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Sala conferenze - Hotel Ala d'Oro

Via Matteotti, 56 - 48022 Lugo di Romagna - (Ravenna) - Italia
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martedì 24 giugno 2008

ANNULLATO l'incontro con VINCENZO MANCA

E' stato annullato purtroppo l'ultimo incontro di Caffè Letterario di questa stagione. La serata in programma di venerdì 27 giugno con Vincenzo Ruggero Manca e Giovanni Pellegrino dedicata al caso "Ustica" è stata per il momento cancellata e verrà riproposta nella prossima stagione autunnale.

sabato 21 giugno 2008

La serata con LUCARELLI e BALDINI

Un’altra serata da tutto esaurito quella di ieri sera venerdì 20 giugno a Caffè Letterario con gli scrittori Carlo Lucarelli e Eraldo Baldini. Per la prima volta, nella storia ormai quadriennale della rassegna letteraria lughese, due autori si sono presentati reciprocamente i loro due ultimi romanzi. Gli scrittori, legati da una amicizia di lunga data, hanno parlato così per più di due ore de “L’ottava vibrazione” il romanzo storico ambientato nell’Eritrea coloniale italiana di fine ottocento di Lucarelli e di “Quell’estate di sangue e di luna”, il noir gotico rurale di Baldini. Entrambi i libri sono stati editi da Einaudi. In loro compagnia sul palco il curatore di Caffè Letterario Marco Sangiorgi. Nel libro di Baldini scritto a quattro mani con Alessandro Fabbri, giovane promessa della narrativa italiana, si ritrovano i temi caro al narratore e antropologo ravennate che hanno valso alla sua opera l’appellativo di “gotico rurale”. Nel paesino di Lancimago, tra i campi di granoturco, quattro amici undicenni trascorrono l’estate, tra i giochi di sempre e la cronaca del primo sbarco sulla luna. Trent’anni dopo (è questo l’incipit del libro), uno dei quattro torna in quel paesino con il proprio figlio undicenne. E subito il lettore capisce che qualcosa di oscuro e misterioso sta per accadere. Perché la campagna di Baldini è da sempre un luogo inquietante e spaventoso. Romanzo storico vero e proprio invece “L’ottava vibrazione” di Lucarelli. Siamo a Massaua nel 1896, poco prima della sconfitta di Adua, e l'ambiente in cui siamo catapultati è quello dei militari italiani di stanza nel paese, delle donne che li frequentano, degli altri connazionali che arrivano in quelle terre in cerca di fortuna o per sfuggire alla sfortuna o, ancora, per cercare chi è fuggito. Un romanzo in cui emerge l'ambiguità del bianco colonialista in Africa, le contraddizioni di una realtà difficile, la fatica di vivere in una terra in guerra. Un romanzo in cui non manca l'indagine su un "maniaco", come ai tempi veniva definito un serial killer, un tassello che Lucarelli ha evidentemente voluto inserire per non dimenticare che lui è, soprattutto, scrittore di gialli. Insomma due libri consigliati per l’estate in arrivo, accomunati, come ha precisato Marco Sangiorgi, da un comune denominatore climatico, “il caldo”; quello umido e greve delle afose estati padane e quello duro e inflessibile dei deserti africani.

