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Sala conferenze - Hotel Ala d'Oro

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mercoledì 29 ottobre 2008

La serata con Carlo Flamigni

Grande successo per il Prof.Carlo Flamigni, (una delle voci più autorevoli della comunità scientifica internazionale) nella sua inconsueta veste di romanziere, lunedì scorso nell’ultimo appuntamento di ottobre a Caffè Letterario. Il professore forlivese ha presentato il suo ultimo romanzo “Un tranquillo paese di Romagna” edito da Sellerio nella prestigiosa collana “La Memoria”. Terzo episodio di una saga cominciata con il romanzo “Giallo uovo” e proseguita con “La compagnia di Ramazzotto” quest’ultimo noir di Flamigni vede sempre come protagonista Primo Casadei, cinquantenne scrittore dal passato irrequieto, che per la convalescenza di sua figlia appena guarita dalla tubercolosi sceglie i luoghi della sua infanzia, in Romagna. Una atmosfera cordiale e amabile dove tutti si conoscono, che viene improvvisamente turbata dal rapimento di una bambina, Ofelia, nipote di una parente di Primo. Un bel romanzo insomma, ricco di descrizioni e di personaggi interessanti. A cominciare dalla moglie di Primo, Maria, probabilmente l’unica cinese al mondo con accento forlivese, o lo scorbutico e saggio amico Proverbio, che ha per ogni occasione un gustoso detto popolare romagnolo. E proprio di Romagna e delle sue origini contadine Flamigni ha parlato al pubblico di Caffè Letterario raccontando della sua infanzia trascorsa nella campagna forlivese e dei suoi ricordi di quel mondo e di quella lingua, che è (o forse è meglio dire era) il dialetto romagnolo. Il grechetto umbro della cantina Arnaldo Caprai ha poi suggellato la bella serata con il consueto brindisi finale.

