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Sala conferenze - Hotel Ala d'Oro

Via Matteotti, 56 - 48022 Lugo di Romagna - (Ravenna) - Italia
Per Informazioni : 0545 22388 - claudio@aladoro.it
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sabato 29 novembre 2008

"Qui siamo giunti dove volevamo"di PAOLO LAGAZZI

Sulla presentazione di merdoledì 19 novembre del suo libro "La casa del poeta" a Caffè Letterario
Fra tutti gli ambienti (teatri, sale, biblioteche, case) in cui ho presentato i miei libri, o i libri curati da me, l’hotel “Ala d’oro” di Lugo è uno dei più singolari. Il suo nome non è certo casuale, e non solo per il fatto che Lugo è la patria del più mitico eroe dell’aviazione italiana, Francesco Baracca; questa “Ala d’oro” è il limpido simbolo di una passione per i voli fantastici, per le escursioni del pensiero e dell’anima, che segna il destino di questo hotel come quello del suo proprietario e regista, Claudio Nostri. Impareggiabile anfitrione, maestro di cerimonie e di convivialità, conoscitore di vini novelli e di antiche tradizioni gastronomiche, ma anche appassionato degustatore di maestri della lirica (da Petrarca a Leopardi) di cui sa recitare interi testi par coeur, Nostri ha saputo fare del suo albergo, con la lucida complicità di Marco Sangiorgi, un crocevia di narratori, poeti, saggisti, giornalisti e artisti, fra i più vivi e stimolanti nell’Italia dei nostri anni. Personalmente ho scoperto questo luogo due anni fa in una serata dedicata al “Meridiano” Mondadori, curato da me, delle opere scelte di Pietro Citati, e il ricordo di quell’incontro col pubblico dei lettori di Lugo resta in me come il riflesso di un dono bellissimo. Ma da poco il dono si è ripetuto: invitato ancora da Nostri e Sangiorgi, lo scorso 19 novembre ho potuto presentare all’“Ala d’oro” il mio ultimo libro, La casa del poeta. Ventiquattro estati a Casarola con Attilio Bertolucci (Garzanti), nel corso di una magnifica cena. Accanto al padrone di casa, squisito come sempre, e al bravissimo Sangiorgi, è intervenuto alla serata il geniale, estroso e per me “unico” Gian Ruggero Manzoni. Cosa potrei dire a chi non c’era per riassumere in due parole lo spirito di tale incontro? Solo questo, forse: che in qualche raro caso è ancora possibile riscoprire il senso “greco”, nobile senza nulla di snobistico, del simposio. Quando ciò avviene, tutto, o quasi, è possibile: che la poesia si mescoli col vino e col cibo senza timore di avvilirsi, di perdersi nei meandri dell’inautentico; che l’anima e il corpo si riscoprano fraterni nella leggerezza, nella danza dei sensi con l’invisibile; perfino che l’esercizio critico non appaia più qualcosa di greve, vacuo o superfluo, ma si riveli nel suo lato più giocoso, cioè, forse, più vero e più serio… Grazie a Nostri, dunque, e con lui a Sangiorgi, a Manzoni e a tutti coloro che hanno voluto condividere tale occasione di calore e bellezza. È per incontri di una simile natura che Attilio Bertolucci ha scritto uno dei suoi versi più famosi: “Qui siamo giunti dove volevamo”. Paolo Lagazzi

