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Sala conferenze - Hotel Ala d'Oro

Via Matteotti, 56 - 48022 Lugo di Romagna - (Ravenna) - Italia
Per Informazioni : 0545 22388 - claudio@aladoro.it
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giovedì 31 marzo 2011

"Il piccolo principe" visto da "Entelechia"

Segnaliamo a tutti gli amici di Caffè Letterario, lo spettacolo teatrale prodotto dall"Associazione Culturale Entelechia, (con cui Caffè Letterario collabora da ormai un anno nella realizazzione di letture collettive dei grandi classici della letteratura italiana) che si terrà venerdì 1 aprile, con inizio alle ore 21,00, nella Sala del Carmine in via Rustici,1 a Massa Lombarda, liberamente tratto da "Il piccolo principe" di A. de Saint-Exupéry.

Venerdì 1 aprile 2011, ore 21.00
Sala del Carmine - Via Rustici n. 1 - Massa Lombarda
L' Associazione Culturale Entelechia
presenta
IL PICCOLO PRINCIPE
Adattamento teatrale del testo di A. de Saint-Exupéry

Scenografia e regia
Giovanni Luigi Caravita

Interpreti:
Il piccolo principe: Marina Zavanella
il pilota e ...tanti altri: Gabriele Bersanetti

musiche: Carlo Alberto Senatore

La serata conviviale con GIANNI GOLFERA

Serata da ricordare… e grande successo di pubblico ieri sera a Caffè Letterario con il mnemonista lughese Gianni Golfera che ha presentato il suo volume “Il grande libro della memoria” edito da Sperling & Kupfer”. Una serata spettacolo in cui Golfera ha mostrato le sue incredibili capacità mnemoniche attraverso svariati esperimenti che si sono succeduti fra un piatto e l’altro di questa splendida serata conviviale. Al tavolo con Gianni Golfera era presente anche il fumettista e illustratore Stefano Babini che ha collaborato con Golfera nella realizzazione del libro. Ecco le immagini della serata.

martedì 29 marzo 2011

Mercoledì 30 marzo - GIANNI GOLFERA a Caffè Letterario

Mercoledì 30 marzo, alle ore 20,30 nel ristorante dell'Hotel Ala d'Oro di Lugo, l'ultimo appuntamento del mese di Caffè Letterario sarà una serata conviviale con il mnemonista Gianni Golfera che presenterà il suo volume "Il grande libro della memoria" edito da Sperling & Kupfer. Ad affiancare Golfera nella presentazione del suo libro ci sarà anche Stefano Babini, l'illustratore e fumettista lughese che ha collaborato alla realizazzione di questo manuale della memoria con i suoi disegni. Nell'era di Google, degli smartphone e dei computer serve ancora avere una buona memoria? Ebbene sì, rivela questo libro, perché allenarla è uno dei pochi metodi conosciuti dalla scienza per aumentare a tutte le età la capacità di ragionamento, e quindi l'intelligenza. Gianni Golfera, famosissimo mnemonista diventato oggetto di studio alla NASA per le sue eccezionali facoltà, svela, tecniche, segreti, trucchi per potenziare l'abilità di ricordare, di elaborare l'infinito numero di notizie che riceviamo, di migliorare le doti di problem solving. Gianni Golfera, nato a Lugo 33 anni fa, ha una memoria fenomenale. Talmente fenomenale che quand'era poco più che adolescente ha imparato dalla prima all'ultima parola 261 libri di filosofia rinascimentale. E' capace di ripetere in ordine o alla rovescia fino a 10.000 cifre. Gli scienziati che lo hanno studiato, dalla NASA al San Raffaele di Milano non hanno riscontrato alcunchè di particolare nella conformazione del suo cervello, nè qualcosa di speciale a livello genetico. Una buona memoria quindi è solo il frutto di metodo e di esercizio; questo è quello che Gianni Golfera ha intenzione di dimostrare in questa serata delle... ricordanze...

Questo il menù della serata: Buffet aperitivo, Paella alla valenciana, Crema catalana, Caffè

€. 20,00 per persona (bevande incluse) Prenotazione obbligatoria al 0545 22388

domenica 27 marzo 2011

La serata con ERALDO AFFINATI

Video-riassunto in 13 min. della serata su Youtube all'indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=ruX2MVdLA5g
Ancora una serata di grande spessore per Caffè Letterario venerdì scorso con lo scrittore romano Eraldo Affinati che ha presentato il suo ultimo lavoro “Peregrin d’amore. Sotto il cielo degli scrittori d’Italia” edito da Mondadori nel 2009. Come ha sottolineato Marco Sangiorgi nella sua introduzione il libro di Affinati non può essere assegnato a un genere preciso; può essere romanzo, racconto d’avventura, reportage di viaggio, antologia. Eraldo Affinati affronta quaranta grandi scrittori della letteratura italiana in modo del tutto innovativo parlando, sì di letteratura, ma parlando anche e soprattutto di oggi e dell’Italia. Lo scrittore romano infatti ripercorre i grandi classici italiani, raccontando i suoi viaggi alla ricerca dei luoghi in cui gli autori sono stati e vissuti, i luoghi in cui ancora le opere vivono come emozioni. Attraverso le pagine di Affinati la letteratura italiana, il nostro immenso patrimonio culturale riprende vita e si attualizza, esce dai confini nei quali è circoscritto, relegato, accessibile a pochi, ignorato da molti, e fiorisce ancora, ancora una volta vive, insegna, perché «la letteratura può essere una luce davanti a noi». “Questo libro è sicuramente difficile da incasellare. – ha detto Affinati – E’ un po’ un reportage dell’Italia di oggi, ed è un po’ una critica letteraria dei grandi testi che ci hanno formato dal medioevo al novecento. E’ un libro che mi ha dato una grande emozione, che mi ha coinvolto per anni. Ognuno di questi autori per me è stato un incontro formidabile e ho cercato di trasmettere questa emozione ai miei lettori tentando così di riavvicinarli alla lettura e alla frequentazione della grande letteratura italiana. Ma la stazione finale di tutti questi viaggi è la scrittura; se non ci fosse stata la scrittura questi viaggi non avrebbero avuto alcun senso. La scrittura è necessaria per dar senso all’espeirenza; l’esperienza da sola, senza scrittura, sarebbe vuota, cieca e sorda. E d’altra parte la scrittura senza esperienza sarebbe sterile, sarebbe come un gioco di prestigio, un talento fine a se stesso.