"Quel che resta del dialetto" di Ivano Nanni

Quelle piccole chiose scritte all’inizio del capitolo di "Un tranquillo paese di Romagna" di Carlo Flamigni appartengono alla tradizione dei romanzi picareschi, ai romanzi di avventure, ai diari, ai libri di viaggio, alle didascalie di tavole di zoologia e botaniche e perfino ai titoli di quadri. Lo scopo di questi riferimenti aveva un duplice scopo. Il primo era scenografico, in quanto visivamente incorniciava la narrazione in un contesto che ricordava i siparietti teatrali; il romanzo perciò diventava misura e ordine del paesaggio, e il secondo morale, cioè rassicurava il lettore riguardo a ciò che avrebbe trovato nel capitolo. A mio parere direi che l’autore ama il teatro, ha il gusto della scena e della scenetta, è attento a coglierne i tratti arguti e scherzosi orecchiati al bar, ne conosce le sfumature. In genere sono scherzi che sconfinano con l’offesa e spesso sono pesanti ed eccessivi, come i ruspanti galli romagnoli sanno fare; e nello stesso tempo l’autore è talmente rispettoso di chi legge che non desidera altro che intrattenerlo serenamente, di farlo divertire con senso della misura da buon romagnolo colto. Questione che lo nobilita oltremodo. Questi sommari si trovano in Gargantua e Pantagruele tanto per fare un esempio illustre, e in numerosi romanzi che hanno per protagonisti avventurieri di ogni genere; i capitoli delle memorie di Casanova sono introdotti da questi titoli, e non si contano quante dissertazioni e studi filosofici iniziano con un titolo chilometrico. In tempi più recenti non si distacca da questa tradizione nemmeno Mario Soldati il quale scrive bellissime titolazioni per il suo romanzo enologico - Vino al vino-resoconto di tre viaggi, in giro per l’Italia, alla ricerca dei vini genuini. Ogni capitolo è un sipario che si alza su un paesaggio, una terra, o una marca più vasta, sulle persone che lì vivono, e che mirabilmente vengono fuse nel crogiolo letterario di Soldati che, così facendo, storicizza e fa antropologia. Credo che anche per Flamigni sia la stessa cosa. La sua passione è antropologica e rurale insieme. Il suo incedere come scrittore non deborda dalla pagina, la sua immaginazione è tenuta sotto controllo da un termologia attenta e dal puntiglioso retroterra scientifico. Dunque, la titolazione introduce una misura del capitolo e una forma dalla quale si pregusta lo svolgimento del racconto, come se si orientasse l’attenzione sullo sviluppo di un assioma( il titolo del capitolo), portando il lettore verso una conclusione( la soluzione del problema). Su questo giallo soffia il vento dell’anticlericalismo, dell’anarchia e dell’insofferenza per i potenti. I preti non ne escono bene. Don Vittorio, il prete pedofilo che dorme per terra con il cilicio, non trova pace tormentato dal peccato per quello che ha commesso in gioventù. A tormentarlo ci pensano le sue vittime: il giovane maestro sedotto in collegio dal prete, che si scopre un mostro assassino e impotente; e il pittore, fratello di una delle vittime di don Vittorio, morto di eroina. Entrambi si ritrovano complici nella vendetta, alimentata dal risentimento e dall’impossibilità di amare. Si disegna in questo modo una triangolazione che prevede il peccato non punito, la