mercoledì 18 giugno 2008

CARLO LUCARELLI & ERALDO BALDINI a Caffè Letterario

Penultimo appuntamento di questa stagione per Caffè Letterario, venerdì 20 giugno alle ore 21,00 nella sala conferenze dell’Hotel Ala d’Oro. Serata eccezionale per la rassegna letteraria lughese perché per la prima volta avremo una doppia presentazione. Saliranno infatti sul palco di Caffè Letterario due autori a presentarsi reciprocamente i loro ultimi lavori. Carlo Lucarelli presenterà l’ultimo romanzo di Eraldo Baldini “Quell’estate di sangue e di luna” scritto a quattro mani con Alessandro Fabbri e quindi lo stesso Baldini introdurrà il romanzo storico di Carlo Lucarelli “L’ottava vibrazione”. Marco Sangiorgi, curatore di Caffè Letterario, coordinerà la presentazione dei due volumi editi entrambi da Einaudi. Carlo Lucarelli nasce a Parma il 26 ottobre 1960, e vive a Mordano. Scrittore e fondatore del Gruppo 13 che riunisce i giallisti emiliano-romagnoli, commediografo, cronista di nera, sceneggiatore di videoclip (anche di uno di Vasco Rossi) docente di scrittura creativa alla scuola "Holden" e nel carcere "Due Palazzi" di Padova. Esponente di spicco del nuovo noir anni novanta, Lucarelli ha reinterpretato i moduli della narrativa di genere per indagare le contraddittorie e molteplici realtà della società contemporanea. Ha pubblicato una serie di romanzi e raccolte di racconti, che hanno sempre riscosso un lusinghiero successo di critica e di pubblico. Collabora e ha collaborato con quotidiani e riviste come Il Manifesto, Il Messaggero, L'Europeo, e conduce una fortunata trasmissione televisiva sui delitti irrisolti, "Mistero in blu" poi diventata "Blu notte". Il volume presentato, “L’ottava vibrazione”, è ambientato a Massaua in Eritrea, nel gennaio del 1896. Sbarcano le truppe italiane, sono soldati che tra sessanta giorni moriranno ad Adua, nella più colossale disfatta che il colonialismo europeo abbia mai subito. L'Italia cerca un posto al sole, tra le potenze. I soldati italiani troveranno nemici superiori per armamenti, numero, conoscenza del terreno. Tra gli italiani che sbarcano ce n'è uno che ha un motivo diverso dagli altri per fare il soldato in Eritrea. Poi c'è una fanciulla che sembra fragile, e anche lei, come il soldato, ha un motivo tutto particolare per stare lì. Eraldo Baldini è nato a Russi (RA) nel 1952. Dopo essersi specializzato in Antropologia Culturale ed Etnografia, ed avere scritto diversi saggi in quei campi, dagli inizi degli anni Novanta si dedica alla narrativa. Da anni cura e pubblica la raccolta di tutte le fiabe della Romagna. Nel 1991 vince il Mystfest di Cattolica col racconto Re di Carnevale: così inizia la sua carriera di scrittore. Oggi è non solo romanziere affermato in Italia e all’estero, ma anche sceneggiatore, autore teatrale e organizzatore di eventi culturali. Considerato uno dei maestri del noir italiano e del "gotico rurale", in “Quell’estate di sangue e di luna” scritto a quattro mani col giovane Alessandro Fabbri ha realizzato un romanzo angoscioso e al tempo stesso pervaso da una sottile ironia in cui si muovono personaggi a tutto tondo, che si muovono sul palcoscenico della vita sempre impegnata a fare i conti con il lato più oscuro del mistero. È il 1969. Enrico, Billo, Valerio e Gianni, tutti undicenni, guardano in tv le immagini dell'Apollo che arriva sulla Luna. Nessuno può sapere che anche qui, a Lancimago, paese di poche centinaia di anime, sta per accadere qualcosa di importante. Una serie di avvenimenti terribili, nei nove giorni della missione Apollo, faranno scoprire agli abitanti che cos'è il vero orrore. Enrico, superando il silenzio e l'ottusità degli adulti, con la fantasia come unica arma, riuscirà a comprenderlo e a fermarlo. Ma perché esattamente trent'anni dopo, una volta adulto, lo stesso Enrico accompagna a Lancimago il figlioletto?

