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Sala conferenze - Hotel Ala d'Oro

Via Matteotti, 56 - 48022 Lugo di Romagna - (Ravenna) - Italia
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mercoledì 2 aprile 2008

La serata con Edmondo Berselli

Più di 140 persone erano presenti lunedì scorso nella sala conferenze dell'Hotel Ala d'Oro per seguire l'incontro con Edmondo Berselli che ha presentato il suo ultimo libro "Adulti con riserva. Com’era allegra l’Italia prima del ‘68" edito da Mondadori nel 2007. Un grande successo di pubblico per una piacevolissima serata che si è dipanata fra i ricordi, le musiche, gli avvenimenti dei mitici anni '60, che Berselli ha condotto con la sua intelligente ironia e leggerezza. "Non è il ‘68" di Ivano Nanni Lo sapevo che non si sarebbe parlato del ‘68, il titolo del libro lo presupponeva e le intenzioni dell’autore lo hanno confermato fin da subito affermando che il tono della serata non sarebbe stato serioso, tuttavia sapevo anche che il fantasma di quell’anno avrebbe aleggiato sulle nostre teste con il suo lenzuolo di cari e meno cari ricordi. Il celebre defunto, il ‘68, è stato resuscitato per un momento da una domanda del pubblico, il suo fantasma è stato evocato e si è materializzato per un istante, l’abbiamo visto tutti alzarsi dal sepolcro, un po’ come Farinata degli Uberti, che “ dalla cintola in su tutt’el vedrai”, con orgoglio immutato, si può dire, si è alzato e ha provato a interloquire con Berselli, che ha avvertito subito il fiato pesante che usciva dalla bocca dello scomparso e dopo avergli tirato le orecchie per gli eccessi commessi nella sua triste vita, (i cortei violenti, gli slogan estremi, i muri imbrattati da scritte minacciose, i tanti pseudo libri con titoli pesudo marxisti), lo ha preso sottobraccio e riaccompagnato bonariamente a sdraiarsi nel suo avello di fuoco eterno passando a figurazioni più amene. Benissimo. In quegl’anni, i mitici, i favolosi 60, c’era l’Italia che premeva alle porte della Storia economica e chiedeva più vita comoda, e con giusta ragione, ci mancherebbe, chiedeva frigoriferi da riempire di alimenti, chiedeva i contenitori di moplen dove mettere la roba da mangiare, raccomandati da Gino Bramieri prima della cura dimagrante da quello strano elettrodomestico che divenne il centro tavola di tanti salotti italiani e, che negl’anni a venire doveva diventare il centro mondiale di ipnosi domestica collettiva, (ma il mezzo non ne ha colpa); c’era Ernesto Calindri seduto a un tavolino con una marea di seicento che gli passavano vicino senza logorarlo perché lui beveva cynar. Quelle seicento che produceva la FIAT, che hanno motorizzato l’Italia, quella motorizzazione voluta da Valletta, che permetteva a tutti i suoi operai di prenderne una a rate( costava undici mensilità di allora e undici mensilità costa adesso la Punto, alla faccia della mobilità economica che non è passata a quanto pare dalle parti di Mirafiori); en passant diciamo che Valletta sempre nei favolosi anni 60, schedava gli operai iscritti alla CGIL, teneva in parole povere il libro nero dei comunisti in fabbrica, tanto per dire alcune cose poco pulite di quel tempo, ma non voglio essere troppo funereo. A me piace parlare di quando c’era Ercolino sempre in piedi che gonfiato stava a mala pena nel sedile posteriore della 600 insieme alla nonna, per farle compagnia nelle prime tradotte verso il mare. I proletari scoprivano le vacanze domenicali su spiagge brulle, quasi intonse, limitate da un mare senza tracce di mucillagini,e su quelle spiagge vuote che parevano sogni di De Chirico, si notavano a distanza siderali altre metafisiche presenze di entità umane non identificate, altre figure che si crogiolavano nel nulla marittimo. In quella specie di piccolo paradiso si bivaccava all’ombra degli ombrelloni. Poco lontano c’erano dune alte come colline che dividevano la spiaggia dalla pineta, inestricabile e selvaggia, da cui all’imbrunire sciamavano dai loro nidi nugoli di zanzare che sollecitavano la compagnia ad abbandonare la spiaggia. In quella lunga striscia di sabbia nuda si predisponevano i giochi,si gonfiavano i materassini, e si faceva la pista per le palline con le facce dei ciclisti, si giocava, mentre gli adulti se la passavano leggendo o parlottando tra loro, piano, perché la nonna ronfava su una sedia a sdraio con accanto Ercolino; era uno spasso, e il bello arrivava a mezzogiorno quando si pranzava come si fosse a casa con ogni ben di dio, per poi schiantarsi sulla sabbia in un sonno cupo da indigestione allo stato puro. Si sognava di Ercolino e di Mike Bongiorno, sempre in piedi anche lui come il pupazzo della Galbani,inossidabile,e poi si dice che la tv divora tutto; ma se fosse così perché Mike è ancora lì dopo mezzo secolo? Che sia una di quelle entità metafisiche intrappolate per magia nel tubo catodico e che riproducono per sempre il segno della loro popolarità per il bene delle masse proletarie? Chissà chi lo sa, direbbe Febo Conti, presentatore di quiz per ragazzi. Sappiamo che c’era la mucca Carolina, il formaggio Invernizzi e il salame Citterio, e che se si mangiava troppo arrivava il farmacista Tino Scotti a darci un confetto Falqui, e ne bastava uno per risolvere il problema. Poi ci si lavava i denti con il dentifricio Colgate con Gardol, che alcuni scambiavano per una cittadina della padania lombarda del tipo Cambiate con Cambiaso e gli ingenui si chiedevano come mai