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giovedì 27 novembre 2014

"Seminatore di zizzania" di IVANO NANNI

Sull'incontro di mercoledì 26 novembre con lo scrittore Paolo Di Paolo che ha presentato il suo libro “Tutte le speranze. Montanelli raccontato da chi non c’era” edito da Rizzoli.

A pagina 65 del libro- Tutte le speranze -, di Paolo di Paolo, è riprodotta una lettera scritta da Montanelli e indirizzata al condirettore della Voce, il quotidiano fondato da Montanelli dopo la sua uscita dal Giornale, un’esperienza editoriale sfortunata durata un anno nella quale, in due brevi paragrafi viene scritto nell’inconfondibile stile sobrio e acuto di Montanelli cosa deve essere il giornalismo. In pratica era un vademecum per il perfetto redattore che Montanelli invita a fotocopiare e a far girare in redazione. Montanelli nel primo paragrafo dice che il redattore non deve imporre ma suggerire la sua interpretazione dei fatti, la sua opinione non si deve sentire, e nel secondo paragrafo ribadisce che il pezzo deve essere indirizzato a un certo rag. Brambilla, sempre presente in ispiritu sulla scrivania del redattore, niente di più che un modello di brav’uomo che semplicemente non conoscendo volti e risvolti della politica, e per non essere dentro alla cronaca se non la sua deve avere sempre la sensazione di comprendere quello che sta leggendo senza sentirsi frustrato da inutili giri di parole. Vale a dire che una scrittura piana e diretta senza ridondanze, aperta, sincera fino ad arrivare a volte all’asprezza e pure al sarcasmo velenoso non è mai pagata e svolge la sua funzione informativa onestamente, perla rara in un mondo editoriale dove vige la seriosità più arrogante e il culto della “letterarietà” del pezzo. A proposito del quotidiano di Montanelli, sarà una stravagante coincidenza e curiosa preveggenza dell’arte, ma nel film di Marco Bellocchio, Sbatti il mostro in prima pagina, siamo nel 1972, perfetto film “ giornalistico “ su come si costruiscono le notizie e si manipolano le opinioni dei signori Brambilla e compagnia bella, compare un direttore, un certo dottor Bizzanti interpretato da Gianmaria Volontè direttore di un quotidiano milanese che si chiama il Giornale, che spiega a un giovane redattore alle prime armi, un certo Roveda, come si scrive un titolo giornalistico da cui poi dedurre il pezzo: il succo della notizia, la sintesi, dice Bizzanti, e  pare di sentire nella voce di Bizzanti il grande Montanelli, “...il lettore guarda, se gli va legge e se  non gli va  tira via ma senza avere la sensazione che vogliamo rompergli i coglioni... “ rispetto dunque per il lettore, giudice unico, e amico fraterno e devoto del Montanelli, al quale dedicò tutta la sua vita professionale.

Essere compreso dai suoi lettori. Se mai ha avuto un credo, vero, unico, assoluto è stato questo. Montanelli per il resto ha valicato le Alpi con gli elefanti, si può dire, tale è stata la sua vita avventurosa e contraddittoria come poche “lunga e tormentata “come egli stesso la definisce. Una frase che andrà nel suo necrologio, un epitaffio con il quale egli prende congedo dalla grande platea dei suoi lettori, quasi scusandosi di non potere più essere partecipe della vita che ha descritto in mille modi diversi dove ha conosciuto tutti, tranne Stalin e Mao. In modo preciso, con una scrittura aperta e cordiale Paolo di Paolo aggiunge al ritratto di Montanelli una freschezza che a me era ignota, illuminando alcuni tratti della complessa personalità di Montanelli.
Per lungo tempo ho letto in modo fazioso i suoi scritti, lo ammetto, sogghignando e giudicando un po’ alla svelta, trovandomi in buonissima compagnia perché su Montanelli c’è da dire che pendeva una fatwa della sinistra, e con qualche ragione, almeno fino agli anni novanta. Dopo fu un’altra cosa. Del resto vengono evidenziati nel libro la distanza che occorreva tenere da Montanelli per tutta la sinistra che magari lo leggeva di nascosto vergognandosene, come fosse un appestato, certo, un  malato ma di genio, un conservatore, un fascista però redento, ma sempre un nemico di classe, corrivo e superficiale come lo tratteggia Maurizio Ferrara, “ l’ovvio di genio “, anche se lui non si riteneva di destra per ideologia, anarchico individualista com’era come poteva essere servo di una ideologia? ma era di destra per rispetto di certe regole del vivere civile, per un vivere da galantuomini, per un vivere etico. In ogni modo negli anni novanta, all’epoca del dissidio con Berlusconi ci pensò il popolo della sinistra a tributargli un omaggio plaudente a una festa dell’Unità, una standing ovation imprevista per il fascista Montanelli, al Montanelli gambizzato dalle brigate rosse con le quali, peraltro nelle persone di Azzolini e Bonisoli avrà un incontro conciliante, e fu il momento nel quale sembrò che il mondo si ribaltasse. Riusciva a dire quello che i suoi lettori si aspettavano dicesse con spavalderia, arguzia, e un’ironia maledetta e antica che purtroppo non si è tramandata in firme autorevoli che si prendono fin troppo sul serio e che inevitabilmente cadono nel ridicolo. E forse è questa la sua più grande lezione, non prendersi mai troppo sul serio, in un mestiere in cui teorizzare conta poco o nulla la cosa peggiore è diventare un monumento destinato all’assedio dei piccioni.
di Ivano Nanni

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