mercoledì 26 novembre 2008

"I diversi percorsi dell'amore" di IVANO NANNI

Sull'incontro con MARIO DESIATI di Lunedì 24 novembre Quel concetto attorno al quale ruota sia la vita che la letteratura, "l’affascino" (che pregnanza il dialetto!), che è passione, maledizione e seduzione insieme, è forse la porta di accesso per la comprensione di una scrittura che si sposta frenetica su diversi binari. Civiltà dello scrivere e del vivere, nel senso di impegno e passione come lo sentiva Pasolini, e come forse lo sente anche Desiati quando parla della sua terra. Come sicuramente lo sente Saviano, quando affronta la terribile metastasi che appesta Napoli e che pare sfuggire a qualunque cura. Malgrado ciò in Saviano, e anche in Desiati, c’è il fascino vero di questa maledizione dello scrivere che promette riscatto in virtù di un’invenzione narrativa differente. Per cogliere bene certe immagini occorre avere lenti bifocali, inclinare la testa, trovare il punto di equilibrio ottico e prepararsi a vedere tramite piccoli spostamenti di grande rilevanza. Si sposta il punto di vista da un capo all’altro dell’argomento provocando punti di ebollizione diversi dentro ai quali la materia del narrare sbuffa, si scalda, e poi si rapprende in solidi blocchi descrittivi. La magia di una scrittura di urgenza e passione è proprio questo nuovo modo di reinventare oggetti narrativi conosciuti in qualcosa di differente, con spostamenti di prospettiva in un campo preciso di azione. Di provocazione in provocazione si lascia attonito il lettore, si atomizza il protagonista senza cancellarlo, e si dà alla materia stessa il compito di narrarsi tramite un segugio-scrittore che fiuta i sentieri narrativi e di volta in volta prende forme diverse. E il risultato sono opere che si fanno leggere e apprezzare per le svolte epocali che provocano, per gli scismi improvvisi che sbaragliano il campo da certezze narrative note, senza disperdere nulla, perché ogni dettaglio è possibilità di racconto. Queste scritture raccolgono lettori attenti e partecipi. Forse non è il caso di cedere alla provocazione della parola “impegno civile” per Desiati e per altri, ma lo sguardo comune che hanno verso il confine narrativo, un ibrido che si lascia catturare attraverso l’uso combinato di tecniche diverse, non è mai uno sguardo singolo ma una vista molteplice che sposta la telecamera su azioni che di volta in volta appartengono sia a loro stessi, per esperienza diretta, sia ad altri, della cui esperienza si appropriano per diritti di creazione artistica, se così si può dire. C’è, dunque, seduzione verso la materia, e passione, che evolve in una scrittura evocativa ma non onirica. A volte bassa, materica, sostanziale, operosa che mette in linea diversi percorsi, li fa convergere in un’unica soluzione contro quei maledetti correlati del Potere che sono le mafie, gli sfruttamenti, i degradi urbani, le periferie scoppiate, le immondizie sommergenti le case e le persone. È quella creazione molteplice che si affranca dalle pastoie dell’ispirazione del singolo mago della scrittura, del Vate inorgoglito e vanaglorioso, e si avvale di un reticolo di invenzioni anonime, non convenzionali. A mio parere, in Desiati, c’è la freschezza di un’invenzione narrativa nella quale convergono grappoli di racconti sbocciati come frutti spontanei dalla viva terra, raccolti e intrecciati in un ottica di critica del sistema. Se ci togliamo i paraocchi cosa vediamo? Si vede e si sente cosa siamo. Siamo un popolo inacidito e volgare, dove ognuno è solo con il suo piccolo sogno adolescenziale, fiacco e obsoleto, al quale rimaniamo aggrappati sperando in un miracolo che non arriverà mai. Anche di questo si racconta scrivendo dell’infelicità delle spose e della precarietà del lavoro, o della mafia e della vanità dell’apparire a tutti i costi in degradanti siparietti tivù. È un lavoro per demolire le barriere dell'egoismo e dell'ignoranza, la vera peste in cui si ammolla l'anima. È giusto raccontare di questo, perché è questo che siamo diventati, e raccontarlo senza finzioni e senza iperboli, o avvitamenti nostalgici è opera meritoria. In più senza l’intento di fare storia o fondare scuole di pensiero, ma solo con la forza delle immagini vere e autentiche come deve essere la letteratura. Non un’ invenzione di testa, un rete di parole fiacche buttate giù a riempire una griglia narrativa qualunque, ma quasi un dolore di pancia, un colpo di fulmine, un abbaglio delirante: come quell’immagine dei bambini che si rotolano nel campo di calcio come cagnolini, felici di essere semplicemente lì, di partecipare, e poi di ricordare in maniera iperbolica e creativa quel miracolo, quella gioia vera, quella franca condivisione a un evento irripetibile. Un flash di felicità, un lampo di amore vero.