La serata con UGO CORNIA

Una serata veramente divertente quella trascorsa in compagnia di Ugo Cornia, lunedì 16 giugno nella Sala Conferenze dell'Hotel Ala d'Oro. Lo scrittore modenese ha presentato la sua ultima raccolta di racconti dal titolo "Sulle tristezze e i ragionamenti" edito da Quodlibet nel marzo scorso. Sul palco di Caffè Letterario insieme a Cornia erano presenti l'Assessore alla Cultura del Comune di Lugo Giovanni Barberini e il curatore della nostra rassegna letteraria Marco Sangiorgi che ha introdotto la serata. Al di la del titolo del libro presentato "i ragionamenti" di Cornia sono risultati spassosissimi al numeroso pubblico intervenuto grazie anche alla inconfondibile parlata modenese dell'autore che ha declamato alcuni dei racconti pubblicati. Sull'illogicità della riproduzione sessuata Ma quello che rende più perplessi è la modalità della riproduzione della specie umana. È strano dover infilare un pezzo del tuo corpo dentro un'altra persona, che non è neanche tua mamma o un tuo parente. E è anche ridicolo che dopo che hai messo in un'altra persona un pezzo del tuo corpo, invece di star fermo, devi anche iniziare a muoverti in su e in giù. E data per assodata la giusta ripugnanza di Dio per i corpi, questa è la prova fondamentale che Dio non esiste, o che se Dio esiste noi viviamo in una creazione fatta da qualcun altro. Inoltre è strano che Dio, con tutta questa sua ripugnanza per i corpi, non potesse inventare una fecondazione a distanza senza l'uso dei corpi, per esempio per effetto di sguardi intensi. Anche se in quel caso il problema dell'incertezza della paternità si sarebbe moltiplicato, pur senza una diretta responsabilità della donna, perché metti che fai un viaggio in treno con tua moglie, e quello con gli occhiali scuri che è seduto di fronte a tua moglie (e che sembra stia dormendo) in realtà non sta dormendo ma guarda ossessivamente tua moglie, quando scendete dal treno tu di colpo ti ritrovi tua moglie che è incinta, anche se non è direttamente responsabile della sua gravidanza. E tutto questo è la prova che una creazione perfetta, pensata in tutti i suoi particolari anche minimi, era impossibile anche per Dio, perché quello che aggiusti da una parte poi ti scappa dall’altra.
Ugo Cornia
(da "Sulle tristezze e i ragionamenti")

