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venerdì 19 ottobre 2012

"Sulle tracce di Dante" di IVANO NANNI

Sull'incontro di giovedì 18 ottobre con Marco Santagata e il suo libro "Dante. Il romanzo della sua vita."

Cosa c'è di più moderno del disorientamento. La sensazione di essere persi nella massa liquefatta degli eventi politici, sociali, culturali è la fonte primaria di un'ansia erosiva che ha il suo fuoco nell'oscurità ovvero in ciò che si ignora. È una sensazione diffusa quello dello smarrimento, della liquefazione del senso, dello spostamento in basso del baricentro di comprensione dei fatti che irrompono con devastante pervasività nella nostra vita. Molti anni fa, Franco Battiato cercava, “un centro di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente”, il quale coglieva l'ansia galoppante di chi vuole qualche punto fermo nella vita, i cosiddetti paletti culturali, etici, politici. È importante ovviamente la disposizione dei paletti per orientarsi. Questi possono delimitare un cammino nel mezzo dell'oscurità, come i paletti sui cigli dei fossi, oppure possono essere messi in quadrato, e allora questi delimitano un recinto dove lo spostamento è solo all'interno di un'area fissata. È una differenza politica non irrilevante. Il cammino è perciò sempre liberazione, perlomeno dalla possibilità di trovarsi dentro a un recinto, costretti a girare attorno a se stessi, a rimirarsi l'ombelico pensando  che sia il centro del mondo. Marco Santagata, autore di numerosi studi danteschi, suggerisce a mio parere un aspetto importante  dell'eccezionalità di Dante, che nel contempo sta fuori e dentro al cammino culturale e politico del suo tempo.

 Conservatore e reazionario in politica, innovatore rivoluzionario in letteratura. In politica si sposta dentro al recinto stretto delle beghe guelfe e ghibelline, capendo poco di quello che succede, e in letteratura sposta i confini della narrazione fondando una lingua, usando quella lingua per divulgare un sapere che era privilegio di pochissimi. Il cammino di Dante è, se così si può dire, antropocentrico e geocentrico nello stesso tempo: Dante cammina dentro di sé e fuori di sé, nel mondo. E questo sdoppiamento che clinicamente ha un nome e determina una condizione di sofferenza, in un artista consente una doppia vista: da agente nella storia che vive e da giudicante della storia in cui sta agendo.
Dal disorientamento all'orientarsi: cioè guardarsi attorno e cercare riferimenti, oppure “andare” a oriente.
È un verbo che include il senso dello spostamento verso la luce,..."O creature sciocche quanta  ignoranza è quella che vi offende"...(Inferno c. VII).
Accendere una luce non è solo fare un atto votivo, religioso, ma più laicamente dileguare le ombre dell'indistinto, fare ordine, vedere di più.
Lo smarrimento di Dante, è anche il nostro smarrimento (siamo tutti smarriti) ed è, questa, una certezza granitica della quale non si può dubitare.
Trovare o ritrovare il passo giusto (la diritta via), è un atto fondamentale di iniziazione alla libertà. Uscire dalle tenebre (la selva oscura), e volgere il cammino a oriente è andare verso la luce della giustizia. Tutti temi politici come si vede, i nostri e quelli di Dante.
Iniziare il cammino che porta alla salvezza è una operazione rischiosa, significa volgere  le spalle all'occidente, cioè alle tentazioni dell'oscurità, (quanto sono belle certe tentazioni).
Ciò che non si vede è temibile,  ma ancora di più quello che si vede se non si è passati oltre  gli incubi, oltre i patemi e le sofferenze.
"Vien dietro a me, e lascia dir le genti...” (Purgatorio c.V). Eppure, per noi, sembra ancora troppo presto questo andare verso la luce, quando ancora non siamo... “usciti a rivedere le stelle" (Inferno c. XXXIV).

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