quei geni della pubblicità si fossero serviti della toponomastica per dare un nome a un dentifricio. Equivoci. Ma c’era una ragione, o poteva anche non esserci: la creatività era nell’aria, la palpavi, era solida, era misurabile, si sentiva a pelle che qualcosa cambiava; se ci fosse stato un contatore geiger per la sensibilità sarebbe schizzato al massimo grado senza dubbio. Si sa che Carosello era pura gioia, i primi racconti televisivi furono le gag della tivù, e c’erano dei grandi a farcele godere. Ora sono rimaste le gag ma non c’è più carosello e i nani incombono a ogni latitudine dello schermo. La pura contentezza che provavo nel guardare Mimmo Craig che saltellava scoprendo che la pancia era sparita dicendo “la lattina dell’olio Sasso la voglio qui sul tavolo”, era appena appannata dal fatto che essendo piccolo, subito dopo, me ne andavo a malincuore a letto. Erano gli anni sessanta, c’era del pionierismo nell’aria, terre vergini da esplorare, menti incolte da educare. E molti si educarono. Il maestro Alberto Manzi fu un eroe della didattica, un pioniere che insegnò a leggere e a scrivere ai contadini, peccato che non ce ne sia un altro come lui, farebbe bene a tanti avvocati un po’di ripasso. Tutto era concesso e libero. Molti intellettuali piantarono la loro bandiera in tivù, perfino Gadda, Eco, e Giulio Nascimbeni con l’Approdo, quanti ne ha fatti approdare sulle spiagge della conoscenza. Tempo che fu. Accanto al fenomeno economico più importante del secolo scorso, che gettò luci e ombre sul pianeta Italia, o Sole e ombra come direbbe Cinzia Tani, si accompagnò un’altra grande esplosione del costume e del comportamento, della moda e dell’arte. Un’ aria nuova, nuova linfa vitale per gli umani, e un nuovo soundtrack per i giovani ( la nuova categoria sociale emergente ) irrompeva sulla scena con una travolgente forza d’urto. Fu davvero uno tsunami musicale quello che partì dall’Inghilterra agli inizi dell’epoca d’oro, e che investì le nostre coste travolgendo le spiagge dove si abbronzavano i Claudio Villa, le Nille Pizzi, i Fausto Cigliano, e tutta la compagnia del bel canto, che colorava tutto di rosa con le rime amore-cuore-dolore; tutto il romanticume di allora prese una batosta tale da non ritrovarvisi più in quel tempo incalzante. Improvvisamente questi cantanti che due secondi prima erano i beniamini del pubblico furono catapultati su un isola deserta come in Lost, senza bussola, senza coordinate per tornare a casa, a giocare a ramino come vecchi in un circolo sociale. Era arrivato il beat e non faceva sconti a nessuno. O eri dentro o entravi al museo. Berselli allora era un ragazzo e viveva a Modena in quella piccola città(“bastardo posto”) fucina di geni musicali, di gente con antenne dritte, teste pronte a captare il vento che soffiava ( blowing in the wind )e a tradurre i testi inglesi in italiano e a farne delle canzoni di successo assoluto. Modena allora era al centro del rinascimento musicale, ci credo che si stava bene, allora: si era giovani con i capelli un po’ lunghi, pieni di dischi e di voglia di essere liberi, si viveva in una città dove incontravi i Nomadi, Guccini, l’Equipe 84, Caterina Caselli. Beh, la giovinezza di Berselli è stata a quanto ho capito felice. Benissimo. En passant dirò che in quegli anni la polizia di Tambroni faceva lo slalom tra la gente sotto i portici di piazza Statuto arrotolando sotto le ruote qualche tuta blu, e ogni tanto una palla vagante centrava qualche contadino lucano che protestava per avere un po’ di formaggio insieme al pane. Se andiamo a parlare con qualche sopravvissuto di quel tempo forse i motivi che ricorda sono il ronzio delle palle che fischiavano e il suono dei randelli che calavano sulle teste dei braccianti. Ma non voglio essere troppo funereo. Anche a me piace più parlare di Giovanna la Nonna del corsaro nero( Anna Campori), di Nicolino( Pietro de Vico), di Battista il maggiordomo( Giulio Marchetti), ma certe cose le volevo accennare tanto per non santificare troppo un periodo da indulgenza plenaria, 68 escluso, naturalmente. Capitolo a parte. È stata una serata danzante, diciamolo francamente, come non se ne vedevano da tempo nella quale Berselli ha evocato altri fantasmi, per niente cupi,colonne sonore e spiriti eterei come Shel Shapiro, che per dimostrare ai suoi cari che in Italia non era un fallito era andato a prenderli a Marsiglia con una Rolls Royce( sua ): un grande fortunato che ha realizzato il grande sogno italiano( Italy way of life ). Era il tempo di canzoni raggianti e malinconiche, inni alla libertà e alla gioia, o testi criptici come Ms Robinson il cui testo è implicito nel sentire più che nel comprendere. C’era una gran voglia di mollare gli ormeggi e di andare, “salutare il paese che sta sulla collina”, c’era voglia di divertirsi e di leggerezza, e allora perché non “Volare”, altra canzone immensa di Migliacci-Modugno. Dovrebbe essere il nostro inno, sembra suggerire Berselli, un inno nazionale. Come era bello, ed è bello, volare, lasciare le zavorre e sulle note di Let it be, “volare nel cielo infinito”, per l’appunto, lontano, liberi e liberali. Ne ho cura di tutto ciò, direbbe Veltroni, I care; cioè, per una curiosa assonanza, Icaro, chi meglio di lui si intende di volo. Volo precipitato. P.S. Attenzione alle correnti ascensionali, direbbe l’audace Icaro, tanto per terminare con le citazioni.

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