giovedì 24 marzo 2011

Venerdì 25 marzo - ERALDO AFFINATI a Caffè Letterario

Venerdì 25 marzo, alle ore 21,00 nella Sala Conferenze dell'Hotel Ala d'Oro di Lugo, penultimo appuntamento del mese per Caffè Letterario con lo scrittore romano Eraldo Affinati che presenterà il suo ultimo libro, pubblicato da Mondadori lo scorso anno "Peregrin d'amore". Il curatore di Caffè Letterario Marco Sangiorgi introdurrà la serata che come di consuetudine si concluderà con l'abitudinale brindisi con i vini in degustazione. Un graditissimo ritorno, quello di Eraldo Affinati a Lugo, dove ormai più di due anni fa aveva presentato il suo romanzo "La città dei ragazzi". In questo libro dedicato alla nostra letteratura Affinati si chiede - cosa significa essere italiani?- E lo chiede a Dante e Petrarca, Boccaccio e Leopardi, Campana e Fenoglio; ma, partito da Castel del Monte, non si limita a interrogare le loro pagine. Pellegrino nei luoghi della nostra letteratura, trasformati e resi quasi irriconoscibili dalla modernità, gli accadono le avventure più incredibili: spiega San Francesco a una giovane prostituta nigeriana, Marco Polo agli adolescenti afghani della Città dei Ragazzi, crede di riconoscere Laura fra i ciclisti che scalano il Monte Ventoso e uno dei giganti di Giambattista Vico nei bassi napoletani. Eraldo Affinati diventa Renzo in fuga nei boschi lombardi. In Sicilia scopre che Ranocchio, il famoso personaggio di Giovanni Verga, si chiama Jonut. Nelle contrade romagnole ripercorre il cammino della cavallina storna. Insegue Gozzano fino in India. Ritrova il fantasma di Cesare Pavese nel deserto di Yuma e quello di Bassani in Israele. Sosta pensieroso davanti alla casa di Primo Levi. Sprofonda nella trincea che fu di Ungaretti. Va in Albania sulle tracce di Mario Rigoni Stern. Incontra per strada Accattone di Pasolini. Finché, raggiunta la tomba di Mazzini a Genova e quella di Garibaldi a Caprera, lascia intendere che senza i nostri grandi autori, troppe volte dimenticati, ma altrettanto spesso ancora ben vivi, dichiararsi italiani non avrebbe senso. Eraldo Affinati è nato a Roma nel 1956 dove vive e lavora. Insegna italiano ai minorenni non accompagnati della Città dei Ragazzi. Collabora al “Corriere della Sera” e a "Famiglia Cristiana". La sua scrittura nasce spesso da un viaggio.

mercoledì 23 marzo 2011

Ippolito Nievo raccontato da PAOLO RUFFILLI

Video-riassunto in 13 min. della serata su youtube all'indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=ToH1RKG5g9E Un’altra bella serata risorgimentale quella di lunedì 21 marzo con lo scrittore e poeta Paolo Ruffilli che sul palco di Caffè Letterario ha presentato il suo ultimo romanzo edito da Fazi, “L’isola e il sogno”. Una serata che ci ha fatto riscoprire la figura di Ippolito Nievo, sia come grande romanziere del nostro ottocento, sia come straordinario personaggio dell’epopea garibaldina. Quella di Nievo fu una vita breve: le parole di Paolo Ruffilli hanno rievocato le sue passioni romantiche, la vitalità e gli slanci patriottici, amicizie e amori, esperienze letterarie e avventure politiche, nonché la morte tragica, proponendoci un inedito ritratto a tutto tondo di un protagonista dell'Ottocento che appare uomo e scrittore di straordinaria modernità. “Ippolito Nievo è una personalità straordinaria sotto tutti i punti di vista – ha detto Ruffilli - e la prima caratteristica di questa straordinaria personalità è che Nievo è un genio precoce. E come in tutti i geni precoci , ha semplicemente un cervello che è fuori dal normale, uno di quei cervelli che assorbono tutto quello che li attraversa; da qui una capacità mnemonica che gli permetteva per esempio di citare qualsiasi brano della Divina Commedia di Dante a memoria. Un’opera voluminosa come “Le confessioni di un italiano” viene praticamente pensata e organizzata da Nievo a memoria; se noi guardiamo il manoscritto del libro, che è conservato a Mantova, noi scopriamo che è come la stampata di un computer, non ci sono praticamente correzioni.” “Ma non solo Nievo era un grande scrittore, che quasi tutti ignorano e non conoscono – ha proseguito Ruffilli – ma era anche un sorprendente uomo di numeri; è anche, infatti, un grandissimo ragioniere e contabile e per questo Garibaldi lo sceglie come amministratore del governo dittatoriale in Sicilia; Garibaldi era sicuro che affidandosi a Nievo l’amministrazione dello Stato sarebbe stata, non solo la migliore immaginabile possibile, ma assolutamente onesta e trasparente.” Dopo le numerose domande da parte del pubblico, conclusione di serata con il consueto brindisi finale. Ecco le immagini della serata.