domenica 15 giugno 2008

UGO CORNIA a Caffè Letterario

Nuovo incontro di Caffè Letterario lunedì 16 giugno alle ore 21,00 nella Sala Conferenze dell'Hotel Ala d'Oro con lo scrittore modenese Ugo Cornia che presenta la sua raccolta di racconti "Sulle tristezze e i ragionamenti" edito da Quodlibet. A introdurre la serata sarà Marco Sangiorgi. Ugo Cornia ha già pubblicato quattro libri originalissimi creandosi un pubblico tutto suo e molto affezionato. Questo libro rappresenta un riassunto dei vari modi in cui Cornia può parlare, sragionare, filosofare e raccontare tutti i paradossi (comprese le questioni amorose) di questo nostro tempo di trapasso. Lo scrittore modenese ci annuncia che quasi tutto andrà sempre malissimo e che però alla fine più o meno quasi tutto si aggiusta. Ugo Cornia è nato a Carpi(Mo) il 6 luglio del 1965. Laureato in filosofia a Bologna, ha insegnato Lettere e Filosofia, ed è attualmente insegnante di sostegno. Ha iniziato a scrivere un po' più seriamente frequentando prima Ermanno Cavazzoni all'Università di Bologna, poi Gianni Celati, Daniele Benati e Maurizio Salabelle della rivista "Il Semplice", sulla quale ha pubblicato alcuni racconti. Un altro suo racconto è stato pubblicato su "Diario", quando era curato da Sandro Onofri. Vive a Modena.
Scrive di lui Ermanno Cavazzoni: "A Modena chi soggiorna come ospite nella casa dello scrittore Ugo Cornia può avere un’esperienza che chiamerei filosofica. Ugo Cornia è nel palazzo l’unico inquilino della Comunità Economica Europea, mentre gli altri inquilini sono tutti parecchio scorbutici e leggermente razzisti nei confronti di Cornia. Arrivati al secondo piano di via della Cella 35, c’è sulla destra il suo appartamento. Una volta entrati si nota ad esempio che le serrande ci sono ma non si possono alzare; quelle aperte viceversa non si possono ormai più abbassare e lì ha nidificato il piccione, che poi da vecchio ci viene a morire. All’interno delle stanze gli oggetti (che tendono al basso), giunti a terra, lì quasi sempre rimangono, senza distinzione tra cavi elettrici arrotolati, borse sportive, scarpe sportive con calze, sedie o gambe isolate di sedie; di modo che il visitatore in transito auspicherebbe un camminamento sopraelevato, ad esempio su passerelle, come si vedono a Venezia con l’acqua alta. E per tutta la casa, ma specialmente in cucina, corrono liberamente gli scarafaggi, i quali non temono niente, se non i libri, che sono usati da Ugo Cornia per minacciarli, e abbattere i più tracotanti con un lancio fulmineo. Il libro poi resta nel punto in cui è stato scagliato, e su di esso gli scarafaggi innalzano le loro teorie riguardo la vita, la morte, la volontà suprema che c’è dietro ogni libro: se nel libro c’era scritto il destino dello scarafaggio schiacciato, se avendo accesso alla biblioteca si potrebbe conoscere il destino di tutti, se gli scarafaggi creeranno mai una civiltà e come sarà. Lo scrittore Giampaolo Morelli dice che è la casa di Cornia la civiltà già creata in terra dagli scarafaggi, entro la quale Cornia si muove come Yahwèh nella Bibbia. Le stanze da bagno sono due: una senz’acqua, l’altra senza i sanitari, a significare una verità filosofica ancora però non formulabile, e a contrastare in ogni caso le smanie umane, l’ubbidienza passiva alla prostata, la boria, il lusso, la fretta di questo forsennato secolo. Su tutto si stende un manto leggero e uniforme di polvere, che simboleggia il tempo che scorre. E anche sull’ospite che eventualmente cerca di prendere sonno, si stende durante la notte questo velo impalpabile, che lo eguaglia a ogni altra cosa giacente per terra, con la differenza che l’ospite viene interpretato dagli scarafaggi come il profilo del monte Sinai." Per me il mestiere di scrivere non è un mestiere. Se io, con un libro, guadagnassi moltissimo sarei contentissimo, ma cercherei di considerarla una vincità alla lotteria, una botta di culo. Credo che tutte le cose che ci piacciono vada evitato di trasformarle in mestieri. Per come sono fatto io, io cerco anche di non farne una pratica quotidiana, aspetto che arrivi nella mia testa qualcosa che ha proprio bisogno di essere scritto per forza, come se questo qualcosa mi dicesse adesso ti metti a scrivere perché io oggi ho proprio bisogno di prendere un po' d'aria e di uscire all'aperto. Quando mi capita che ho scritto due o tre pagine, dopo, per venti giorni faccio qualcos'altro: lavoro, vado a spasso, gioco a calcio, leggo etc. come quelli che non scrivono. Io direi "il divertimento di scrivere" nei periodi contenti o "il bisogno di scrivere" nei periodi frustrati.
Ugo Cornia