La serata con MARIO DESIATI

Dopo due serate dedicate al cinema e alla poesia, la narrativa è tornata a Caffè Letterario con il bellissimo libro di Mario Desiati, “Il paese delle spose infelici” edito da Mondatori. Dopo l’introduzione critica di Marco Sangiorgi, Desiati ha parlato di questo suo nuovo romanzo ambientato nella sua terra d’origine, la Puglia degli anni novanta, per più di due ore e intrattenendosi poi davanti a un bicchiere di vino, coi soliti irriducibili fino a tarda notte. «A Martina Franca, la mia città, circola una diceria: tutti dicono che quella è la capitale dei suicidi. Ma la stessa voce la trovi in altre città del Sud, ancora affette da quella predisposizione all’infelicità che già aveva diagnosticato molti anni fa Giustino Fortunato quando parlava della “chiusura” della gente del Mezzogiorno. Certo, seppure non da primato, il numero di persone che si tolgono la vita a Martina Franca e dintorni è piuttosto alto, tanto che ogni volta che torno mi raccontano di nuovi casi. Nell’ ultimo anno, per esempio, ci sono state tre donne, ragazze fra i venti e i trent’anni, che hanno scelto di morire. E il modo preferito - cito dai verbali della questura - è per “precipitazione”: ovvero, buttandosi nel vuoto o in uno dei tanti pozzi che ci sono nelle campagne. Mi ha sempre colpito questa espressione, “precipitazione”, che pare suggerire la fretta di farla finita, l’urgenza di levarsi dal mondo». In questa maniera lo scrittore pugliese ha spiegato il titolo del suo romanzo ambientato nella valle d’Itria («trulli, muri a secco, masserie bianche di calce») o più nobilmente Itriashire come adesso viene chiamata, dopo essere diventata negli ultimi anni uno dei luoghi tipici del nuovissimo turismo, quello per intenderci della cosiddetta “slow life”. Divertenti e incredibili poi i ricordi dell’autore di quel fenomeno mediatico che fu a Taranto Giancarlo Cito, populista e demagogo, creatore della Lega d’azione meridionale, che usò con grande anticipo la commistione fra politica e tv impiegando la sua rete privata Antenna Taranto 6 e che compare più volte come personaggio di contorno nel romanzo di Desiati. Insomma, un’altra serata “da ricordare” per Caffè Letterario (e per tutti gli amanti della buona lettura un bel libro “da leggere”) , che si è conclusa poi come da copione con il consueto brindisi finale.
da “Il paese delle spose infelici” di Mario Desiati In un luogo dove le spose erano infelici fece stupore quello che accadde un marzo mite del 1990. Il Taras era il torrente sottile che si attorcigliava al Siderurgico. La sorgente che lo generava veniva dal sottosuolo, si dice fosse miracolosa. Anni prima un cavallo zoppo e morente fu gettato nel ruscello, invece di annegare riprese vitalità ed emerse correndo per il lungofiume. Per molto tempo la gente di Taranto pensò di curarsi dalle malattie e dai sortilegi con i bagni nel Taras. Quel giorno erano le due, il letto era semiasciutto, ma un piccolo rigagnolo dai colori melmosi percorreva i dossi formando cascate. In inverno quell’acqua era tiepida come la conca di un bagno termale, emanava zaffate di vapore come se dentro si raffreddassero le carcasse bollenti dell’acciaio del Siderurgico. Non era chiaro se quella mitezza fosse dovuta al grande impianto o alla sorgente. Alcuni operai in quelle giornate di tepore improvviso dopo un inverno tetro passavano la pausa pranzo cibandosi sopra uno strapunto a forma di stivale. Questo cresceva a pochi metri dalla sorgente del torrente, dove l’acqua era miracolosamente limpida, colorata di riflessi rosati mutuati dal cielo rosso che solo Taranto ha e il fondofiume granata della bauxite. Era marzo, il sole era già generoso, ci si poteva spogliare e restare in camicia e salopette, mettere gli occhi chiusi contro i raggi lievi e ricevere il miracolo dell’arrossamento di quelle facce gialle di altoforno. La dozzina di operai che mangiavano panini, piluccavano spicchi di arance irradiando nell’aria l’aroma acre di agrumi; ebbero un miraggio collettivo, una visione che avrebbe sbalordito chiunque: una donna vestita da sposa veniva dall’orizzonte fosco delle campagne. Camminava altera con la gonna alzata, le scarpe bianche erano infangate, le calze di nylon da bambola brillavano, le spalle nude ardevano sotto il sole invernale. I capelli chiari erano raccolti in su e acconciati a strati come tanti nidi di pernici, il collo lungo sfiniva in un viso con l’espressione premonitrice. Gli occhi parevano dipinti, nei sistemi solari delle deliziose efelidi attorno alla bocca c’era come il manifestarsi di una divinazione. La sposa regalò una sbirciata maliziosa a gli spalti di maschi appisolati, appena saziati da panini frugali. E poi entrò nel fiume senza neanche togliersi le scarpe, mollando improvvisamente la gonna che si alzò sul pelo dell’acqua come la rete di un peschereccio. E fu la cosa più bella che videro quegli operai, uomini che ogni giorno si bardavano come soldati disperati, i sopravvissuti di una guerra nucleare, i liquidatori di una centrale atomica. La gonna parve aprirsi come un ventaglio. La sposa apparve come un cigno bianco e gli uomini non potettero resistere. Perché? Forse la posa statuaria, il viso impassibile dentro l’acqua, l’abito che si gonfiò e sembrava allargarsi quanto tutto il fiume. Tutto sembrò finire sotto la mongolfiera di tessuto prezioso. Così gli uomini sfidarono il freddo e spogliandosi con concitazione, zampettando su una gamba per togliersi i pantaloni il più in fretta possibile, si gettarono dietro quella sirena, quel mistero di bianco, oro e avvertimenti. La donna smise di andare verso l’acqua alta e attese lo sciame disperato di muscoli bruniti, petti ispidi, braccia ingiallite, occhi stregati.