martedì 22 marzo 2011

"Italia e Italiani, un dialogo interrotto" di IVANO NANNI

L'Italia è un paese fragile cui il destino ha corrisposto una peculiarità che richiede adattamento, calma, e studio della mitologia. In tempi antichi gli Dei stabilirono che in una piccola penisola al centro di un piccolo mare sorgesse una città il cui compito sarebbe stato quello di gettare le fondamenta di civiltà future. Nel corso dei secoli questa città mantenne le promesse e coronò di gloria immensa il sogno di divinità benevole. Un grande destino per l'Italia che si trovò al centro del mondo con giusti guadagni e responsabilità immense. Ma la fortuna non finì qui, anzi proseguì su una linea ancora più fulgida. Le Muse che sono divinità che presiedono alle arti e ne trasmettono i segreti solo ai meritevoli fecero dell'Italia la più grande nicchia artistica del mondo. Fecero nascere, in questo bel paese, tanti artisti come non se ne sono mai visti in nessun altro posto e la produzione delle opere fu di tale imponenza che ancora adesso non sappiamo quante opere d'arte abbiamo nei nostri musei; e in cambio, le Muse, non pretendevano molto, solo riconoscenza e cura per tanta munificenza. Abbiamo una lunga frequentazione con la bellezza ma ne sembriamo imbarazzati, e ci siamo organizzati benissimo per ingannarci, abbiamo perso la calma necessaria per essere i custodi della nostra ricchezza, ci siamo adattati sempre di più al peggio, ci siamo seduti sulla nostra pigrizia, siamo stati e siamo immemori e superficiali, e cosa imperdonabile, abbiamo tradito le Muse, l'Italia sta diventando sempre più povera, la disgrazia incombe, gli dei ci hanno voltato le spalle ... Ennius Flaianus, poeta, epigrammista latino del XX secolo, e psicologo finissimo del popolo italiano ci regala questo commento: <<...ora sarebbe interessante scrivere del periodo che va dalla proclamazione di quest'unità ai nostri giorni; e studiarlo come un'occupazione dell'Italia non più da parte dei Goti, dei Galli, dei Longobardi, dei Normanni, degli Svevi, dei Francesi, degli Spagnoli, e degli Austriaci, eccetera; ma soltanto da parte degli Italiani. Considerare dunque gli Italiani come un popolo che ha occupato la Penisola e la sta semplicemente dominando. Su questi italiani ( che gli indigeni, ormai finiti nelle loro riserve, considerano accettabili e persino simpatici se presi uno per uno, ma detestabili se considerati anche in modeste quantità politiche ),i giudizi sono severi: l'unione li ha resi ignoranti e avidi, portati al disprezzo dei loro monumenti, tendenti alla burocrazia più sfrenata e alla confusa interpretazione delle leggi, attaccati al loro più abbietto “ particulare “, vivaci nell'odio del prossimo e per di più eternamente irresponsabili. Sicché l'eventuale Principe non dovrebbe rompersi la testa per governarli, ma soltanto trasformare le loro tendenze in una energia che li tenga divisi nell'unione, paradosso che non sarebbe accettabile se già non sapessimo che gli italiani amano soltanto i paradossi e fondano, per dirne una, tutta la loro politica interna sulle “ divergenze parallele “ lasciando che la politica estera sia basata sulle “ parallele convergenti “. Una volta il colpo è riuscito: nel Principe ( o duce ), che riassumeva ed esemplava tutti i loro difetti, ed emergeva nella improvvisazione e nella stupidità, due doti nazionali, gli Italiani si riconobbero e applaudirono. Non se ne sarebbero mai liberati senza una guerra che percorse come un rastrello l'Italia da capo a piedi. ( Guerra, si badi bene, non voluta dagli Italiani, ma soltanto dal loro incauto Principe ). Poi le cose cambiarono e ora c'è un intoppo: la dominazione italiana continua, ma confusa. Le tribù originarie si sono inestricabilmente mischiate. Ab ovo, queste tribù, o sette, o clan, si distinguevano per un preciso carattere negativo ed erano di grande utilità al Principe per le sue mene. Diciamo, per esempio, che una tribù era interamente composta di ladri, una seconda di costruttori, una terza di distruttori, una quarta di legulei, e via dicendo: protestatari, spie, preti, ricchi sfondati, strozzini, mafiosi, camorristi, storici e filosofi del regime: e non dimentichiamoci i ditirambici. Ora queste tribù, sette, clan, si dominano da loro stesse, in una continua contraddizione che annulla ogni possibile autorità e anche la più modesta armonia. Da questa insulsa dominazione sono venuti agli indigeni tutti i mali che li affliggono: la devastazione “ costruttiva del paese “, la corsa sfrenata verso quelli che essi ritengono i piaceri della vita: sterminio della natura, furto di beni dello Stato, costruzione intensiva di orribili abitazioni che essi chiamano ville, frantumazione di idee, libertà intesa come prigionia del proprio vicino, amore forsennato per lo sport fatto dagli altri, frodi alimentari, disboscamento, suoni e luci, rumori molesti, distruzione di parchi per far fronte alle automobili; che sono i soli feticci tenuti da conto. La dominazione italiana in Italia ha naturalmente portato anche dei benifici: l'abolizione dei confini tra stati e staterelli, la costruzione di una imponente rete stradale, l'aumento del reddito, l'aumento del contrabbando, la distruzione della scuola e la persecuzione dei cristiani >>. ( da La Solitudine del Satiro, “ Corriere della Sera “, 25-10-1970 ). Nello stesso periodo Mario Soldati compie tre viaggi, 1968-70-75, con l'intento di scoprire l'eccellenza vinicola tutta italiana, e con una prosa robusta, come la definisce Croce, riesce a comunicare l'eccezionalità di questa terra e dei suoi abitanti, che così descrive in un inciso dell'introduzione di Domenico Scarpa: << se volete trovarvi bene in Italia - spiego ad amici stranieri - dovete scoprirla per conto vostro, affidandovi alla fortuna e al vostro istinto, perché una grande legge dell'Italia è proprio questa: che, da noi, tutto ciò che ha un titolo, un nome, una pubblicità, vale in ogni caso molto meno di tutto ciò che è ignoto, nascosto, individuale.[...] Lo so che in Inghilterra alcuni ottimi whisky sono proprio quelli delle marche più note. E così in Francia certi Bordeaux e Bourgogne, ma in Francia e in Inghilterra da secoli e non soltanto per i vini e i liquori, esiste un ponte tra società e individuo, una civiltà organizzata, una gerarchia del costume. La nostra civiltà non è inferiore, ma diversa. È una civiltà anarchica, scontrosa, ribelle. Da noi, l'uomo di valore, come il vino prelibato, schiva ogni pubblicità: vuole essere scoperto e conosciuto in solitudine, o nella religiosa compagnia di pochi amici >>. Leggendo questo straordinario libro di viaggio, romanzo enologico, saggio antropologico, bibbia laica del buon bevitore e buongustaio, ci appaiono due cose in tutta la loro fulgida concretezza: la prima è l'ottimismo critico e inesauribilmente curioso di Soldati, la sua risata franca, e la genialità con cui entra immediatamente in contatto gli individui, che lo porta a bussare a tutte le porte per incontrare il vino e la gente che lo produce creando una linea ideale che unisce ed eleva un popolo all'insegna di un'eccellenza, e la seconda è che siamo in un certo senso( diverso da tutti gli altri) migliori di quello che riteniamo, solo se presi individualmente, e in “ Vino al Vino “, lo scrittore Soldati, lo dimostra in maniera abbagliante, con semplicità, genuinità e con umile senso pedagogico. In questo paese dove il paradosso è una costante, si nota che : il 17 marzo 1861 fu proclamata l'Unità d'Italia, e sempre in quella data 17 marzo ma dell'anno 1981, a Castiglion Fibocchi presso Villa Wanda, dimora di un venerabile uomo di loggia, si rinvenne una lista con i nomi di 962 signori titolati di tutto punto, i quali avevano uno scopo comune, come dimostrò una Commissione parlamentare presieduta da una chiarissima Tina Anselmi, quello di distruggere le istituzioni democratiche che avevano preso avvio da quell'unità d'Italia, in quel giorno solenne. Coincidenze, paradossi. Ma bando alle piccole afflizioni, rincuoriamoci con una poesia del nostro epigrammista sommo, da "La valigia delle Indie “ : 17 marzo. Ho buona memoria, un bieco talento un talento che ingabbia la memoria, quel che ricordo è senza asprezza: quadri di un'impassibile dolcezza, volti che non chiedono più un nome e la fretta di continuare, l'ebrezza. Si resta sempre inferiori all'età, sempre delusi di ricomnciare. La mia pigrizia è solo calda attesa la mia attesa solo vuoto che pesa, un uomo si dibatte dentro di me
cerca un varco che sarà la resa. di Ivano Nanni