mercoledì 11 giugno 2008

SERGIO MANGHI a Caffè Letterario

Sabato 14 giugno alle ore 20,30 all’Hotel Ala d’Oro, serata conviviale per Caffè Letterario. Protagonista il Prof. Sergio Manghi docente di Sociologia all’Università di Parma che presenterà il suo libro “Zidane. Anatomia di una testata mondiale” edito da Città Aperta Edizioni nel 2007. In concomitanza con i Campionati Europei dunque, una serata dedicata al calcio, alla finale dei Campionati del Mondo di due anni fa e al grande fuoriclasse francese Zinedine Zidane. La domanda è: ma che cosa avrà mai detto, Marco Materazzi, al grande Zinedine Zidane? Mandiamo dunque indietro la moviola al mattino di quello stesso 9 luglio 2006. E fermiamola su una sequenza soltanto, composta da tre soli fotogrammi le pagine 1, 2 e 3 di un giornale francese: Libération, il celebre quotidiano fondato dal filosofo Jean-Paul Sartre. Il titolo, a lettere cubitali, battezza Zizou con il nome di un film del regista Luc Besson. Un film sulla vita segreta degli abissi: "Le grande Bleu". Il sottotitolo giustifica poi la solenne onorificenza con queste parole: "Mettendo fine alla sua carriera nella finale di Coppa del Mondo Zidane entra nella leggenda". Quando la finale di coppa del mondo era a dodici minuti appena dal fischio di chiusura il più grande calciatore del mondo nel giorno più fulgido della sua carriera sotto gli occhi esterrefatti dell'intero telepianeta profittando di un ignaro difensore avversario che l'aveva dileggiato ha fermato di colpo l'orologio della Storia che gli ticchettava dentro inesorabile, le ha girato letteralmente le spalle ha percorso in direzione contraria un deciso passo marziale e all'apice di quel riflusso mistico verso l'Origine, ha sferrato una poderosa incornata da ariete all'ignaro avversario". Sergio Manghi è docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Parma. Sergio Manghi è docente di Sociologia della conoscenza presso l’Università degli Studi di Parma. Si è occupato, in particolare, dei rapporti tra biologia e cultura, della natura sociale dei processi cognitivi ed emozionali, dei comportamenti altruistici e delle relazioni d’aiuto in ambito educativo, terapeutico e sociale. Tra le sue pubblicazioni, Attraverso Bateson. Ecologia della mente e relazioni sociali (Cortina, 1988), Il gatto con le ali. Ecologia delle mente e pratiche sociali (Feltrinelli, 1990, Asterios, 2000), La conoscenza ecologica. Attualità di Gregory Bateson (Cortina, 2004). Questo il menù della serata: Aperitivo, Lasagne al forno e Spiedini misti alla griglia, Fantasia di dessert e Caffè. Il costo è di €. 20,00 per persona con le bevande incluse. Prenotazioni al 054522388.