lunedì 24 novembre 2008

Lunedì 24 novembre - MARIO DESIATI a Caffè Letterario

Lunedì 24 novembre alle ore 21,00 nella sala conferenze dell’Hotel Ala d’Oro, ultimo appuntamento del mese di Caffè Letterario con lo scrittore pugliese Mario Desiati che presenterà il suo ultimo libro “Il paese delle spose infelici” edito da Mondadori. L’incontro sarà introdotto da Marco Sangiorgi e si concluderà come d’abitudine con la consueta degustazione di vini. Il romanzo è ambientato in Puglia anni negli anni ottanta, dove Domenico e Francesco, chiamati da tutti Zazà e Veleno, sono due ragazzini che giocano tra gravine e trulli con una banda di personaggi memorabili insieme a cui cresceranno. I due vengono da famiglie molto diverse: Zazà vive in un quartiere popolare, Veleno è un figlio di papà. Negli anni si imbatteranno in Annalisa, una ragazza dalla vita poco ordinaria e dalla bellezza fuori dal comune. Annalisa frequenta i matti del paese, si veste fuori moda, chiacchiera soltanto con uomini molto anziani e si porta addosso terribili dicerie che gli eventi paiono confermare drammaticamente con il passare del tempo. Eppure il suo fascino unico sembra perseguitare come una maledizione i due amici, cui la vita serba disavventure e svolte clamorose. Mario Desiati è nato a Locorotondo nel 1977 e vive a Roma dove attualmente è consulente editoriale e redattore della rivista letteraria fondata da Alberto Moravia “Nuovi Argomenti”. Come narratore, ha esordito con il romanzo “Neppure quando è notte” seguito da “Vita precaria e amore eterno” edito da Mondadori. Definito dalla critica il più pasoliniano fra i narratori italiani delle ultime generazioni, Mario Desiati raggiunge in questo ultimo lavoro una sua piena dimensione letteraria, attraverso una prova che sembra evocare più la letteratura novecentesca (Brancati, Siciliano, Arbasino) che non allinearsi alla frastagliata galassia del post-moderno.