"Italieschi, Italioti o Italiani?" di MARCELLO SAVINI

Sulla tormentata, inquieta e inquietante adesione degli italiani ai festeggiamenti per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia, invio qualche mia riflessione di cittadino avanti negli anni, fiero(?) di essere italiano e desolatamente triste per la ancora massiccia presenza di italieschi, cinici, furbi, tifosi dei potenti, allegramente nuotanti nell'ignoranza, miopi cultori della piccola patria paesana. Con appendice di italioti affetti dal morbo del revisionismo più becero e di italieni vaganti nel vuoto di idee. Sia chiaro: l'entusiamo acritico per il Risorgimento è risibile, perché non mancarono miserabili machiavellismi, calcoli meschini, atti di sopraffazione, mosse interessate di paesi stranieri, ma su tutto prevalse la passione ideale e generosa di tantissimi giovani che aspiravano a non essere più sudditi, e a diventare cittadini di uno Stato moderno e liberale (le cose poi andarono diversamente e ancora oggi traballano). E vi furono guide carismatiche, come Giuseppe Garibaldi, che accesero il cuore e la mente di un popolo disperso che non aveva nome, se non nella dimensione letteraria e artistica. La Repubblica Romana del 1849, che ebbe due ministri lughesi (Giacomo Manzoni e Silvestro Gherardi) fu, con l'impresa dei Mille, l'evento col più alto tasso di democrazia di tutto il Risorgimento. Da mesi si pubblicano libri di storici e di giornalisti che analizzano il nostro Risorgimento sotto tutti i profili e ad essi rimando. Qui mi preme sottolineare alcuni fattori che hanno reso alquanto debole il sentimento di italianità. Il regime fascista, che per vent'anni suonò la grancassa della nazione, della patria, della bandiera tricolore, in realtà fu ladro non solo di libertà, ma anche dei simboli della libertà: si appropriò del fascio, che era stato il simbolo di coesione e unità dei giacobini, si appropriò della storia dell'antica Roma illudendosi di rinnovellarla con fasti di cartapesta e con funeste avventure belliche, si appropriò di Balilla, l'ardito ragazzino genovese, per farne il prototipo del giovane italiano pronto a credere, obbedire e combattere, operò un mostruoso coniugio fra il mazziniano "pensiero e azione" e il mussoliniano "libro e moschetto". Insomma il fascismo fu ladro di patriottismo. Questo sentimento, nella sua alta e genuina espressione, si manifestò nella Resistenza antifascista, autentico Secondo Risorgimento, ma poi si snervò, s'infiacchì. E' sintomatico che nel 1967, quando in molti luoghi d'Italia dove il Partito Comunista Italiano organizzò celebrazioni per il 50° anniversario della rivoluzione bolscevica, fu intonato il canto dell'Internazionale più entusiasticamente dell'Inno di Mameli. Erano i tempi ancora del mito sovietico, che via via è andato scemando e oggi finalmente anche la sinistra postcomunista ha riannodato i fili col Risorgimento (a mio parere, la denominazione delle brigate garibaldine del '43-'45 e il simbolo del Fronte Popolare con la faccia di Garibaldi nelle elezioni politiche del 1948 obbedivano a comprensibili ragioni contingenti di natura eminentemente politica ). In sostanza, la cultura marxista, internazionalista e duramente avversa al fascismo, mise la sordina al sentimento nazionale. Sul fronte opposto, la Chiesa se ne stava soddisfatta dei Patti Lateranensi del '29 e il virus del clericalismo smorzava ogni vampa di italianità anche in ampi settori della DC. I liberali, i repubblicani e i socialisti avevano globuli tricolori, ma erano vasi di coccio. Infine il MSI emetteva stanchi rantoli patriottardi. L'Italia civile, l'idea di progresso che va da Beccaria e Compagnoni a Gobetti e Carlo Rosselli e Galante Garrone, continuava a restare nel limbo. Ne uscirà mai? E oggi? E' sperabile che, grazie anche all'azione propulsiva di due grandi presidenti della Repubblica Italiana, Azelio Ciampi e Giorgio Napolitano (un ex-azionista e un ex-comunista migliorista) lo spirito di italianità si allarghi, non resti confinato negli stadi di calcio, quando gioca la Nazionale. Per parte mia, mi auguro che esso non venga oscurato dai raggi neri del sole delle Alpi né dalle corna, dai cucù, dalle insipide facezie, dai baciamano rivoltanti, dalle tariffe di Hardcore, insomma da una visione dell'Italia come uno sfavillante bordello, né dai velenosi e velleitari saggi di settori nostalgici dell'era costantiniana e dell'antico regime. di Marcello Savini