vendetta pregustata per anni, la scoperta dell’ebbrezza dell’assassinio di minori con lo scopo nascosto di gettare nella disperazione il povero prete coperto dalla vergogna per una debolezza disgustosa. Sullo sfondo si agita il sottobosco delle piacevolezze dei piccoli borghi con le loro piccole maldicenze e grandi mostruosità. Se poi pensiamo a come finisce il maestro assassino c’è da rabbrividire; inforcato da Mariuccia, la nonna di Ofelia, che non esita e non ha rimorsi nel maciullare il carnefice della nipote, gettando poi i resti dell’infilzato nella porcilaia, vediamo come sono presenti cenni macroscopici di giustizia tribale nelle nostre colline. Una tragedia romagnola che però spicca il volo sull’ultima battuta che pare uno scherzo atroce e beffardo quando Primo, lo scrittore investigatore, prospetta la sua intenzione di non mangiare più prosciutto almeno per un po’, e siamo all’ultima pagina. Tuttavia questo romanzo è anche altro: e qui azzardo un’ipotesi molto sotterranea. A mio parere questo romanzo pone al centro della trama, come sottotraccia, non solo dei personaggi e una macabra vicenda che pure ci sono come si è visto, ma una lingua. Questa lingua è il dialetto e la sua storia è quella narrata attraverso le vicende dei personaggi che lo personificano attraverso il lessico, la sintassi e i modi di dire. C’è un romanzo nel romanzo il cui protagonista vero non c’è, non è visibile, ma solo udibile e non sempre per altro, e quel che è peggio sta per sparire. Si avverte la sua presenza intermittente. Il dialetto è qui personificato con figurazioni tipiche delle nostre terre, con personaggi e caratteri che sono gli abiti dentro ai quali vive il cuore stesso della terra. Si mette in scena un reticolo vertiginoso di personaggi, si scava nelle profondità di vecchie storie, si scoprono gli altarini di una piccola comunità che ha nel tempo sedimentato rancori e pietà in un equilibrio precario sulle chiacchiere, le reticenze, gli sbotti di collera, o le sanguigne gesta criminali in un impasto vischioso, in cui l’eccentricità personale si lega spesso a filo doppio con la passione politica. Terre di fede incrollabile repubblicana, mazziniana, anarchica e antipapista. E dalla terra, anzi dalle radici e dal sotterraneo mondo di una lingua che giorno dopo giorno perde pulsazioni, l’autore prende il vigore necessario per ricordare e meglio raccontare questo dramma - comico, di personaggi campestri e di vittime annunciate. “ Comunico che il dialetto sta morendo,guardatelo in una delle sue ultime rappresentazioni, salutatelo e poi andate a trovarlo sottoterra se proprio non potete farne a meno “ – sembra voler dire dalle pagine del romanzo, molto obliquamente l’autore. Forse davvero il dialetto diventerà una questione da speleologi? Ci si dovrà inabissare dentro a buie caverne per cercare le nostre radici una volta spianate le campagne? Chissà! Una volta che anche i contadini non parleranno più il dialetto e la terra non sarà più la stessa, una certa storia sarà finita, ma, i più fortunati, potranno prendere dallo scaffale della libreria un libro come questo e studiarla, quella storia minima di fatti e fatterelli, se non altro per il diletto di averne memoria e riderne di gusto o provare un brivido di paura.