"E' Re dal pal" - di Giovanni Zaffagnini

Sulla mostra fotografica "The Times They Are A-Changin" di Luca Nostri inaugurata domenica 23 novembre Eccoli schierati gli atleti della Bocciofila Pancrazi di Faenza, in posa per la storia. In posa, perché le fotografie ufficiali non possono legarsi al movimento, devono durare nel tempo e mostrare ai posteri i volti e il contesto senza troppe distrazioni. Liberata dal pesante fardello di documentare le dinamiche di gioco la fotografia può indirizzare la nostra curiosità sui protagonisti e il loro ambiente. Notiamo, a ben guardare, che il primo a sinistra indossa una bandana rossa, l’ultimo è mancino, del terzo non si sa, c’è anche una signora (madrina o atleta?), gli sponsor sturano tubi intasati, vendono mobili e auto, e il Conad chiude il Martedì. Non si possono inumidire le bocce con la saliva e non si fuma. Poi c’è il pubblico, collocato su una tribunetta a tre piani, delimitata da un canapo che taglia le persone a metà. Il signore del n.3 ha lo stecchino in bocca, l’altro in seconda fila si gratta l’orecchio destro, molti indossano una specie di coppola che ricorda la Sicilia dei film. La partita. I "puntisti" (più propensi alla strategia) lanciano da fondo campo, i "bocciatori" da metà campo e sono per le soluzioni drastiche, più rumorosi, basterebbe il suono per intuire l'esito dei loro lanci: secco per l'impatto con la boccia avversaria, sordo per il legno finale (fra le imprecazioni per il tiro mancato). Nel silenzio del pubblico, il bocciatore si concentra e sogna: il colpo da maestro, il colpo secco che scaccia la boccia ostile, e in cuor suo pensa al calciatore goleador che esulta sollevando la divisa: sotto, sulla maglietta (della salute) la scritta: E Re dal pal (*). Attiguo al campo delle bocce si trova quello di calcio riservato agli incontri casalinghi della squadra amatori del Bar Sport. Stessa scelta: non si vedono azioni di gioco ma personaggi e contesto. I calciatori sono tutti immigrati, hanno facce simpatiche, alcuni sembrano veri professionisti: fisicamente ben messi, eleganti, sponsorizzati anche nei calzettoni, telefonino, anello. Se Luca Nostri non fosse un fotografo curioso, potrebbero farla franca, ma è il contesto che li smaschera: non c’è il pullman luccicante, sono arrivati in bicicletta, non c’è spogliatoio, le borse con gli indumenti (e il portafoglio) sono a bordo-campo, (non è mai sparito nulla). L’unico italiano è il Presidente (con sigaro) che è anche il barista del Bar Sport, è sempre presente, al banco lo sostituisce la moglie; a volte brontola ma in fondo è contenta. Per ora l’unico collegamento fra le due realtà è il fotografo; i calciatori non sembrano interessati alle bocce, però non si sa mai.

venerdì 21 novembre 2008

Domenica 23 novembre - LUCA NOSTRI inaugura la sua mostra fotografica "The Times They Are A-Changin'"

Domenica 23 novembre alle ore 18,00 nella Sala Conferenze dell’Hotel Ala d’Oro nuovo appuntamento con la fotografia d’autore con l’inaugurazione della mostra “The Times They Are A-Changin” del fotografo romagnolo Luca Nostri. Al vernissage parteciperà il critico e storico della fotografia Francesco Zanot che ha curato il libro fotografico “Lugo e il mare” di Olivo Barbieri che è stata la prima realizzazione del progetto “Lugoland” curato proprio da Luca Nostri. La mostra rimarrà aperta fino al 12 dicembre. Luca Nostri è nato a Faenza nel 1976. Vive e lavora a Roma. Dopo una laurea in Scienze politiche, dal 2001 ha iniziato a occuparsi di fotografia, lavorando come assistente presso lo studio di Marco Delogu a Roma, dedicandosi alle sue ricerche, collaborando con varie testate italiane e straniere e organizzando per diversi anni il Festival Internazionale della Fotografia di Roma. Attualmente è coinvolto assieme ad altri undici fotografi, fra cui spiccano i nomi di Graciela Iturbide, Guido Guidi, Tim Davis, Marco Delogu, Xavier Ribas e Giovanni Zaffagnini, all’ultimo atto del progetto fotografico di “Lugoland” che dovrebbe vedere la luce nei primi mesi del 2009. Le immagini dell'inaugurazione