sabato 19 marzo 2011

Lunedì 21 marzo - PAOLO RUFFILLI a Caffè Letterario

Lunedì 21 marzo alle ore 21,00 nella sala conferenze dell'Hotel Ala d'Oro, nuovo incontro che Caffè Letterario dedica al 150° anniversario della nostra unità nazionale, con lo scrittore e poeta Paolo Ruffilli che presenterà il suo ultimo romanzo da poco uscito in libreria "L'isola e il sogno" per i tipi di Fazi Editore. A introdurre questa serata dedicata alla straordinaria figura di un grande scrittore e patriota come Ippolito Nievo, sarà la curatrice di Caffè Letterario Patrizia Randi. Al termine come di consueto, brindisi per tutti con i vini in degustazione. Il poeta e scrittore Paolo Ruffilli ci regala un libro davvero intenso per celebrare questi 150 anni d’Unità d’Italia. Si tratta de “L’isola e il sogno” pubblicato dalla casa editrice Fazi, un’opera che cerca di ripercorrere la vita del grande scrittore e patriota Ippolito Nievo. Attraverso queste pagine il lettore viene accompagnato nell’Italia risorgimentale alla scoperta di cosa significhi essere patrioti ma anche alla scoperta di cosa significhi essere giovani scrittori alle prese con i primi amori, con gli ideali e con la letteratura ovviamente. Il romanzo ci offre un Ippolito Nievo capace di innamorarsi in un battito di ciglia. S’infatua di Matilde Ferrari per poi lasciarsi andare ad un legame tormentoso con Bince Melzi d’Eril. Sarà alla fine però la bella Palmira a rubare del tutto il suo cuore e a fargli scoprire che il piacere dei sensi e l’amore non sono necessariamente separati l’uno dall’altro. Alle sue pene d’amore si alternano le vicende di un’Italia in fiamme. Le spedizioni nelle due Sicilie, i Mille, Cavour, Garibaldi e molti altri personaggi del risorgimento italiano si alternano in queste pagine sino a condurci lentamente verso la proclamazione dell’Unità d’Italia. Paolo Ruffilli ci offre una biografia densa di dettagli e di informazioni ma anche di sentimento. Con un linguaggio davvero sorprendente e ricercato questo grande scrittore contemporaneo ci regala la bellezza della vita patriottica e romantica di un grande scrittore dell’ottocento sino alla sua tragica morte avvenuta proprio nel 1861, nell’anno cioè della dichiarazione dell’unità d’Italia.

venerdì 18 marzo 2011

La serata con ANNA FOLLI dedicata alla Deledda

Video-riassunto in 12 min. della serata su youtube all'indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=YQ1duVgqAuo Ecco le immagini della serata di mercoledì 16 marzo in cui Anna Folli, docente di Letteratura Moderna e Contemporanea all'Università di Ferrara, ha presentato il volume da lei curato, "Amore lontano" edito da Feltrinelli. Volume in cui è raccolta la corrispondenza tra la grande scrittrice sarda Grazia Deledda (unico premio nobel femminile della letteratura italiana) e il giornalista Stanis Manca. Il libro ha al centro 41 lettere della Deledda a Manca, provenienti in parte dal fondo autografi della Biblioteca Universitaria di Cagliari e in parte dagli autografi del Fondo Stanis Manca. Lettere in gran parte edite, ma che la Folli ordina nella loro sequenza cronologica, integrando i due gruppi e intervenendo anche a restituirci l'originale là dove il fratello di Stanis, Antonio, aveva fatto più d'una correzione, pubblicandole nel 1936, alla morte di Grazia, a venti anni dalla morte di Stanis. «Sono un'umile fanciulla di diciottanni molto ignorantella, molto, si assicuri, e se riesco a fare qualcosa è per amore della nostra cara e povera Sardegna, unico, primo, ultimo ideale della mia mente e del mio cuore». (Grazia Deledda, 8 maggio 1891)

giovedì 17 marzo 2011

Sabato 19 marzo - CINEMA, CINEMA, CINEMA... Le letture al buio di "Caffè Letterario"

Sabato 19 marzo, alle ore 20,30 nel Ristorante dell'Hotel Ala d'Oro di Lugo, nuovo appuntamento conviviale con le "Letture al buio". Protagonista della serata... il grande cinema di tutti i tempi! Leggere è un piacere, e leggere insieme a tavola è un piacere doppio. All'insegna di questa consapevolezza, proseguono nel ristorante dell'Hotel Ala d' Oro le letture al buio, divertenti occasioni conviviali in cui i partecipanti saranno invitati a leggere, in coppia con un lettore sorteggiato fra i presenti, un brano tratto dalla sceneggiatura di un film più o meno famoso. Il gioco starà nel capire di quale film si tratti e nel rivedere poi il brano originale sullo schermo della sala. I premi saranno ovviamente libri. Novità anche per quanto riguarda l'aspetto gastronomico: La cena infatti sarà a buffet, con un'ampia scelta di piatti, così da accontentare tutti, vegetariani e non...
Questo il menù a Buffet:

Zuppa di farro Penne ai broccoli e pancetta croccante Fusilli al tonno con pomodorini e olive Tagliere di salumi, formaggi e piadina Piccatine alla pizzaiola Friarielli con la salsiccia Insalata di seppia e cannellini Bocconcini di mozzarella dorati I dessert Caffè

