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domenica 21 aprile 2013

"Biografia di un mito" di IVANO NANNI


Sull'incontro di venerdì 19 aprile con lo storico Mimmo Franzinelli che ha presentato il suo saggio “Il prigioniero di Salò” edito da Mondadori.

Con il suo libro Il prigioniero di Salò, edito da Mondadori, lo storico Mimmo Franzinelli credo abbia voluto accelerare quel processo di dissoluzione del mito del duce che ancora oggi incredibilmente affascina molti giovani militanti di estrema destra. Evidentemente la forza iconografica che ancora esprime l'immagine del duce è potente. Complice la politica odierna mediocre, numerosi giovani sono soggiogati dai suoi motti che sembrano eterni e la volitiva durezza espressiva viene scambiata per solidissima determinazione. In realtà il duce era un abile propagandista di se stesso, parecchio lontano dallo spirito guerriero che propugnava, incitava gli altri a combattere inventando parole d'ordine che sono passate alla storia della titolistica guerresca. Più che un condottiero era un temerario della parola, un pubblicitario del disordine e fautore della guerra civile, ed è grazie a questa letteratura che il suo nome è sacro tra coloro che non credono in nessuna giustizia e non si riconoscono se non nell'iconografia spavalda del fascismo.
Se aggiungiamo alla sua  abilità parolaia l'infinità di testi lacunosi, agiografici  e tendenziosi che sono stati scritti sulla sua figura si capisce come il suo mito sia difficile da scalfire.
Sebbene il piedistallo sia alto e solido, con grande meticolosità lo storico Franzinelli prova a demolirlo illuminando una parte della nostra storia recente, torbidamente imbrattata di luoghi comuni con nuovi materiali inediti che provengono per buona parte dall'archivio Petacci, ricco di importanti documenti e lettere private che il duce scriveva alla sua amante ufficiale, convinta filonazista e che gettano una nuova luce sulla figura del duce nel frangente estremo che va dall'ottobre 1943 all'aprile 1945.
Da questi inediti emerge in tutta la sua drammatica complessità la   tragedia del fascismo e del suo capo più che mai scisso in due figure: quella pubblica che ancora ammetteva improbabili disegni di resurrezione e richiami alla compattezza dei fascisti, e quella privata ripiegata su se stessa consapevole della sua impotenza e inevitabilmente depressa e intimorita.
Il duce costretto all'asfittica residenza di Salò osteggiato dai tedeschi, tradito dai camerati, ossessionato dalla cattura da parte degl'alleati, minacciato dai partagiani, e infine tormentato dall'ulcera (apparsa fin dai tempi del delitto Matteotti), trova nella sua amante l'unica interlocutrice che lo odia per essere diventato l'ombra del capo che era, ma che con lui si farà uccidere, senza paura, consegnandosi alla storia come desiderava, in piena consapevolezza. Nella sua delusione senza rimedio la rabbia del duce traspare nettissima, nelle 318 lettere che i due si scrivono, contro gli italiani popolo di inetti, e in quel carteggio intimo e politico al contempo, immaginava se stesso proiettato nell'eternità, l'ultima bandiera degli sconfitti, dei sorvegliati speciali, dei traditi dai suoi stessi camerati e in questo ennesimo segno di egotismo allucinato traguardava in modo preveggente quello che sarebbe successo non tanto a se stesso come uomo, la sua fine era scritta, ma quello che la sua immagine avrebbe significato negli anni a venire.
di Ivano Nanni


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