La serata con PAOLO LAGAZZI

Una bella serata di poesia quella di ieri sera per Caffè Letterario con il critico letterario Paolo Lagazzi che ha presentato il suo ultimo lavoro dedicato ad Attilio Bertolucci “La casa del poeta” edito quest’anno da Garzanti. Una serata conviviale per pochi intimi (una ventina le persone presenti) ma che grazie al numero contenuto di partecipanti ha permesso a tutti di riunirsi attorno a un tavolo e di parlare e di ascoltare poesia fino a notte inoltrata. Dopo l’introduzione all’opera del critico letterario parmense da parte del curatore di Caffè letterario Marco Sangiorgi e le parole dell’amico e collega Gian Ruggero Manzoni, Paolo Lagazzi ci ha raccontato del suo intenso rapporto di amicizia con Attilio Bertolucci dipanatosi per ventiquattro estati trascorse insieme nella casa del poeta a Casarola, nell’alto Appennino parmense. E in quelle estati Lagazzi ha trovato in Bertolucci un maestro e un amico, ne ha subito il fascino, ha condiviso con lui la quiete e le vibrazioni di quella natura selvaggia. E per noi è stato un modo di avvicinarsi a un autore non così conosciuto e familiare come meriterebbe di essere, tanto da essere oramai considerato dalla critica uno dei giganti della poesia italiana del novecento. A rendere poi ancora più piacevole la serata sono state le intrusioni musicali e “magiche” di Paolo Lagazzi che accompagnandosi con la chitarra ci ha cantato alcuni fra i suoi testi sacri (da De Andrè ai Beatles) della canzone/poesia d’autore e dal suo passato di illusionista ci ha deliziato con i suoi giochi di prestidigitazione. Una passione giovanile per la magia rimasta inalterata negli anni che unita a quella della letteratura ha prodotto fra l’altro uno dei suoi ultimi saggi pubblicato da Moretti e Vitali nel 2006 “Per un ritratto dello scrittore da mago”. Per finire mi piace ricordare una delle poesie di Attilio Bertolucci lette da Lagazzi durante l’incontro di ieri sera, e di cui l’autore di questo saggio parla in questi termini: Una delle poesie più belle, umane e struggenti della raccolta “Viaggio d’inverno”. Arrivò prima il figlio, in quell’ora, lucente dopo il pasto il sole e il vino, eppure silenziosa, tanto che si sentiva il pennello sul muro distendere il celeste. Non guardava fuori, la sua giovinezza e salute gli bastava, attento alla precisione dei bordi turchini entro cui asciugando già l’azzurro scoloriva com’era giusto. Allora venne il padre che recava uno stampo, il verde il rosso e il rosa, e la stanchezza degli anni e il pallore. Doveva su quel cielo preparato con cura far fiorire le rose, ma il verde stemperato per le foglie non gli andava, non era un verde quale ai suoi occhi deboli brillava all’esterno con disperata intensità appressandosi la sera che porta via i colori. Le corolle vermiglie ombrate in rosa fiorirono più tardi la stanza, una qua una là, accordate alle ultime dell’orto, e il buio, fuori e dentro, compì un giorno non inutile che lascia a chi verrà, e dormirà e si sveglierà fra questi muri, la gioia delle rose e del cielo.

venerdì 14 novembre 2008

Mercoledì 19 novembre - PAOLO LAGAZZI a Caffè Letterario - Serata Conviviale

La poesia sarà la protagonista della seconda serata conviviale di Caffè Letterario, mercoledì 19 novembre alle ore 20,30 nel ristorante dell’Hotel Ala d’Oro con il critico letterario Paolo Lagazzi che presenterà il suo ultimo lavoro dedicato ad Attilio Bertolucci “La casa del poeta” edito da Garzanti nel 2008. Lagazzi che è già stato ospite di Caffè Letterario due anni fa è considerato uno dei critici contemporanei più originali ed eclettici. Come lui stesso scrive il critico “può essere via via un affabulatore, un conoscitore di grandi storie, di miti, di leggende e di fiabe; un maestro dell'intuizione fulminante, dell'aforisma, del paradosso e dello humour; un navigatore, un esploratore, un avventuriero, un corsaro; un mago, nel senso ampio d'un praticante le vie diverse e complementari dell'alchimia, della Cabala, dell'astrologia, o anche quella della prestidigitazione.” In questo libro Lagazzi ci parla di uno dei grandi poeti del novecento italiano come Attilio Bertolucci. che è stato per lui, non solo il poeta più amato, ma anche il suo più grande amico e il suo vero maestro. E il fascino della lettura di questo lavoro va individuato nella particolarità del genere letterario, posto tra la biografia e la celebrazione. Per ventiquattro estati, infatti, l’autore si è inerpicato lungo la strada che da Parma conduce a Casarola, dove abitava Attilio Bertolucci. I luoghi, le persone, gli oggetti, i paesaggi, la conversazione stessa sono riportati attraverso il filtro bertolucciano: sembra che l’autore della “Camera da letto” abbia fornito i filtri attraverso cui leggere la realtà. Il testo appare, quindi, come un tributo di riconoscenza e di devozione verso una personalità che ha saputo disseminare di visioni poetiche un luogo appartato, dimostrando che la poesia, la grande poesia, non dipende dalla collocazione geografica, ma dall’intensità dello sguardo umano. Il menù della serata, che sarà introdotta dal curatore di Caffè Letterario Marco Sangiorgi, è il seguente:
Menù Aperitivo con stuzzicheria Lasagnette ai funghi Bocconcini di vitello alle verdure Dessert Caffè. Il costo è di €. 20,00 per persona con le bevande incluse. E’ necessaria la prenotazione (Tel. 0545 22388).

