Sull'incontro di lunedì 29 ottobre con l'artista Cesare Reggiani che ha inaugurato la sua mostra pittorica "Daimon".
La mano dell’uomo faber immette elementi
lineari, squadrati, entro una cornice che rivela una natura tracciata da poche
linee essenziali. Contemplazione e aspettativa, geometrie e natura: quello di
Reggiani appare come un esotismo onirico che rimanda a tratti di prosa
borgesiani, reperti di Conrad, come è stato detto giustamente, e forse senza
troppo sbagliare, a frammenti di film di Herzog nella sua parte più audace, sul
fronte della scoperta, dell’esplorazione in Amazzonia.
Con coerenza il dipinto diviene un teatro
di posa nel quale sospesi a un respiro di tempo, impalpabili, restano tracce di
umanità. Gli animali osservano i manufatti dell’uomo, e li vivono con stupore
come inserti di superfice nel mondo che conoscono, e forse li giudicano, si
spera, con l’indulgenza che solo loro possiedono. Queste sono le coordinate
dell’arte eclettica di Reggiani emerse nel vitale colloquio con Carmine della
Corte che, con sincera ammirazione, ha indicato alcuni importanti capisaldi del
lavoro dell’artista. Un incontro, va detto, per pochi intimi, quasi una
riunione di famiglia, un incontro tra amici, gli unici incontri ormai possibili
in una società sempre più disgregata dove le persone sono corpi solitari
immersi in una bolla di detriti semantici, monadi crepuscolari con problemi di
afasia. Ecco allora che una possibilità vitalistica è data dall’arte che spinge
i corpi a ritrovarsi e le menti a solidarizzare, a farsi comunità, che per
quanto piccola e cosciente dei propri limiti coglie le occasioni di andare
oltre i diaframmi imposti dalla convivenza di routine. Così, capita, in una
serata appena piovosa, di discorrere di metafisica delle immagini. Ma non solo.
L’importanza della manualità, l’artigianalità del maestro che lavora sui
dettagli dell’opera nella sua bottega aperta agli allievi, è stata evidenziata
da Carmine che lambisce, anche e propriamente, il discorso sulla metafisica
degli oggetti, sulla sospensione del tempo, sullo stupore animale, sulla
presenza/assenza dell’uomo nell’opera. Mentre l’uomo declina, o si nasconde
dietro i paraventi geometrici di quinte teatrali, la donna come presenza
iconica si innalza con un profilo brillante, distaccato, nel paesaggio bianco
di edifici inabitati. Eclettismo e corposa ironia vanno insieme a un umorismo
lieve che abbraccia tutta l’opera dell’artista e permane nell’aria tersa dei
suoi dipinti. È una collocazione, quella umoristica, che trova riscontro nei
passaggi scritti, nei fumetti, e pure nell’editoria minimale e per questo piena
di humor dal progetto alla realizzazione. Perfetta questa fusione, questa
complementarietà tra il lavoro figurativo e le edizioni cartacee. Si potrebbe
dire che è l’arte che continua con altri mezzi. Originale certamente, ora più
che mai. Quando lo specifico rischia di diventare prigione, Reggiani coglie il
tempo di allontanarsi verso altri lidi, verso altri sogni ed emozioni. Con
criterio scientifico addomestica la mano per orientarsi nel labirinto di un
nuovo progetto che lo coinvolge. È questo il sicuro segno della reattività
all’ignoto in nome di una curiosità mai sopita.
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