sabato 25 ottobre 2008

Lunedì 27 ottobre - CARLO FLAMIGNI a Caffè Letterario

Lunedì 27 ottobre alle ore 21,00 nella sala conferenze dell’Hotel Ala d’Oro ultimo incontro del mese per Caffè Letterario. Sul palco della nostra rassegna letteraria lughese salirà il Prof. Carlo Flamigni che presenterà il suo ultimo romanzo “Un tranquillo paese di Romagna” edito da Sellerio nel 2008. A introdurre la serata, che terminerà con la tradizionale degustazione di vini, sarà il curatore di Caffè Letterario Marco Sangiorgi. Nella veste non consueta di romanziere, Carlo Flamigni, noto in Italia come uno dei più grandi luminari di Ginecologia, si presenta al pubblico di Lugo con questo noir ambientato nelle colline romagnole. Un romanzo che appartiene a quei polizieschi lontani sia dal thriller d’azione che dal giallo enigmistico e sembra piuttosto obbedire alla definizione di Fred Vargas: “Il poliziesco è una specie di favola, ironica o tragica o cerebrale”. Favola cattiva, a cui l’essere un “mistery romagnolo” aggiunge qualcosa in ironia e grottesco. Questa la trama. La famiglia di Primo Casadei – detto anche «Terzo»: un ex spiantato diventato scrittore di successo senza aver smaltito la scorza anarcoide – torna nel paesino di origine sulle colline romagnole. Qui vivono ancora vecchi contadini dalle facce di cuoio, coriacei repubblicani dai nomi significativi e dai soprannomi ancor più dichiarativi, anticlericali sanguigni e preti combattivi. Luoghi abbastanza eccentrici da ben assorbire la bizzarria degli affetti di Primo: la moglie, splendida cinese che ha appreso a parlare romagnolo e il cattolicesimo da una radio privata; le due gemelle del tutto autarchiche; Pavolone il loro gigantesco protettore; e il vecchio Proverbio, ateo appassionato e miniera inesauribile di saggezza popolare. Ma appena giungono in paese iniziano nefandi omicidi di bambini; nel bosco, assassinii abbastanza diversi uno dall’altro, da respingere l’idea del maniaco o del killer seriale. Ci sono stati, oltre i Casadei, altri arrivi in paese: un nuovo prete, un pittore sempre in giro per i sentieri, un giovane maestro tanto colto e devoto. E i loro misteri, di cui inevitabilmente si favoleggia, si aggiungono a quelli che da sempre nelle chiacchiere dei contadini circondano i vecchi personaggi, dal medico al tenutario dell’albergo a ore. La famiglia di Primo, la sua parte attiva, è una sbilenca squadra di investigatori, ma capita, per avventura e per pietà, che frughi in quei misteri, fino a svelare, dopo che le autorità hanno chiuso l’inchiesta, un enigma che parte da lontano, dall’imperdonabile peccato di un sant’uomo. Carlo Flamigni vive e lavora a Bologna. Ha diretto il servizio di Fisiopatologia della riproduzione e l'Istituto di Ostetricia e Ginecologia dell'Università di Bologna presso l'Ospedale S. Orsola. Professore di Ginecologia e Ostetricia presso l'Università di Bologna, è stato Presidente della S.I.F.E.S. ed è membro del Comitato Nazionale per la bioetica. Autore di un migliaio di pubblicazioni scientifiche e di numerosi volumi di divulgazione, si occupa principalmente di Fisiopatologia della riproduzione e di Endocrinologia ginecologica.