"Restare in sè" di Ivano Nanni

Sull'incontro con Sergio Scapagnini di Mercoledì 12 novembre dedicato al Tibet
Il documentario sul Dalai Lama girato in Tibet ci ha mostrato quanto sia complessa la situazione in quel piccolo regno della fratellanza. Il governo cinese ne ha sconvolto la vita millenaria ferma in un arcaico innamoramento della vita in tutti i suoi aspetti. Il suo capo politico e religioso parla al mondo intero del suo popolo che l'arroganza di un regime sta cancellando un po' alla volta, riducendo quella parte di mondo a provincia del grande impero cinese. I cinesi devono aver male interpretato il concetto di impermanenza applicandolo al Tibet considerato che lo vogliono far scomparire. Forse,malgrado tutto, sono un po' tibetani anche i cinesi anche se il concetto di impermanenza avrebbe bisogno di ulteriori approfondimenti per essere ben capito. Di sicuro i tibetani non sono cinesi, non vogliono diventare cinesi, e ci tengono a dirlo in ogni occasione. Ma ribadire questo concetto non basta per smuovere le acque stagnanti di una situazione d'emergenza che in fondo passa in sordina. È vero; la guida spirituale del Tibet incassa consensi in tutto il mondo, ma è altrettanto vero che nessuno fa pressioni sul governo cinese per risolvere la complicata questione. E nessuno si muove per due motivi. Il primo è che la volontà dei cinesi non è comprimibile da nessuno. In questo momento di crescita esponenziale dell'economia cinese tutti si giocano la carta del mercato globale con il governo, e in questo caso non è nemmeno un' eresia trattare con i vecchi arnesi comunisti,ragione per cui sono intoccabili. Nemmeno gli Stati Uniti possono andare al di là dei rimbrotti di circostanza dal momento che il loro debito pubblico è ben custodito nelle casse degli ex maoisti. La priorità commerciale con i cinesi mette la sordina a tutto il resto. Dissensi interni ed esterni passano in secondo piano. L'altro motivo è che i diritti civili sono considerati dalla comunità internazionale una questione interna. Il che significa che finché resterà questo governo la pratica diritti civili rimarrà un macigno inamovibile. Per dirla in un altro modo: quando gli operai schiavizzati si organizzeranno per mettere sul piatto della bilancia la loro dignità contro la crescita del paese in cambio di un salario equo allora i primi embrioni di democrazia saranno stati piantati e forse in capo a dieci anni qualche vecchio paravento finirà nel Fiume giallo e qualche figlio di internet prenderà le misure per un nuovo sviluppo. Al momento, però, questo governo non sembra avere data di scadenza e va avanti perseguendo piani ambiziosi con la stessa logica di un formicaio famelico. “ Tutta la vita è un ponte, non costruirci sopra qualcosa “– Forse davvero la vita andrebbe vissuta così come suggerisce questa massima buddista stupenda e piena di buon senso. Ma per noi che non siamo buddisti che valore può avere? Se potessimo lottizzeremmo anche il cratere di un vulcano per costruirci delle terme sulfuree a pagamento, figuriamoci il ponte della vita. Dal momento che è un passaggio ci faremmo pagare pure il pedaggio alla faccia di tutti quelli che transitano per l'altro mondo. Non nego che la compassione, la tolleranza, e la pace siano temi forti, sono i più forti del mondo intero. Sono le punte estreme della nostra umanità, i picchi sui quali ergersi mette i brividi, le cime dove la contemplazione annienta ogni egoismo e persuade ognuno a non temere la generosità e la vacuità del proprio essere. Sarebbe bello essere dei buoni scalatori, e raggiungere quelle vette, se non altro per amore del bel paesaggio dall'aria rarefatta, e in quella rarefazione sentire il pensiero diventare più sottile e l'esistenza un desiderio sostenibile. Sarebbe bello. Considero il nostro mondo, che non è quello del popolo tibetano, il cui credo è certamente ispirato dalle grandi altezze, dalla vita agreste, e da un risoluto isolamento, un mondo molto differente, sofferente e complicato; affermo che ogni sentimento di tolleranza è continuamente minacciato di estinzione da un'arroganza sempre più spinta e volgare, e che la compassione è un sentimento che solo pochi eletti coltivano passando per deboli, e la pace è sempre ribadita ma mai praticata e che sovente viene respinta come inettitudine da punire. La nostra religione è nata in luoghi aridi dove di continuo ardevano i fuochi di mille battaglie. Noi occidentali, cristiani, non siamo stati ispirati dall'altezza ma dal suo contrario e la nostra religione non enuncia solo la pace ma annuncia anche la guerra e la persegue con mezzi benedetti da Dio. Il nostro salvatore è morto in croce dopo un'agonia terribile e un calvario di cui conosciamo tutti i dettagli. Dalle sue piaghe una gran gioia non si è diffusa nel mondo. Forse per questo siamo così grati al buddismo per i suggerimenti di buon senso e di felicità che ci invia e ne meditiamo il senso, seppure nei ritagli di tempo. Confesso che ho un sogno. Quando una mattina mi sveglierò e il mio primo pensiero sarà quello di prendermi cura delle mie piante come se fossero una parte di me allora di certo avrò fatto un passo avanti nella comprensione del pensiero buddista, e forse anche della mia religione, che non pratico. Ma per il momento questa comprensione mi è lontana.

