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Sala conferenze - Hotel Ala d'Oro

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giovedì 31 gennaio 2008

Domenica 3 febbraio, Le fotografie di Marcello Galvani

Cambio di data per il prossimo incontro di Caffè Letterario. L’inaugurazione della mostra fotografica “6x7” di Marcello Galvani si terrà domenica 3 febbraio alle ore 18,00 nella sala conferenze dell’Hotel Ala d’Oro alla presenza dell’autore. Serata quindi anticipata di un giorno rispetto a quella segnalata nel programma ufficiale. All’incontro parteciperà il fotografo cesenate Guido Guidi. La mostra rimarrà aperta fino al 24 febbraio. Al termine degustazione di Prosecco offerta dalla Cantina Zardetto di Conegliano. 6x7 Marcello Galvani 03 febbraio/ 24 febbraio 2008 "Esistono solo le coincidenze" Henri Cartier-Bresson
Marcello ha intitolato la mostra 6x7, come il formato (espresso in centimetri) del negativo delle sue fotografie, perché da subito vuole spiegarci, alla sua maniera sottile e intelligente, che nel suo lavoro “forma e contenuto sono la stessa cosa” (John Szarkowsky). Mi spiego meglio, e mi aiuto con un esempio da un saggio di Geoff Dyer nel quale due famose fotografie di Dorothea Lange e Garry Winogrand sono messe a confronto. In entrambe è presente un cappello, ma mentre nella foto della Lange il cappello “più sgualcito di tutta la Depressione” è un simbolo della tragica situazione economica americana degli anni ‘30, “un indicatore affidabile dei danni arrecati agli uomini da forze economiche estranee alla loro comprensione”, nella foto di Winogrand “il cappello è un cappello e basta”, si trova lì per puro caso, ma ripreso così su quell’attaccapanni a stelo “lungo e scarno come un Giacometti ma ancora più elementare, simile a una stecca da biliardo, è come se nella fotografia ci fossero tre persone, due delle quali portano il cappello”. Come disse Szarkowski alla mostra New Documents (1967) ciò che distingueva fotografi come Winogrand, Diane Arbus e Friedlander da predecessori come Dorothea Lange era che questi ultimi “fotografavano al servizio di una causa sociale per mostrare cosa non andasse nel mondo e convincere i loro simili a intervenire”. Al contrario, “una nuova generazione di fotografi ha diretto l’approccio documentario verso nuovi scopi maggiormente personali”. La fotografia di Marcello va appunto in questa direzione: non c’è un intento reportagistico, nessun commento sociale (alla Walker Evans: “NO POLITICS whatever), piuttosto una visione personale, intima ed eccentrica delle cose che lo circondano, nella quale ciò che interessa l’autore è, semplicemente, vedere come appare il mondo se fotografato (la citazione è ancora di Winogrand), vedere la differenza tra una scena vista con gli occhi e ciò che succede nella fotografia, cosa cambia passando dalla tridimensionalità della visione alla bidimensionalità. Ai fotografi, si sa, piace andarsene in giro. Le fotografie qui presentate sono state prese nei dintorni di Massalombarda fra il 2006 e il 2007. Non seguono schemi determinati o preconcetti, non c’è una vera e propria progettualità, probabilmente l’autore non aveva in mente nulla di particolare mentre le scattava, sono solo la naturale conseguenza di incontri giornalieri e casuali con persone e luoghi più o meno familiari al fotografo, ma in questo girovagare quotidiano Marcello sembra avere il controllo tecnico ed estetico della situazione, al punto da essere lui stesso, a volte, sorpreso dalle proprie composizioni, nelle quali una situazione poco interessante sulla carta (e cioè nel mondo tridimensionale, nella realtà, ecco il paradosso!), si carica di una forza a volte ironica, a volte enigmatica, a volte surreale, quando la ritroviamo a due dimensioni sulla stampa. In questo e nell’utilizzo del colore stesso come forma emerge l’influenza di William Eggleston, che lavorava “non come se il colore fosse un elemento separato, un problema da risolvere di per sé stesso, ma piuttosto come se lo stesso mondo esistesse a colori, come se l’azzurro e il cielo fossero una cosa sola” (Szarkowsky), e le cui fotografie “sembrano scattate da un marziano che ha smarrito il biglietto di ritorno e che finisce per andare a lavorare in un negozio di armi di una cittadina vicino a Memphis”, e che “passa i fine settimana a cercare quel biglietto perduto – deve pur essere da qualche parte –“ nei posti più assurdi e impensati, fin “sotto il sedile del triciclo minaccioso di un bambino” (Dyer). Mi sono un po’ dilungato su Egglestone ma sarebbe stato impossibile non citarlo. Riprendo il discorso di prima e concludo. Nella fotografia di Marcello, dunque, la realtà non viene re-inventata, ma soltanto re-incontrata, e anche noi spettatori re-incontriamo situazioni comuni, “banali”, sulle quali probabilmente non ci saremmo soffermati (e qui è evidente la lezione di Guido Guidi, di cui Marcello è stato allievo) ma che forse nascondevano qualcosa di interessante che ora ci viene svelato in un perfetto equilibrio formale. L’aspetto interessante, per dirla in maniera molto semplice, è proprio questo: che anche la banalità, se affrontata con raffinatezza, può essere bella. A meno che la banalità non sia negli occhi di chi guarda. Luca Nostri

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