venerdì 24 ottobre 2008

Sabato 25 ottobre - Dedicato a PIERO CHIARA - Serata Conviviale

Sabato 25 ottobre alle ore 20,30 al ristorante dell’Hotel Ala d’Oro prima serata conviviale di questa stagione per Caffè Letterario. Un incontro all’insegna della grande letteratura e del buon umore con la presentazione del libro “Come il maiale. Piero Chiara e il cinema.” Il volume edito da Marsilio e curato da Federico Roncoroni e Mauro Gervasini sarà presentato dallo stesso Gervasini e dal critico cinematografico Andrea Bruni. Il testo analizza i film che grandi registi, come Alberto Lattuada, Dino Risi, Marco Vicario e Paolo Nuzzi, hanno tratto dai romanzi e racconti del grande scrittore luinese. Il curioso titolo del libro nasce da una dichiarazione dello stesso Piero Chiara che, rispondendo alla domande sul perché continuasse a cedere i diritti delle proprie opere a produttori e registi, nonostannte la delusione nei confronti dei film, dichiarò: «I miei racconti e i miei romanzi sono per me come il maiale per il contadino: non si butta via niente». Romanzi e racconti spesso traditi, certo, ma che negli esempi più alti - come Venga a prendere il caffè... da noi (tratto da "La spartizione") e "La stanza del vescovo" - hanno saputo coniugarsi alla perfezione con la poetica dei singoli registi, e con le più alte suggestioni della "commedia all'italiana". Una serata divertente quindi che prevederà anche la proiezione di alcuni brani dei film citati. Menù Aperitivo con stuzzicherie Grigliata rustica romagnola (piatto vegetariano in alternativa) Latte brulè Caffè. €. 20,00 per persona. E’ necessaria la prenotazione (0545 22388) .
da "L'indice" Periodico italiano di recensioni e informazioni sul mondo dei libri. Ci sono due frasi, tra le tante, che rendono l'atteggiamento di Piero Chiara verso il cinema. Riferendosi all'adattamento dei suoi testi sul grande schermo, lo scrittore non nasconde una certa malinconia: "Molte volte, rivedendo uno dei film tratti dai miei libri, mi sembra di sognare. È avvenuta, nel passaggio, un'alterazione cromosomica che ha dato vita a una creatura imprevista e imprevedibile, ma non più mia". In un'altra sede, commentando la cessione dei diritti dei suoi libri per le versioni televisive o cinematografiche, appare ancora più desolato: "Vendere un libro al cinema è come vendere un cavallo: si può sperare che il padrone lo tratti bene, non lo sforzi, lo nutra a dovere, ma poi non si può andare a vedere come sta. Il nuovo padrone lo può anche macellare".Le premesse non paiono incoraggianti, considerando che fin dalla giovinezza Chiara era attratto più dal teatro e dalla fotografia, mentre il cinema, anche quando appariva nei suoi scritti, era tendenzialmente un luogo fisico, uno sfondo senza interesse. Viceversa, il libro curato da Roncoroni e Gervasini è interessante perché pone al centro dell'analisi questa paradossale problematicità: uno scrittore che ha scarsa fiducia nelle modalità espressive audiovisive, ma al tempo stesso vede molti dei suoi scritti trasposti sul grande schermo e firma in prima persona sceneggiature sia per il cinema che per la televisione, spesso con grande successo di pubblico.Suddiviso in due grandi sezioni, il testo ospita in primo luogo saggi che analizzano gli aspetti letterari dello scrittore di Luino nei suoi lavori per il cinema e per la televisione, con l'interessante arricchimento del soggetto inedito Due ipotesi per la scomparsa del prof. Tagliaferro, mai realizzato. Nella seconda parte ci si concentra invece sui film tratti dai romanzi e racconti di Chiara, da Venga a prendere il caffè… da noi (Lattuada, 1970), tratto da La spartizione a La stanza del vescovo (Risi, 1977) e Il cappotto di Astrakan (Vicario, 1980).Senza mai cadere nell'agiografismo, che spesso è il rischio principale di queste operazioni di rivalutazione critica, il libro funziona anche perché sa adottare una prospettiva analitica che ora riflette sul singolo testo ora allarga lo sguardo ad altre dimensioni, come accade nel saggio di Alberto Pezzotta sul rapporto tra Chiara e Lattuada, quasi coetanei.Più in generale, oltre a fornire nuovi elementi di conoscenza rispetto all'opera di Chiara, il libro sa travalicare il caso specifico e affrontare nodi teorici complessi, senza tuttavia presupporre un lettore specialista: dalle relazioni tra letteratura e cinema in riferimento ai differenti codici espressivi alla questione dell'autore di un'opera, fino alla riflessione più ampia sul rapporto tra gusti del pubblico e paradigmi critici. Michele Marangi