giovedì 13 novembre 2008

La serata con SERGIO SCAPAGNINI

Un'altra bella serata per Caffè Letterario quella di ieri sera nella’aula magna del Liceo Classico di Lugo. Un serata particolare dedicata al cinema d’autore con la presentazione del film-documentario “Impermanence” del regista indiano Gotham Ghouse che vede come protagonista Tenzin Gyatso, più facilmente conosciuto come il quattordicesimo Dalai Lama del Tibet. Ospiti della serata il produttore del film Sergio Scapagnini e il presidente della comunità tibetana in Italia Thupten Tenzin. A fare gli onori di casa l’Assessore alla Cultura del Comune di Lugo Giovanni Barberini che ha introdotto lo spinoso tema della indipendenza del Tibet tornato più volte alla ribalta dei media in questo anno delle Olimpiadi cinesi. Come ha raccontato Scapagnini il film trae origine dalle riprese che Goutam Ghose ha potuto effettuare nel corso di una lunga spedizione indocinese in Tibet godendo di speciali permessi grazie ai quali le cineprese sono entrate in luoghi mai prima visitati da "stranieri" e meno che mai ripresi cinematograficamente. Il film rievoca il viaggio di Tenzin Gyatso che perse la libertà a quindici anni e il suo paese a ventiquattro e che in tutti questi anni ha vissuto la vita del profugo. E proprio nel luogo del suo esilio, a Dharamsala, la piccola Lhasa, cittadina del nord dell’India sede del govero tibetano in esilio, il Dalai Lama ha personalmente aggiunto al film il suo contributo esponendo il suo pensiero sui difficili rapporti con la Cina e più in generale sulla sua visione della condizione umana in un mondo sempre più globalizzato. Toccante anche la testimonianza del presidente della comunità tibetana in Italia, Thupten Tenzin che ha parlato dello stato attuale delle cose in Tibet stigmatizzando il genocidio culturale in atto praticato attraverso l’emarginazione sociale e politica dei nativi e la sistematica distruzione del patrimonio artistico e culturale tibetano da parte degli occupanti cinesi. Per contro non c’è mai stata una vera e propria reazione violenta all’occupazione. “Il Dalai Lama ci ha guidato per sessant’anni in una lotta non violenta e ha dedicato tutto il suo sforzo nell’esilio forzato all’educazione alla pace; noi tibetani non abbiamo mai imbracciato le armi, ma in questo momento abbiamo bisogno di tutto l’appoggio del mondo libero per imporre alla Cina un vero negoziato in cui si tratti seriamente della autonomia tibetana.” A conclusione della serata poi Thupten Tenzin ha donato la tradizionale “kate”, la sciarpa bianca di buon auspicio, all’Assessore Barberini come volere ricordare a tutti di non dimenticarsi del Tibet.