


Scrive di lui Ermanno Cavazzoni: "A Modena chi soggiorna come ospite nella casa dello scrittore Ugo Cornia può avere un’esperienza che chiamerei filosofica. Ugo Cornia è nel palazzo l’unico inquilino della Comunità Economica Europea, mentre gli altri inquilini sono tutti parecchio scorbutici e leggermente razzisti nei confronti di Cornia. Arrivati al secondo piano di via della Cella 35, c’è sulla destra il suo appartamento. Una volta entrati si nota ad esempio che le serrande ci sono ma non si possono alzare; quelle aperte viceversa non si possono ormai più abbassare e lì ha nidificato il piccione, che poi da vecchio ci viene a morire. All’interno delle stanze gli oggetti (che tendono al basso), giunti a terra, lì quasi sempre rimangono, senza distinzione tra cavi elettrici arrotolati, borse sportive, scarpe sportive con calze, sedie o gambe isolate di sedie; di modo che il visitatore in transito auspicherebbe un camminamento sopraelevato, ad esempio su passerelle, come si vedono a Venezia con l’acqua alta. E per tutta la casa, ma specialmente in cucina, corrono liberamente gli scarafaggi, i quali non temono niente, se non i libri, che sono usati da Ugo Cornia per minacciarli, e abbattere i più tracotanti con un lancio fulmineo. Il libro poi resta nel punto in cui è stato scagliato, e su di esso gli scarafaggi innalzano le loro teorie riguardo la vita, la morte, la volontà suprema che c’è dietro ogni libro: se nel libro c’era scritto il destino dello scarafaggio schiacciato, se avendo accesso alla biblioteca si potrebbe conoscere il destino di tutti, se gli scarafaggi creeranno mai una civiltà e come sarà. Lo scrittore Giampaolo Morelli dice che è la casa di Cornia la civiltà già creata in terra dagli scarafaggi, entro la quale Cornia si muove come Yahwèh nella Bibbia. Le stanze da bagno sono due: una senz’acqua, l’altra senza i sanitari, a significare una verità filosofica ancora però non formulabile, e a contrastare in ogni caso le smanie umane, l’ubbidienza passiva alla prostata, la boria, il lusso, la fretta di questo forsennato secolo. Su tutto si stende un manto leggero e uniforme di polvere, che simboleggia il tempo che scorre. E anche sull’ospite che eventualmente cerca di prendere sonno, si stende durante la notte questo velo impalpabile, che lo eguaglia a ogni altra cosa giacente per terra, con la differenza che l’ospite viene interpretato dagli scarafaggi come il profilo del monte Sinai."
Per me il mestiere di scrivere non è un mestiere. Se io, con un libro, guadagnassi moltissimo sarei contentissimo, ma cercherei di considerarla una vincità alla lotteria, una botta di culo. Credo che tutte le cose che ci piacciono vada evitato di trasformarle in mestieri. Per come sono fatto io, io cerco anche di non farne una pratica quotidiana, aspetto che arrivi nella mia testa qualcosa che ha proprio bisogno di essere scritto per forza, come se questo qualcosa mi dicesse adesso ti metti a scrivere perché io oggi ho proprio bisogno di prendere un po' d'aria e di uscire all'aperto. Quando mi capita che ho scritto due o tre pagine, dopo, per venti giorni faccio qualcos'altro: lavoro, vado a spasso, gioco a calcio, leggo etc. come quelli che non scrivono. Io direi "il divertimento di scrivere" nei periodi contenti o "il bisogno di scrivere" nei periodi frustrati.
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