"La pace del collezionista" di Davide Silvestri

Per il collezionista di libri la pace non esiste, nel senso che non riesce mai a riempirsi lo stomaco come vorrebbe. E’ inutile, può comprarsi tutti i libri che vuole, può anche rubarne qualcuno, perché no. Può nascondersi di notte nel gabinetto di una grande biblioteca pubblica e poi uscire per toccare tutti quei libri che dormono al buio, senza nessuno che lo disturbi. Ma tutto questo non riuscirebbe a calmare la fame del collezionista di libri. Neppure una visita al macero, dove i libri vanno a morire la loro morte umida, sarebbe sufficiente. Dovrebbe riuscire a trovare la fonte dei libri, quel buco dal quale escono a rotta di collo, a frotte, per precipitarsi nel mondo. Il collezionista di libri dovrebbe tuffarsi nel pozzo senza fondo dove si trovano i libri vecchi e i libri nuovi, e anche quelli che non sono ancora stati scritti, se è per quello. Ecco dove dovrebbe cadere il collezionista di libri, per avere un po’ di pace.

giovedì 23 ottobre 2008

"I libri del collezionista" di Ivano Nanni

L’orizzonte che si apre sulla piccola editoria d’arte, come è stato detto nel corso della serata, è il collezionismo. E non potrebbe essere diversamente. La preziosità di certi libri li rende appetibili solo a particolari soggetti ” malati” di oggetti di culto. Chi non è scosso da brividi di febbre davanti a una rarità letteraria non possiede il crisma del collezionista. I collezionisti appartengono a una specie che ama i libri tout court, sono il loro oggetto d’amore, compulsivamente sono portati ad accumulare libri, a leggerli certamente, ma prima di tutto a goderne il lustro estetico. E di questo si tratta. Si parla di libri come opere d’arte. Pezzi unici, o quasi, come dipinti e sculture. Per libro d’arte si intende un ibrido formato da un incrocio di arti, di molteplici tecniche espressive il cui risultato è una micro produzione d’elite. Libri preziosi e rari. A volte le stampe non superano le due copie e si capisce perché. Alla base c’è l’opera di un certosino che ama smisuratamente il suo lavoro. Il certosino non produce molto, ma quando lo fa, sta attento a quello che mette in mostra. Daniele Ferroni cura tutto. La sua opera è completa e selettiva. Riunisce in sé diverse figure professionali, diverse arti. Il grafico, lo stampatore, il fotografo. Ad altri, chiede collaborazione. Per i testi, per i disegni; creando un supporto che non di rado diventa amicizia e progetto futuro. I suoi libri si aprono come album: sono pagine di pregio. Foto, disegni, e poesie. Sono brevi testi, ognuno a ricordare una percezione. Sono libri della percezione, del momento estatico, sono libri del ricordo e della nostalgia. Dentro c’è, a mio parere, prima di tutto l’infanzia. A Ferroni, come a tutti gli artisti, è toccato il privilegio di rimanere fanciulli e di fare del gioco la loro vita. Per cui, misteriosamente, l’artigiano diventa artista per inoculazione diretta di un quid di humor fanciullesco, che eleva un prodotto ad opera d’arte. Poi il lavoro dell’artista, come si sa o s’intuisce, è anche impegno e tensione, e duratura minaccia di fallimento nel progetto, nella realizzazione, nella distribuzione,vale a dire, nelle forme dell’apparire, “del mettersi in mostra”. Ma, tuttavia, e indefinitamente, rimane quella traccia nel mondo, quel filo di bava della -lumaca golosa- che a me pare, il pregio stesso della natura, la presenza costante di una pacata gioia nel creare per il piacere di farlo, appunto, come fosse un gioco di ragazzi. In secondo luogo c’è l’amore per la manualità. Un sapere essere artista che non prescinde dal saper fare. Per cui si pensa al progetto e si pongono le basi materiali per la sua realizzazione. E qui entrano in gioco le competenze specifiche: le conoscenze tecniche, la teoria e la pratica dell’artigiano. Non ci si può ingannare su questo. Poiché queste opere non sono fatte in serie, tutto devono all’abilità e al talento dell’artista. Un talento composto e tenuto insieme da una specie di devozione a una specialità che a prima vista par chiusa nell’ambito di una quasi clandestinità. La microeditoria è una nicchia, una sottotraccia dell’editoria che ha tratti dogmatici, sacerdotali, di assoluta dedizione e devozione spirituale. Voglio dire, da profano, che è quasi una preghiera, un bisbiglio. Nondimeno, un altro elemento fondante, appare la collaborazione con altri artisti. Con accorto e reverenziale disposizione d’animo, Daniele Ferroni ha avvicinato autori importanti, epocali per la letteratura, e li ha fotografati. Ha chiesto loro dei testi e con questi materiali ha creato un sogno per pochi. Ha perciò realizzato opere alla cui base sta la simpatia; cioè l’essere insieme con pathos, già un’arte di per sé, ricordandoci altresì, che per chi è grande non c’è limite alla disponibilità. Ha realizzato in poche e semplici parole, in poche pagine scritte, in cofanetti e scatole di pagine e foto un segno vero di amicizia, tra lui e i poeti, e tra questi e il pubblico. Ha creato un gioco di emozioni di fanciullo e su questo terreno comune ha trovato complicità e bellezza. I suoi libri, prima di tutto, sono belli.

La serata con Daniele Ferroni

Serata dedicata all'arte e alla editoria quella dello scorso lunedì 20 ottobre. Daniele Ferroni sul palco di Caffè Letterario ha presentato i lavori della sua piccola casa editrice "Lumacagolosa". Lavori nati dagli incontri che Ferroni ha intrecciato in questi anni con poeti, pittori e scultori che assieme a lui sono protagonisti nelle sue opere editoriali. La serata si è dipanata in una piacevole conversazione tra Marco Sangiorgi, curatore di Caffè Letterario, Stefania Vecchi, curatrice della rassegna d'arte di Casa Rossini "Fuori di se" (dove attualmente è allestita una mostra fotografica del fotografo/editore bagnacavallese) e lo stesso Daniele Ferroni che ha ricordato con commozione, fra gli altri, l'incontro con lo scrittore Mario Rigoni Stern, recentemente scomparso.
Come buona abitudine di Caffè Letterario la serata si è conclusa con l'abituale degustazione di vini affidata in questa occasione alla cantina Villa Bagnolo di Castrocaro con il suo Sangiovese "Sassetto".