venerdì 6 giugno 2008

Una grande serata con il giudice AYALA

Straordinaria serata quella di ieri sera per Caffè Letterario col giudice siciliano Giuseppe Ayala che ha presentato il suo libro appena edito da Mondadori “Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino.” Sul palco insieme a Giuseppe Ayala erano presenti il Sindaco di Lugo Raffaele Cortesi e il curatore di Caffè Letterario Marco Sangiorgi che ha introdotto la serata. Sala strapiena e pubblico delle grandi occasioni per ascoltare il giudice siciliano che ha raccontato per più di due ore la sua verità su Falcone e Borsellino, sulla storia di quegli anni, le passioni civili e private e le vicende quotidiane che nessuno meglio di Ayala poteva conoscere. Grande successo anche per il libro, che nonostante sia uscito in libreria soltanto da pochi giorni è già alla seconda ristampa e sta scalando le classifiche di vendita.
Brancati in procura di Ivano Nanni
Credo che il giudice Ayala appartenga a quella razza di siciliani che pur masticando amarezze e tragedie per anni riescono miracolosamente a dare spirito e humour alla loro vita e alle loro parole con una radicalità e una vivacità uniche. Lontanissimo dallo stereotipo del siciliano muto e corrucciato che parla a grugniti e ti guarda storto da sotto la coppola, Ayala è il giudice che per primo nel 1987 osò dare il primo ergastolo a Totò “o curto “, il capo di cosa nostra in Sicilia, e a innumerevoli altri boss ringhianti dentro le gabbie del maxibunker a prova di missile. Un miracolo dentro al miracolo se si pensa che l’opera mastodontica venne realizzata nel tempo record di sei mesi. L’evento senza dubbio fu unico nella storia dell’edilizia italiana, irripetibile di certo, ascrivibile a quel tempo che connotava molto bene le aspettative che si avevano nei confronti di quella situazione(il processo), tanto grave quanto anomala per l’Italia tutta. È impossibile dimenticare che per la prima volta, alla sbarra, anzi dietro le sbarre, arrivarono i boss, non solo i pesci piccoli ma i grossi pescecani, quelli che fanno venire i brividi solo a nominarli. Arrivarono a camionate, 475 per l’esattezza, con le loro facce da contadini e da macellai di suini. Tutti arroganti e increduli, inviperiti dall’oltraggio di essere precipitati nel gabbione dei dannati dal quale non sarebbero più usciti. Senza dubbio Ayala, il Caronte che li traghettò negl’Inferi, aprì le cataratte del cielo e lasciò che il diluvio universale inondasse di pene esemplari tutti quegl’impuniti che fino ad allora non avevano mai temuto nulla da nessuno, e che ora, per la requisitoria di un giovane brillante che dava voce e forza alle precisissime folgori investigative di Falcone e Borsellino, stavano per andare in galera per sempre. Perché questo fu quel processo epocale: fu un punto di svolta inscalfibile perfino dal nugolo di legulei dei boss, fu così granitico da essere un’unica zavorra inamovibile sul cammino degl’assassini e che da questa vennero trascinati a fondo. Giuseppe Ayala, quindici anni dopo la morte dei suoi amici e colleghi, ha voluto tracciare un ritratto di quegli anni passati a Palermo a lavorare fianco a fianco con Falcone e Borsellino, che per primi, dal nulla, genialmente, e contro una miriade di colleghi sospettosi e imbelli, si erano inventati una strategia, un modus operandi che segnò per sempre l’arte dell’investigazione nelle cose di mafia. C’è una cosa da dire: visto da fuori, con gli occhi di chi leggeva le cronache macabre che ogni giorno arrivavano dalle contrade siciliane, con tutti quei morti ammazzati, questo gruppo di lavoro, minacciato da ogni parte e prima ancora là dove si presumeva dovessero esserci amici, appariva come un sparuto manipolo di eroi votati alla morte, come profetizzò perfino Tommaso Buscetta, grazie al quale il motore della madre di tutti i processi prese avvio, e non si capiva davvero perché dovessero farlo, perché rischiare così tanto, e probabilmente per non portare a casa nulla di fatto, come era successo fino ad allora. Attorno a loro la mafia faceva terra bruciata. I colleghi cadevano uno alla volta, uccisi. Ma non