€. 20,00 per persona (bevande incluse) Prenotazioni al 0545 22388

lunedì 14 marzo 2011

Mercoledì 16 marzo - ANNA FOLLI a Caffè Letterario

Mercoledì 16 marzo alle ore 21,00 nella Sala Conferenze dell'Hotel Ala d'Oro, importante serata dedicata alla grande letteratura italiana del primo novecento con il libro "Amore lontano" di Grazia Deledda edito da Feltrinelli. . A presentare il libro, di cui è la curatrice, sarà Anna Folli, professoressa di Letteratura moderna e contemporanea all'Università di Ferrara. A introdurre la serata, che terminerà con il consueto brindisi con i vini in degustazione, sul palco di Caffè Letterario saranno Marcello Savini e il curatore di Caffè Letterario Marco Sangiorgi. Un giornalista, alto, grasso, biondo, arriva a Nuoro dalla capitale per conoscere Grazia Deledda ed è una visita che non sarà mai dimenticata. Sono i primi di settembre del 1891 e Grazia non ha ancora vent'anni. Il giornalista, un poco più adulto, si chiama Stanislao Manca, Stanis per gli amici, e appartiene alla più antica aristocrazia sarda, dei Duchi dell'Asinara. A Roma cerca di farsi strada nella redazione della "Tribuna". Sta intanto preparando per l'editore Sonzogno le dispense delle "Cento città d'Italia" dedicate alla Sardegna e ha l'idea di chiedere a quella giovinetta un breve articolo su Nuoro. Alla lettera del 7 maggio 1891 Grazia risponde con una serie di fotografie e una prosa vivace, aprendo così un carteggio destinato a protrarsi, reciproco fino al primo incontro, poi tenuto in piedi solo da lei con volontà disperata. Sono lettere di grande interesse e bellezza che svelano sogni e ferite tormentose: l'Amore e la Gloria, insieme al senso vivo della propria inferiorità sociale, intellettuale, fisica soprattutto. Questo epistolario, in gran parte inedito, è nella sua drammatica tensione emotiva un grande romanzo d'amore, o meglio il martirio di un romanzo d'amore impossibile. È la storia di una donna che sta coltivando il suo enorme talento, ma viene come sorpresa dall'aggressione del desiderio, dell'attrazione, dalla lucentezza rapace di "occhi tigreschi" che tornano e ritornano anche nella sua opera. Anna Folli insegna Letteratura moderna e contemporanea all’Università di Ferrara. Si è occupata in particolare di letteratura femminile, pubblicando Penne leggère, uno studio sulle scrittrici dell’Ottocento e del Novecento (Guerini e Associati 2000). Oltre alla riproposta di alcune opere di Ada Negri e Neera, ha curato il carteggio di Corrado Govoni con Eleonora Duse (Pura fiamma di poesia, Bulzoni 1984) di Clemente Rebora con Sibilla Aleramo (Per veemente amore lucente, Scheiwiller 1987) e di Giosuè Carducci con Annie Vivanti (Addio caro orco, Feltrinelli 2004)

mercoledì 9 marzo 2011

ATTENZIONE! - La serata con PAOLO RUFFILLI è stata rinviata a lunedì 21 marzo.

Attenzione! La serata con lo scrittore PAOLO RUFFILLI e il suo romanzo "L'isola e il sogno" prevista per venerdì 11 marzo è stata rinviata per problemi organizzativi a lunedì 21 marzo alle ore 21,00 sempre nella sala conferenze dell'Hotel Ala d'Oro. Il prossimo incontro di Caffè Letterario è fissato per Sabato 12 marzo alle ore 16,30 nell'aula magna del Liceo Classico di Lugo con il poeta dialettale PAOLO GAGLIARDI. (vedi post seguente)

Sabato 12 marzo - PAOLO GAGLIARDI a Caffè Letterario

Sabato 12 marzo alle ore 16,30 nell'Aula Magna del Liceo Classico di Lugo, torna la poesia dialettale romagnola a Caffè Letterario con PAOLO GAGLIARDI e la sua raccolta di liriche "E' viaz dl'anma" edito da Tempo al Libro di FAenza. L'incontro organizzato con la collaborazione della Università per Adulti di Lugo sarà introdotto da Giuseppe Bellosi e Matteo Fantuzzi. « Il viaggio che compie Gagliardi è quello che da Monte Romano - sopra Brisighella - attraversa Faenza, Lugo, Ravenna e arriva idealmente fino al mare. Così cerca di fare questa poesia che trova il suo luogo (e fiato ideale) proprio in quel territorio difficile ma così altamente umano che segna anche le origini dell’autore e che in qualche modo identifica i tratti fondamentali ai quali la società dovrebbe ritornare. » Dalla prefazione di Matteo Fantuzzi Paolo Gagliardi è nato a Forlì nel 1956, in “trasferta”, ma dall’età di quattro anni vive stabilmente a Lugo. Si è avvicinato alla poesia in età adolescenziale e da qualche anno ha ripreso a scrivere con regolarità dapprima in italiano, poi nella lingua madre, quella romagnola (anzi, per l’esattezza, quella lughese). Alterna l’interesse per la scrittura a quello per la fotografia. Suoi testi sono apparsi su Internet e sulla carta stampata (sia locale sia nazionale). Ha vinto l’edizione 2009 del Concorso Nazionale di Poesia “Sinfonia Dialettale”. È membro dell’Associazione “Istituto Friedrich Schürr” (per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio dialettale romagnolo) e dell’Associazione Culturale “Il Faro” di Roma (per la rivalutazione dei dialetti d’Italia). Alcune sue poesie si trovano all’interno del sito della Schürr, dove è stato inserito tra i poeti de “La Ludla”.

