatterli in pubblico è una specie di appendice
naturale. E’ anche un esercizio che per coloro che non appartengono allo
star-system (ma quelli ormai più che altro esercitano nei salotti televisivi)
non sempre è molto appagante. E’ difficile soprattutto nelle grandi città
raccogliere pubblico e anche quando ci si riesce non di rado è un pubblico di
amici che intervengono per testimonianza di affetto con aggiunta di un po’ di
uditori occasionali.
Poi
però ci sono le eccezioni, quelle che si incontrano nei centri dove le reti
sociali ancora funzionano, dove le comunità condividono interessi e valori,
dove rimane una osmosi fra la vita di tutti i giorni e quello che scorre nei
percorsi intellettuali che i libri veicolano.
Il
Caffè Letterario di Lugo rientra sicuramente fra queste eccezioni, perché
raccoglie davvero una comunità di persone interessate, e interessate perché
partecipi di un circuito di vita e di impegno. Non è un ambiente da “curiosità
letterarie”, è un piccolo mondo di persone che aprono le proprie esperienze
quotidiane all’aria fresca delle riflessioni che arrivano da fuori.
E’
una atmosfera che si percepisce già a livello direi fisico fin dall’incontro
con gli animatori di questo straordinario caffè, grazie alla convivialità che
precede il momento del dibattito. D’accordo, siamo in Romagna e il cibo è
qualcosa di più di una necessità del corpo per la sua sopravvivenza: è una
cultura, dunque un’esperienza prima ancora mentale che sensoriale. Però anche
le tradizioni possono ridursi a liturgie che hanno perso la vivacità delle
proprie radici. Ma qui non è così, anzi al contrario.
Segue
l’esperienza dell’incontro col pubblico, che sa davvero di quel sedersi insieme
ai tavoli di un virtuale caffè, anche se avviene in una bella saletta.
L’atmosfera è infatti quella di un contesto in cui c’è la curiosità di
conoscere l’ospite, di porgli la famosa domanda omerica: chi sei tu e donde
vieni e dove vai fra gli uomini? Così il dialogo si dipana come qualcosa di
vivo in cui anche il pubblico vuole rendersi conoscibile all’ospite, che
apprende l’esistenza di una collettività in cui le reti sociali resistono pur
nella complicazione dei tempi presenti e il desiderio di essere parte attiva di
quella che Max Weber chiamava una “comunità di destini” è ancora motore di
sviluppo per i singoli e per le formazioni sociali in cui svolgono la loro
vita.
Sarà
anche perché Lugo, come ti raccontano facendoti passeggiare per le sue vie e
guardare alcune sue architetture, è stata una storia di “mercati”, cioè di
luoghi di scambio, di incontro di persone e di vicende dietro i prodotti che si
espongono: un “pavaglione” che invita a cercare di cosa si ha bisogno e ad
individuare la persona giusta che può rispondere, con i limiti umani
ovviamente, alle tue domande.
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