solo. Straziati dalle bombe affinché la paura diventasse terrore, sguardo spento sulla propria sorte, su un destino ineluttabile. La terribile visione di un corpo straziato a volte può cambiare il corso di una vita, di una storia professionale, di un’amicizia; davanti a un corpo martoriato anche la fermezza più granitica vacilla, la coscienza si turba e il cuore si riempie di pena per la consapevolezza che la lotta è impari e perdente, per la consapevolezza che non si vincerà mai, perché la morte ti cammina a fianco e tutto è irredimibile, violento, atavico come un olocausto tribale. Quando uccisero Rocco Chinnici, Ayala non volle vederlo, e ordinò alla scorta di accompagnarlo immediatamente in procura, dove rimase solo per un tempo indefinito e dolorosissimo. Aveva forse presagito un tentennamento della coscienza? Un giustificato e plausibile terrore se solo avesse visto il corpo straziato del collega? Forse sì, si può dire, ma Ayala per questo non andò, si rifugiò in procura, non aveva intenzione di farsi contaminare dall’orrore, consapevole che il seme della paura si radica in profondità se ci si abbandona alle immagini più devastanti, a quel disperato evento preferì l’isolamento del suo ufficio. In Ayala, come in Falcone e Borsellino, evidentemente qualcosa di diverso c’era. E quel diverso che c’era stava tutto nella stoffa delle loro motivazioni, nella forza della loro indignazione: era questa la molla che produceva quella ineguagliabile capacità di lavoro e quella tenacia imperscrutabile, vivida, solitaria. Con tutto questo sfidavano a viso aperto coloro davanti ai quali si doveva per forza abbassare gli occhi. Era come si fossero preso in carico insieme alla loro indignazione di cittadini, anche quella dei loro concittadini onesti e puliti, la maggior parte, e che avessero fatto il giuramento di riscattare quelle vite offese con la forza della loro professionalità. Perciò non erano eroi, né santi, ma qualcosa di più: erano uomini di passione, innamorati della loro terra, della loro gente, e del loro lavoro. Il tempo della tragedia si prende delle pause. Diversivi, distrazioni. Non furono certamente pochi i momenti in cui ci si distraeva, ridendo di tutto ben coscienti di ballare su una corda tesa sull’abisso. Si sono presi le loro piccole libertà, qualche bagno al mare, in compagnia, mai comoda, delle scorte armate, si sono ritagliati un tempo strano sospeso tra un faldone di verbali e una minaccia, si sono presi un intervallo rubato al lavoro, tra un’intercettazione e un sospetto di arroganza. Hanno vissuto al meglio delle possibilità che le circostanze consentivano e le vicende per lo più tragiche, sono filate via, veloci, corrette e luminose fino al giorno del buio assoluto. Fino al 93, quando in pochi mesi tutto venne annientato, polverizzato da quel Brusca, assassino di bambini, e impareggiabile macellaio che premette il pulsante che fece saltare con 500 chili di tritolo l’autostrada a Capaci. Dopo qualche mese a questo lutto se ne aggiunse un altro, un'altra bomba, in città questa volta, e un’altra strage. Così la mafia si prese il disonore di scrivere l’ epitaffio degli onesti su un pizzino di dinamite. Roba da far tremare chiunque. Nonostante tutto, l’humour di Ayala emerge forte, e amaro. Da quello che racconta, e soprattutto da come lo racconta. Specie quando ricorda di una sua gita a Rimini con amici, per sfuggire alla noia della sua triste cittadina, lì si avverte l’ironia sottile e meridiana, solare e nera insieme, tutta siciliana: lì si entra nelle più vive pagine di Brancati, che guarda caso, nel suo Don Giovanni, descrive la stessa circostanza e la stessa urgenza di andarsene dei suoi protagonisti, come fosse un topos erotico, quello del siciliano che se ne va al nord per cercare l’amore tra le nebbie e i ghiacci dolomitici con delle improbabili svedesi che li raggelano con il loro idioma impraticabile dalle quali fuggono per rientrare nelle loro comode pantofole catanesi. Divertente. Mi piace pensare che il giudice Ayala sia sopravvissuto per questo e non per solo fortuna. Perché non si può uccidere un personaggio e un erede di Brancati.