lunedì 7 marzo 2011

"Una pagina di storia attuale" di MARCO SEVERINI

Lo storico MARCO SEVERINI, docente di Storia del Risorgimento, presso l'Università di Macerata, è stato ospite di Caffè Letterario lunedì 28 febbraio dove ha presentato il suo ultimo lavoro "La Repubblica romana del 1849" edito da Marsilio. Video-riassunto in 10 minuti della serata su youtube all'indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=-hoXrtfYv2I Il 28 febbraio scorso sono stato ospite a Lugo di uno dei numerosi incontri culturali predisposti dal locale Caffè Letterario. Mi sono trovato molto bene e l’incontro con il pubblico, avvenuto nel Salone Estense, si è sviluppato soprattutto attraverso una serie di domande e di interventi che i presenti hanno rivolto a chi aveva parlato di un libro di recente uscita del sottoscritto. Il giorno dopo l’editore mi ha informato che la prima edizione dell’opera era, a distanza di tre settimane, finita e che stava provvedendo a ristamparlo. In questa sede sintetizzo i motivi per cui questa significativa pagina di storia appare nel 2011 particolarmente attuale. La storia Agli inizi del 1849 la storia italiana era cambiata: la repubblica era stata proclamata a Roma, Venezia e Livorno; a Firenze si era costituito un governo democratico; la Sicilia restava in mano ai separatisti che si erano dati un governo ed una Costituzione di orientamento democratico; Brescia cacciava gli austriaci e Genova respingeva l’armistizio di Novara con una insurrezione repubblicana. Era scoccata, dopo la sconfitta delle diverse opzioni moderate, l’ora dei democratici e la loro attuazione più significativa fu la nascita, al centro della penisola, di un legittimo Stato repubblicano, democratico, laico e italiano, benché l’Europa fosse costellata di monarchie e animata da forti rigurgiti di antico regime. Il mancato coordinamento dei diversi focolai democratici, la ristrettezza della base sociale insurrezionale (piccola-media borghesia urbana; popolo minuto; ceti artigiani) e l’incapacità di conferire alla lotta una dimensione autenticamente popolare, fecero fallire questa congiuntura che assunse comunque un carattere esemplare e costituì la più bella pagina del Risorgimento italiano. Nata il 9 febbraio 1849, la Repubblica romana del 1849 ha conosciuto un lungo oblio nella seconda metà del Novecento. La prova più evidente è costituita dal fatto che da 56 anni non usciva una monografia scientifica sull’argomento. Con questo termine intendo il prodotto di un critico e meticoloso lavoro di ricerca svolto attraverso archivi e biblioteche, sorretto da una chiara metodologia e capace di presentare una narrazione e una interpretazione di fondo (o anche più di una). Non è però vero – come a lungo si è sostenuto – che la brevità della storia della Repubblica romana rappresenti un ostacolo alla valutazione storiografica della sua vicenda, delle realizzazioni e delle eredità che ci ha lasciato. In una prima fase (9 febbraio-29 marzo), la Repubblica venne guidata da un Comitato esecutivo composto da Carlo Armellini (settantaduenne avvocato concistoriale che aveva servito la Repubblica giacobina del 1798-99 e poi Napoleone e diversi papi), Mattia Montecchi (altro avvocato capitolino con trascorsi carbonari e cospirativi) e da Aurelio Saliceti (famoso giureconsulto abruzzese del foro partenopeo, uno dei primi meridionali affiliati alla Giovine Italia e politico partecipe dei moti napoletani del 1848). Nell’azione di governo, questo Comitato venne affiancato da un Consiglio di ministri, costituito da un mix tra tecnici e rivoluzionari di antica data, e dall’Assemblea che si impegnò nella veste di legislatore costituente e di legislatore ordinario. Il Comitato continuò l’opera di rinnovamento politico e sociale in senso democratico-borghese che era stata iniziata nella fase di interregno provvisorio (dicembre 1848-gennaio 1849), adottò importanti riforme sul piano politico e giuridico, fronteggiò il caos amministrativo, il dissesto finanziario e i primi casi di insorgenza reazionaria, ma non affrontò con la dovuta energia le questioni dell’organizzazione militare e la ripresa della lotta nazionale. Falliti gli accordi con gli altri Stati italiani per giungere ad una Costituente italiana, l’Europa cattolica si apprestava a soccorrere Pio IX il quale, fin dal 19 febbraio, aveva chiesto con apposita nota diplomatica l’intervento militare di Austria, Francia, Spagna e Regno delle Due Sicilie: l’isolamento diplomatico si rivelò decisivo per le sorti della Repubblica romana. La seconda fase della Repubblica (29 marzo-30 giugno) venne politicamente dominata da Giuseppe Mazzini. Eletto deputato in una consultazione suppletiva il 24 febbraio e giunto a Roma la sera del 5 marzo, il patriota genovese impresse un indirizzo più energico al governo repubblicano, orientandolo verso la guerra d’indipendenza nazionale e la difesa militare, senza per questo interrompere l’azione di rinnovamento e modernizzazione delle istituzioni avviata in precedenza. Raggiunta Roma da patrioti ed esuli provenienti da tutta la penisola e dall’estero, il triumvirato mazziniano proseguì l’opera di laicizzazione dello Stato (furono aboliti i tribunali ecclesiastici e confiscati i beni del clero) e di rinnovamento politico e sociale (tra l’altro, fu varata una riforma agraria che prevedeva la concessione di terre in affitto perpetuo alle famiglie più povere) delle antiquate strutture pontificie. Soprattutto si affermò un governo nazionale, incentrato sul richiamo al popolo-nazione cosicché qualunque categoria di cittadini (comprese quelle secolarmente escluse, come gli ebrei e le donne, che recitarono un ruolo di primo piano come infermiere, ausiliarie, giornaliste e combattenti a Roma e nelle principali città dell’Italia centrale) venne chiamata da Mazzini a partecipare alla costruzione di un mondo nuovo. Roma divenne in questi mesi una sorta di capitale della riconquistata libertà italiana. In uno Stato che abolì la pena di morte, riconobbe la piena libertà di culto e soppresse qualsiasi forma di censura sulla stampa, un’intera generazione di