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mercoledì 17 ottobre 2012

"Su alcune coincidenze pericolose" di IVANO NANNI


Sull'incontro di lunedì 15 ottobre con Giuseppe Ayala e il suo libro"Troppe coincidenze".
Dopo le stragi del 92  la macchina da guerra del pool si fermò. Sono emblematiche le immagini sconsolate e le parole di Caponnetto dopo la morte di Falcone quando disse:  “ È finito tutto “ e non lo disse travolto dall'emozione ma con la ragionata e cosciente sfiducia nel dopo. Nel 93 arrivarono le stragi di Milano, Firenze, e Roma, non attuata per una coincidenza fortunata. Nel 94 i timer delle bombe vennero azzerati, tutto di fermò. Iniziò un lungo periodo di pax mafiosa, coincidente con la vittoria politica di un partito aziendale.
C'è ancora molto da spiegare sulle relazioni politico criminali che hanno represso nel sangue l'attività del pool antimafia voluto da Antonino Caponnetto dopo la morte del giudice Rocco Chinnici. La percezione che si aveva vent'anni fa, era che l'azione di alcuni magistrati fosse finalmente efficace per reprimere e smantellare le organizzazioni criminali che parevano invincibili.
È inutile nasconderselo, sono  troppe le oscurità, le zone d'ombra inquietanti che negli anni non hanno trovato soluzione, e sono molti i punti di fuga che un evento criminale lascia dietro le spalle. Le schegge delle esplosioni con cui si sono azzerati i vertici delle investigazioni sono conficcate dolorosamente nella memoria di ognuno di noi. La sensazione di trovarsi, dopo la morte di Falcone e Borsellino in una terra desolata, nel pieno di una guerra, senza possibilità di arginare una tracimante criminalità era, ed è palpabile come la paura per il dolore subito e la vergogna per lo sprofondare del vivere civile in una nebulosa di relazioni inquinate dalle  mafie come dimostrano anche adesso, gli incroci pericolosi tra politica e criminalità.
“ L'Italia è un paese bellissimo e incivilissimo...”  La citazione di Stendhal decide del nostro carattere italico, promiscuo e dai tratti ferini, che non fa coincidere vivere civile con la bellezza e la grazia di ciò che ha prodotto. Coesione sociale e politica richiedono secoli di cultura dello Stato che il nostro individualismo e anarchismo non tollera.
Mario Soldati scrive, in un racconto del 1955, dal titolo il Vino di Carema: “...ma in Francia e in Inghilterra, da secoli e non soltanto per vini e liquori, esiste un ponte tra società e individuo, una società organizzata, una gerarchia del costume. La nostra civiltà è anarchica, scontrosa e ribelle...”.
È evidente che se nessuno rinuncia “ ad essere se stesso “ a “ esprimersi “ sempre e ovunque e comunque, ogni tentativo di costruire qualcosa in cui riconoscersi tutti quanti, viene sabotato da particolarismi di partito, municipalismi esaperati, vanità personali, egocentrismi spaziali, impotenza a progettare il bene comune, in una  latitanza politica ottusa che è la vergogna di una classe dirigente che non sa prevedere le conseguenze delle sue decisioni, che non ha una visione del futuro, che è impotente e rinunciataria. 
“Purtroppo si deve convivere con la mafia...”.
Pietro Lunardi ci informò, da ministro della Repubblica, di qualcosa che si intuiva ma non si diceva, e cioè della “ organicità “ della mafia. Egli suggerì che non solo c'era  un fil rouge tra politica e mafia, ma la mafia era parte integrante dello Stato e che si doveva convivere non essendo possibile espellerla. Beppe Grillo ribadisce questo concetto travisandolo in modo paradossale quando afferma che sono i politici ad avere infiltrato la mafia mettendo su un piano inclinato di deriva sociale sia i politici che i mafiosi, in pratica dicendo la stessa cosa di Lunardi. È un sentire comune.
La mafia concepita come organismo non estraneo allo Stato è ammessa, per dato storico provato, e Giuseppe Ayala ci informa di questo particolare non irrilevante, già al momento della costituzione dell' Unità d'Italia. In quel preciso momento due entità uguali e contrarie hanno cominciato a saldarsi generando nel tempo quel deficit di legalità che è la ragione principale delle nostre ingiustizie presenti.
È questa la concidenza più profonda, a mio parere, probabilmente la madre di tutte le coincidenze. La saldatura di positivo e negativo. È  in questo caso una coincidenza molto particolare, ovvero, questa unione intollerabile  toglie di mezzo l'dea che le mafie siano un corpo estraneo alla società. L'ombra non esiste più.
Dunque,  annullata questa differenza, si forma una nuova figura, socialmente  e antropologicamente nuova, formata dalla fusione di positivo e negativo insieme.  Non c'è più il  bene concreto ( lo Stato ) e la sua ombra ( l'antistato ), ma un perfetto assemblaggio di entrambe le parti costituenti una paradossale immagine: una sorta di mostro, o di entità metafisica, che dobbiamo temere per la sua invulnerabilità;  come vampiri, le mafie, si sono ben adattate alla luce del giorno. Si cancella in questo modo  l'idea che le mafie siano un virus letale delle istituzioni. Non c'è più virus, il parassita e l'ospite stanno insieme in una sola terribile figura. Quadro davvero sconsolante che si precisa in una domanda. Come è possibile, se è vero che le mafie sono organiche allo Stato, sbarazzarsi della mafia senza sbarazzarsi dello Stato? Chi potrà svolgere questo lavoro?
Ho sempre pensato che l'attività del magistrato fosse, con rispetto parlando, simile a quella dell'operatore ecologico, con tutta la nobiltà che comporta occuparsi dello smaltimento dei rifiuti per la società.
Forse sono rimasti solo i magistrati, come sembra suggerire Ayala, a indicare  come bonificare una società corrotta, non solo reprimendo ma sopratutto prevenendo l'azione prima che si trasformi in danno conclamato. Ma per fare questo, forse, occorre prima separare di nuovo la figura, dalla sua ombra.
di Ivano Nanni

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