


da "L'indice"
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Ci sono due frasi, tra le tante, che rendono l'atteggiamento di Piero Chiara verso il cinema. Riferendosi all'adattamento dei suoi testi sul grande schermo, lo scrittore non nasconde una certa malinconia: "Molte volte, rivedendo uno dei film tratti dai miei libri, mi sembra di sognare. È avvenuta, nel passaggio, un'alterazione cromosomica che ha dato vita a una creatura imprevista e imprevedibile, ma non più mia". In un'altra sede, commentando la cessione dei diritti dei suoi libri per le versioni televisive o cinematografiche, appare ancora più desolato: "Vendere un libro al cinema è come vendere un cavallo: si può sperare che il padrone lo tratti bene, non lo sforzi, lo nutra a dovere, ma poi non si può andare a vedere come sta. Il nuovo padrone lo può anche macellare".Le premesse non paiono incoraggianti, considerando che fin dalla giovinezza Chiara era attratto più dal teatro e dalla fotografia, mentre il cinema, anche quando appariva nei suoi scritti, era tendenzialmente un luogo fisico, uno sfondo senza interesse. Viceversa, il libro curato da Roncoroni e Gervasini è interessante perché pone al centro dell'analisi questa paradossale problematicità: uno scrittore che ha scarsa fiducia nelle modalità espressive audiovisive, ma al tempo stesso vede molti dei suoi scritti trasposti sul grande schermo e firma in prima persona sceneggiature sia per il cinema che per la televisione, spesso con grande successo di pubblico.Suddiviso in due grandi sezioni, il testo ospita in primo luogo saggi che analizzano gli aspetti letterari dello scrittore di Luino nei suoi lavori per il cinema e per la televisione, con l'interessante arricchimento del soggetto inedito Due ipotesi per la scomparsa del prof. Tagliaferro, mai realizzato. Nella seconda parte ci si concentra invece sui film tratti
dai romanzi e racconti di Chiara, da Venga a prendere il caffè… da noi (Lattuada, 1970), tratto da La spartizione a La stanza del vescovo (Risi, 1977) e Il cappotto di Astrakan (Vicario, 1980).Senza mai cadere nell'agiografismo, che spesso è il rischio principale di queste operazioni di rivalutazione critica, il libro funziona anche perché sa adottare una prospettiva analitica che ora riflette sul singolo testo ora allarga lo sguardo ad altre dimensioni, come accade nel saggio di Alberto Pezzotta sul rapporto tra Chiara e Lattuada, quasi coetanei.Più in generale, oltre a fornire nuovi elementi di conoscenza rispetto all'opera di Chiara, il libro sa travalicare il caso specifico e affrontare nodi teorici complessi, senza tuttavia presupporre un lettore specialista: dalle relazioni tra letteratura e cinema in riferimento ai differenti codici espressivi alla questione dell'autore di un'opera, fino alla riflessione più ampia sul rapporto tra gusti del pubblico e paradigmi critici.
Michele Marangi


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