La serata con Colombati e... Bruce Springsteen

Grande serata di letteratura e musica quella di venerdì scorso con lo scrittore Leonardo Colombati che ha presentato il suo libro “Bruce Springsteen. Come un killer sotto il sole. Il grande romanzo americano (1972-2007)”. Un pubblico da grandi occasioni nella sala conferenze dell'Hotel Ala d'Oro , fra cui tantissimi fans del "Boss", ha seguito fino a mezzanotte la conferenza/spettacolo dello scrittore romano coadiuvato sul palco dal collega e amico bolognese Gianluca Morozzi e dagli interventi musicali della band riminese Lorenzo “Miami” Semprini & Friends.
Ecco il fotoracconto della serata.

sabato 18 ottobre 2008

Lunedì 20 ottobre - DANIELE FERRONI a Caffè Letterario

Lunedì 20 ottobre alle ore 21,00 nella sala conferenze dell’Hotel Ala d’Oro, nuovo incontro di Caffè Letterario dedicato alla fotografia. Ospite della nostra rassegna letteraria sarà Daniele Ferroni che presenterà la sua mostra fotografica “Di poesia e di ombra” attualmente allestita a Casa Rossini. Un lavoro quello di Ferroni che ci appare come un mondo sospeso tra arte ed editoria, risultato essenziale ed espressione delle relazioni e degli incontri che Daniele Ferroni ha intrecciato in questi ultimi anni, ricercando e testimoniando il lavoro di numerosi scrittori, poeti, pittori e scultori che assieme a lui sono protagonisti nelle sue opere fotografiche ed editoriali. I nomi degli artisti, scrittori e poeti incontrati sono tanti e vanno, per citarne alcuni, da Mario Rigoni Stern, Michel Butor, Alda Merini, Alberto Casiraghi, Ilario Fioravanti, a Vittorio Cozzoli, Nevio Spadoni, Giuseppe Bellosi, Tolmino Baldassarri, Vittoria Facchini. E questi incontri vengono testimoniati e fissati attraverso la parola stampata dando vita a piccole plaquette e preziosi libri d’artista con tiratura limitata, dove la fotografia convive assieme ai testi poetici trascritti con l’antico mezzo della stampa a carattere mobile e impressi su fogli di nobili e pregiate carte, con introvabili e vellutati inchiostri francesi. La serata sarà introdotta da Marco Sangiorgi e da Stefania Vecchi curatrice della rassegna d’arte contemporanea “Fuoridisè”. Al termine consueto brindisi con l’abitale degustazione di vini. Daniele Ferroni è nato a Bagnacavallo (Ra) nel 1969, vive e lavora a Villanova. Si interessa di fotografia sin da bambino e nel 2004 ha avviato le edizioni di arte e poesia Lumacagolosa pubblicando libri in piccola tiratura, collaborando con poeti, scrittori e artisti. Dal 2005 presiede l’associazione culturale “ Civiltà delle Erbe Palustri” impegnata a tramandare le antiche tecniche di utilizzo delle erbe palustri nella costruzione di oggetti di uso domestico. Lo scultore Ilario Fioravanti fotografato da Daniele Ferroni

giovedì 16 ottobre 2008

Domenica 19 ottobre - LORENZO TUGNOLI inaugura la sua mostra fotografica "Uno dei tanti"

