Sull'incontro di venerdì 31 maggio con Pier Paolo Giannubilo
che ha presentato il suo romanzo “Il risolutore” edito da Rizzoli.
Gente in piedi, ieri sera, nella sala delle conferenze dell'Ala d'Oro per la
presentazione del libro di Pier Paolo Giannubilo, “Il risolutore”, pubblicato
da Rizzoli e finalista allo Strega. Una biografia romanzata con omissis, come
dice il protagonista stesso, presente in aula, come si dice dei rei confessi,
l'iperbolico personaggio del libro, l'artista Gian Ruggero Manzoni. Ometto le
varie identità artistiche sotto le quali compie le sue incursioni nel campo
dello scibile, dirò solo - creativo -, un termine che contiene le varie
etichette. Incursione credo sia una parola che lo metta a suo agio. Del resto
passa tutto dal suo estremismo, per chi lo conosce. Il poeta con la mimetica è
un'immagine ricorrente nelle sue varie e documentate poetiche, affabulazioni,
racconti, dipinti, specie in quelli. Gli armati di penna o di spada fanno
differenza solo sul campo, ma non concettualmente. Di morti ne fanno l'una come
l'altra. La sua poesia, cioè il suo protagonismo poetico e artistico vigoroso,
battagliero e viscerale, è sempre stato di tipo aviatorio, spericolato,
incursivo, direi bombarolo nell'arte e nelle lettere, che in mano sua cessavano
di essere belle, per diventare efficaci mezzi di esplorazione di territori
fuori dell'ordinario, marce forzate su sentieri impraticabili, in zone
prevalentemente paludose dove molta della sua produzione artistica trae linfa
vitale. Zone da stalker, dove orientarsi nel dedalo di canneti e vie d'acqua
richiede il fiuto di una carpa esperta. Creazione e distruzione sono i due poli
elettrici dai quali passa saettante la sua contrastante e tormentata esistenza.
Il tema del sicario è una presenza epifanica che lo libera e lo danna al tempo
stesso; colui che uccide per se stesso, per una mancia in fondo, reifica la vita
umana, la rende merce, un sottoprodotto residuale, la banalizza espropriandola
(aristocraticamente, nel caso di Manzoni), del suo diritto di essere
ingiudicabile se non dall'Eterno. Forse è per questo che da tempo ha iniziato
un percorso di resurrezione in termini tolstoiani, chissà, ogni deduzione è un
rischio, ogni congettura un attentato a equilibri precari, in questo caso. La
frenesia movimentista lo porta nel '77 al DAMS, trampolino di lancio di una
carriera che, come si direbbe se ancora fossimo sotto i portici di via Zamboni,
è mao-dadaista, anarco-psichedelica, militare e occulta, come adesso sappiamo,
anzi per quello che ci è dato sapere. Ma se tutte le etichette insieme non
fanno un'identità, cos'è allora l'identità se non una promiscuità di intenti,
di desideri, di libertà rincorse e solo parzialmente raggiunte, o il suo
contrario, l'arbitrio incondizionato di qualcuno che ti tiene al laccio per un
tempo indefinito? Domanda alla quale non è facile rispondere specie se si
tratta di Gian Ruggero. Tra lo sconcerto, lo stupore, la diffidenza, si inizia
e si prosegue la lettura di questa opera con l'animo di chi sta per
scoperchiare un sarcofago, dove cenere e oro si trovano bellamente mischiati.
Quello che cresce nel lettore che conosce il protagonista sono sentimenti
contrastanti che si riassumono in un'unica immagine, gli occhi sgranati degli
increduli concittadini. Gian Ruggero ha alimentato negli anni, prendendola come
prerogativa e licenza poetica, il libero creare come intreccio tentacolare di vite
vissute da lui e da altri ma tutte confluenti in un'unica narrazione fluente,
ora torbida, ora allucinata, o brillante e trasparente di digressioni
iperboliche che si teme, in questo caso, l'invenzione totale, una sorta di
grande opera, il colpo magico dell'illusionista che svela il suo trucco.
"Il gioco è finito", sembra dire, il nostro amico dal suo pulpito
immaginario, "via il cilindro e il frac, sono nudo e non c'è altro da
aggiungere". O quasi. Si vede nella sala, proprio sopra la testa del pubblico
aleggiare una curiosa nuvola grigia, ha la forma di un grosso punto
interrogativo, minaccia rovesci improvvisi e si prende troppo sul serio. Sarà
tutto vero? Prima domanda. E poi, seconda domanda, ha importanza sapere se è
tutto vero? Forse sì, da un punto vista etico, altre domande seguirebbero a
questa confessione laica, ma ora quello che mi viene in mente è solo questo -
solo nei momenti di crisi conosci davvero chi è il tuo vicino di casa – Gian Ruggero
ora lo conosciamo un po' di più, ma non tanto di più.
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