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venerdì 14 novembre 2008

"Restare in sè" di Ivano Nanni

Sull'incontro con Sergio Scapagnini di Mercoledì 12 novembre dedicato al Tibet
Il documentario sul Dalai Lama girato in Tibet ci ha mostrato quanto sia complessa la situazione in quel piccolo regno della fratellanza. Il governo cinese ne ha sconvolto la vita millenaria ferma in un arcaico innamoramento della vita in tutti i suoi aspetti. Il suo capo politico e religioso parla al mondo intero del suo popolo che l'arroganza di un regime sta cancellando un po' alla volta, riducendo quella parte di mondo a provincia del grande impero cinese. I cinesi devono aver male interpretato il concetto di impermanenza applicandolo al Tibet considerato che lo vogliono far scomparire. Forse,malgrado tutto, sono un po' tibetani anche i cinesi anche se il concetto di impermanenza avrebbe bisogno di ulteriori approfondimenti per essere ben capito. Di sicuro i tibetani non sono cinesi, non vogliono diventare cinesi, e ci tengono a dirlo in ogni occasione. Ma ribadire questo concetto non basta per smuovere le acque stagnanti di una situazione d'emergenza che in fondo passa in sordina. È vero; la guida spirituale del Tibet incassa consensi in tutto il mondo, ma è altrettanto vero che nessuno fa pressioni sul governo cinese per risolvere la complicata questione. E nessuno si muove per due motivi. Il primo è che la volontà dei cinesi non è comprimibile da nessuno. In questo momento di crescita esponenziale dell'economia cinese tutti si giocano la carta del mercato globale con il governo, e in questo caso non è nemmeno un' eresia trattare con i vecchi arnesi comunisti,ragione per cui sono intoccabili. Nemmeno gli Stati Uniti possono andare al di là dei rimbrotti di circostanza dal momento che il loro debito pubblico è ben custodito nelle casse degli ex maoisti. La priorità commerciale con i cinesi mette la sordina a tutto il resto. Dissensi interni ed esterni passano in secondo piano. L'altro motivo è che i diritti civili sono considerati dalla comunità internazionale una questione interna. Il che significa che finché resterà questo governo la pratica diritti civili rimarrà un macigno inamovibile. Per dirla in un altro modo: quando gli operai schiavizzati si organizzeranno per mettere sul piatto della bilancia la loro dignità contro la crescita del paese in cambio di un salario equo allora i primi embrioni di democrazia saranno stati piantati e forse in capo a dieci anni qualche vecchio paravento finirà nel Fiume giallo e qualche figlio di internet prenderà le misure per un nuovo sviluppo. Al momento, però, questo governo non sembra avere data di scadenza e va avanti perseguendo piani ambiziosi con la stessa logica di un formicaio famelico. “ Tutta la vita è un ponte, non costruirci sopra qualcosa “– Forse davvero la vita andrebbe vissuta così come suggerisce questa massima buddista stupenda e piena di buon senso. Ma per noi che non siamo buddisti che valore può avere? Se potessimo lottizzeremmo anche il cratere di un vulcano per costruirci delle terme sulfuree a pagamento, figuriamoci il ponte della vita. Dal momento che è un passaggio ci faremmo pagare pure il pedaggio alla faccia di tutti quelli che transitano per l'altro mondo. Non nego che la compassione, la tolleranza, e la pace siano temi forti, sono i più forti del mondo intero. Sono le punte estreme della nostra umanità, i picchi sui quali ergersi mette i brividi, le cime dove la contemplazione annienta ogni egoismo e persuade ognuno a non temere la generosità e la vacuità del proprio essere. Sarebbe bello essere dei buoni scalatori, e raggiungere quelle vette, se non altro per amore del bel paesaggio dall'aria rarefatta, e in quella rarefazione sentire il pensiero diventare più sottile e l'esistenza un desiderio sostenibile. Sarebbe bello. Considero il nostro mondo, che non è quello del popolo tibetano, il cui credo è certamente ispirato dalle grandi altezze, dalla vita agreste, e da un risoluto isolamento, un mondo molto differente, sofferente e complicato; affermo che ogni sentimento di tolleranza è continuamente minacciato di estinzione da un'arroganza sempre più spinta e volgare, e che la compassione è un sentimento che solo pochi eletti coltivano passando per deboli, e la pace è sempre ribadita ma mai praticata e che sovente viene respinta come inettitudine da punire. La nostra religione è nata in luoghi aridi dove di continuo ardevano i fuochi di mille battaglie. Noi occidentali, cristiani, non siamo stati ispirati dall'altezza ma dal suo contrario e la nostra religione non enuncia solo la pace ma annuncia anche la guerra e la persegue con mezzi benedetti da Dio. Il nostro salvatore è morto in croce dopo un'agonia terribile e un calvario di cui conosciamo tutti i dettagli. Dalle sue piaghe una gran gioia non si è diffusa nel mondo. Forse per questo siamo così grati al buddismo per i suggerimenti di buon senso e di felicità che ci invia e ne meditiamo il senso, seppure nei ritagli di tempo. Confesso che ho un sogno. Quando una mattina mi sveglierò e il mio primo pensiero sarà quello di prendermi cura delle mie piante come se fossero una parte di me allora di certo avrò fatto un passo avanti nella comprensione del pensiero buddista, e forse anche della mia religione, che non pratico. Ma per il momento questa comprensione mi è lontana.

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