Domenica 19 ottobre alle ore 18,00 all’Hotel Ala d’Oro inaugurazione della mostra fotografica “Uno dei tanti” di Lorenzo Tugnoli. A presentare la mostra, che rimarrà aperta fino al 14 novembre, saranno gli interventi di Marco Sangiorgi e Massimo Sciacca. Lorenzo Tugnoli, nato nel 1979, risiede a Bologna. Ha cominciato a occuparsi di fotografia durante gli anni dell’università. Nel 2004 è stato in Chiapas (Messico) in alcune comunità zapatiste per documentare la loro vita a dieci anni dall’inizio di questo movimento. Nel 2005 è stato in Iran per un lavoro sulla vita dei giovani nel paese poi pubblicato sul settimanale "Io Donna". Nel gennaio 2006 è stato in Palestina per un reportage sulle elezioni parlamentari e nel settembre 2006 in Libano per lavorare sulle conseguenze della guerra sulla società libanese; nel febbraio 2007 a l’Avana per testimoniare differenti aspetti della società cubana. Negli ultimi mesi ha lavorato a New York con importanti personalita’ del fotogiornalismo internazionale come il fotografo della celebre agenzia Magnum Christopher Anderson. E le fotografie esposte in “Uno dei tanti” si possono definire un diario emotivo di quei giorni nella grande mela coniugato insieme alle sperimentazioni delle tecniche fotografiche via via scoperte in questi anni. Attualmente Lorenzo Tugnoli è coinvolto nel progetto fotografico di “Lugoland”. Progetto dedicato al territorio lughese in cui al momento sono impegnati artisti fra cui spiccano i nomi di Graciela Iturbide, Guido Guidi, Tim Davis, Marco Delogu, Xavier Ribas e Giovanni Zaffagnini. Le immagini dell'inaugurazione

lunedì 13 ottobre 2008

Venerdì 17 ottobre - LEONARDO COLOMBATI a Caffè Letterario

Venerdì 17 ottobre alle ore 21,00 nella sala conferenze dell’Hotel Ala d’Oro quarto appuntamento di questa nuova stagione di Caffè Letterario. Salirà sul palco della nostra rassegna letteraria il giornalista e scrittore romano Leonardo Colombati che presenterà il suo libro “Bruce Springsteen. Come un killer sotto il sole. Il grande romanzo americano (1972-2007)” edito da Sironi editore nel 2007. Come già successo in passato dove Caffè Letterario ha offerto spazio a diversi generi letterari e alle contaminazioni tra le varie discipline, così questa sera sarà l’intreccio letteratura-musica a farla da padrone, trattando di uno dei musicisti più amati al mondo come Bruce Springsteen. E come sottolinea Leonardo Colombati, Bruce Springsteen è un musicista d’un tipo particolare: perché è prima di tutto uno storyteller, un “raccontatore di storie”. Ogni sua canzone racconta la vita, o l’episodio decisivo della vita, di un ragazzo, di una donna, di una coppia, di un padre e un figlio; ogni sua canzone racconta un angolo degli Stati Uniti d’America, una strada, un deserto, un paese, una città. Ecco perché Colombati ha voluto dare a questa raccolta di canzoni il sottotitolo “Il Grande Romanzo Americano”, selezionando e traducendo di persona cento e più testi di Springsteen. Con questo libro coloro che hanno sempre amato l’opera del Boss potranno finalmente collocarla a buon diritto nella loro libreria accanto a libri di poesia come l’Antologia di Spoon River di Lee Masters, a grandi romanzi come Furore di Steinbeck, o Underworld di DeLillo. Nel sontuoso apparato di note ai testi, Colombati ricostruisce le circostanze - spesso raccontate dallo stesso Springsteen - nelle quali le canzoni furono composte, e ne illumina il senso profondo ricostruendo il fitto reticolo di rimandi alla cultura popolare e “alta” così come alla storia sociale e politica degli States. Sul palco insieme a Colombati interverranno lo scrittore bolognese Gianluca Morozzi e il musicista riminese Lorenzo “Miami” Semprini. A conclusione della serata consueto brindisi con l’abituale degustazione di vini. Leonardo Colombati è nato a Roma nel 1970. Il suo primo romanzo, "Perceber" (Sironi 2005); finalista al Premio Viareggio, è stato salutato come uno tra i più significativi degli ultimi anni. Il secondo, "Rio", è uscito nel marzo 2007 per Rizzoli. Redattore di «Nuovi Argomenti», collabora con «Il Giornale» e «Vanity Fair».http://www.medicine-show.net/ è il sito della rivista musicale diretta da Colombati, alla quale collaborano, tra gli altri, Alessandro Piperno, Mario Desiati, Giulio Mozzi.