mercoledì 4 giugno 2008

Questa sera, mercoledì 4 giugno, GIUSEPPE AYALA a Caffè Letterario

Questa sera, ore 21,00 Mercoledì 4 giugno 2008 Aula Magna Liceo Classico di Lugo GIUSEPPE AYALA "Chi ha paura muore ogni giorno" Milano, Mondadori, 2008 Interviene Marco Sangiorgi Sarà presente l'autore Riportiamo di seguito l'intervista di Marcello Tosi del Corriere di Romagna al giudice Ayala in occasione della presentazione di questa sera. (Cliccare sull'articolo per ingrandire)

L'incontro con GIUSEPPE AYALA - La rassegna stampa

domenica 1 giugno 2008

GIUSEPPE AYALA a Caffè Letterario

Mercoledì 4 giugno alle ore 21,00 nell'aula magna del Liceo Classico di Lugo primo importante incontro del mese per Caffè Letterario. Salirà infatti sul palco della nostra rassegna letteraria il magistrato siciliano Giuseppe Ayala che presenterà il suo ultimo lavoro "Chi ha paura muore ogni giorno. I miei anni con Falcone e Borsellino" edito da Mondadori nel 2008. L'incontro organizzato in collaborazione con l'Università per Adulti di Lugo e l'Associazione Eco sarà introdotto da Marco Sangiorgi.
Sono passati quindici anni dalla terribile estate che, con i due attentati di Punta Raisi e di via d’Amelio, segnò forse il momento più drammatico della lotta contro la mafia in Sicilia. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino restano due simboli, non solo dell’antimafia, ma anche di uno Stato italiano che, grazie a loro, seppe ritrovare una serietà e un’onestà senza compromessi. Ma per Giuseppe Ayala, che di entrambi fu grande amico, oltre che collega, i due magistrati siciliani sono anche il ricordo commosso di dieci anni di vita professionale e privata, e un rabbioso e mai sopito rimpianto. Ayala rappresentò in aula la pubblica accusa nel primo maxi-processo, sostenendo le tesi di Falcone e del pool antimafia di fronte ai boss e ai loro avvocati, interrogando i primi pentiti (tra cui Tommaso Buscetta), ottenendo una strepitosa serie di condanne che faranno epoca. E fu vicino ai due magistrati in prima linea quando, dopo questi primi, grandi successi, la reazione degli ambienti politico-mediatici vicini a Cosa Nostra, la diffidenza del Csm e l’indifferenza di molti iniziarono a danneggiarli a isolarli. Per la prima volta, Ayala racconta la sua verità, non solo su Falcone e Borsellino, che in queste pagine ci vengono restituiti alla loro appassionata e ironica umanità, ma anche su quegli anni, sulle vittorie e i fallimenti della lotta alla mafia, sui ritardi e le complicità dello Stato, sulle colpe e i silenzi di una Sicilia che, forse, non è molto cambiata da allora. Giuseppe Ayala, magistrato, è oggi presidente della prima sezione di Corte d’appello del tribunale dell’Aquila. Ha fatto parte per tutti gli anni Ottanta del pool antimafia e ha rappresentato l’accusa nel primo maxi-processo. Entrato in politica, è stato in Parlamento per tre legislature. Ha scritto, col giornalista Felice Cavallaro, La guerra dei giusti: i giudici, la mafia e la politica (1993).
da "Chi ha paura muore ogni giorno" di Giuseppe Ayala
L’appuntamento era fissato per il primo pomeriggio di venerdì 22 maggio all’aeroporto di Ciampino. Falcone, come spesso accadeva, mi avrebbe dato un passaggio per Palermo sul volo di Stato. In mattinata mi telefonò per avvertirmi di un cambiamento di programma. Francesca non si sarebbe liberata dal lavoro in tempo. Il decollo era spostato di ventiquattr’ore. “Giovanni, arrivare a Palermo sabato sera per ripartire lunedì mattina mi fa pensare che è meglio che io rimanga a Roma. Ti ringrazio, ci vediamo la settimana prossima.” Alle 17,59 di quel sabato cinquecento chili di tritolo fecero scempio di cinque vite e della dignità di questo Paese. Avrei dovuto esserci. Il “nonnulla” che non aveva salvato Ninni Cassarà rimase al mio fianco. Gli debbo la vita. Domenica 19 luglio, tornato dal mare, stavo riposando. Intorno alle sei del pomeriggio sentii un boato che mi fece saltare dal letto. Mi affacciai, ma non notai nulla di particolare. Dopo qualche minuto vidi un’enorme nube nera superare i dieci piani del palazzo di fronte a casa mia. Scesi in strada. La scorta mi seguì. Dopo duecento metri i nostri occhi furono costretti a una visione che a qualunque essere umano andrebbe risparmiata. E che non descrivo. Inciampai in un tronco di uomo bruciato. Era quello che restava di Paolo Borsellino. Fui il primo a vederlo in quello stato. Sarò l’ultimo a dimenticarlo.