giovani, intellettuali, borghesi, patrioti, uomini dalle incerte convinzioni, reduci della prima guerra d’indipendenza, neofiti della politica si ritagliò uno spazio nella vita pubblica fino a pochi mesi prima inimmaginabile; l’intenso processo di politicizzazione animò, tramite i circoli popolari e i «luoghi di parola», intensi dibattiti e una crescente partecipazione popolare, mentre ai limitati orizzonti della vita municipale subentrò la prospettiva di un’unità nazionale da conquistarsi sul campo. Minato dalla crisi economica e finanziaria ma soprattutto dall’invasione militare straniera, la Repubblica poté contare solo sulle proprie forze e affrontò la drammatica situazione con equilibrio politico e valore militare. Aperte simpatie giunsero solo dai cittadini statunitensi quali i diplomatici Nicholas Brown e Lewis Cass jr. (lasciati però senza direttive dal governo di Washington e di fatto impossibilitati a riconoscere la Repubblica), lo scultore/scrittore William Wetmore Story e la scrittrice/giornalista Margaret Fuller, entrambi bostoniani. Attaccata a nord dagli austriaci e a sud da borbonici e spagnoli, la Repubblica giocò la sua partita decisiva con la Francia, un cui corpo di spedizione si presentò il 24 aprile davanti a Civitavecchia. Adottata con fermezza la linea di respingere la forza con la forza, Mazzini comprese subito le intenzioni del governo di Luigi Napoleone Bonaparte e sperò che le elezioni per l’Assemblea Legislativa del 13 maggio potessero ribaltare il ministero del presidente grazie all’agguerrita opposizione repubblicana interna guidata da Ledru-Rollin. Mazzini aveva ricevuto, nel 1848, dal capo del governo provvisorio della Seconda Repubblica Lamartine la promessa di un aiuto all’Italia da parte della Francia nel caso in cui fosse stata attaccata «nel suo suolo o nel suo cuore»; ma la svolta moderata, che aveva portato nel dicembre 1848 alla presidenza transalpina Luigi Napoleone Bonparate, comportò una brusca sterzata nell’azione europea del governo di Parigi: quest’ultimo, dopo un’ambigua e temporeggiatrice missione diplomatica, lasciò campo libero al suo corpo di spedizione militare di schiacciare la libertà italiana. La lunga ed eroica resistenza militare della Repubblica, che costò oltre un migliaio di vittime, si concluse di fatto il 30 giugno con i francesi padroni dei bastioni e di tutte le alture capitoline. A questo punto, la proposta mazziniana di continuare altrove la «guerra di popolo» non venne accolta dalla Costituente la quale nominò un terzo governo triumvirale, composto da Alessandro Calandrelli, Livio Mariani e Aurelio Saliceti, che durò in carica appena quattro giorni: in questo breve volgere di tempo, venne approvata (1° luglio) e promulgata (3 luglio) la Costituzione (tra le più avanzate dell’Ottocento europeo), Garibaldi lasciò Roma con circa 4.000 uomini per continuare la lotta e si decise, protestando di cedere unicamente alla forza, di ricevere impassibilmente i francesi in città. La Repubblica romana terminò la sua vita il 4 luglio 1849. Le eredità L’importanza storica della Repubblica va posta in relazione alle profonde eredità che ha lasciato alla vicenda storica nazionale. In primo luogo, la Repubblica romana fu uno Stato italiano. Lo attestano la visione profondamente italiana degli avvenimenti propria di Mazzini, alla sua prima ed ultima esperienza di governo; la presenza di migliaia di patrioti giunti ad offrire il proprio coraggioso contributo ad uno Stato che faceva propria la solidarietà tra le nazioni oppresse e la fratellanza universale dei popoli; la rappresentatività italiana in seno a tutti i principali organi dello Stato (governo, Costituente, classe dirigente, esercito, corpo diplomatico); la difesa e il sostegno alla nazionalità italiana contenuti in tutti gli atti principali della Repubblica, dal primo (il decreto del 9 febbraio) all’ultimo (la Costituzione, il cui IV principio fondamentale affermava che la Repubblica, pur rispettando ogni nazionalità, propugnava quella italiana); la diffusione di inni, componimenti, giornali e stampati improntati allo spirito italiano e al sentimento nazionale; la simbologia adottata, dall’adozione del tricolore come bandiera della Repubblica all’utilizzo della sciarpa tricolore come tratto distintivo dei deputati della Costituente, dalla proclamazione del Po a fiume nazionale al varo di cerimoniali nel palazzo del Quirinale tuttora vigenti. Con la Repubblica del 1849, la causa patriottica e nazionale smise di essere un concetto elitario e scarsamente percepito e trovò spazio in una sorta di nucleo fondativo di un’Italia ancora divisa. In secondo luogo, il repubblicanesimo si configurò, nella sua versione mazziniana e democratica, come il regime più idoneo per la nazione italiana. Inizialmente in coabitazione con altri orientamenti politici e ideologici, il mazzinianesimo diede vigore e credibilità alle istituzioni repubblicane, incrementando la partecipazione popolare e richiamando nelle città e nelle periferie masse di combattenti che si distinsero negli assedi di Bologna, Ancona e Roma e in molti altri casi. Un regime politico chiaro e lineare nel suo programma di governo, consapevole delle urgenze e dei pericoli del momento, trasparente nella gestione economica, misurato nel comportamento dei suoi leader (Mazzini visse modestamente, ma diede prova di grande statista), fermo e tenace nella conduzione politica, ispirata ad una moderna concezione della libertà e della democrazia, e nella comprensione della difficile congiuntura internazionale. Ancora, individuando in Roma la futura capitale d’Italia e assicurando al contempo al pontefice le garanzie indispensabili per l’esercizio del potere spirituale, la Repubblica romana segnò una pagina nuova nelle relazioni Stato-Chiesa, dichiarando decaduto il potere temporale dei papi e prefigurando itinerari di politica ecclesiastica che sarebbero stati recepiti prima dall’Italia monarchica e poi dalla Repubblica italiana. Una volta acquisito la fine del dominio temporale e al di là delle scomuniche e dei divieti ufficiali, la Santa Sede avrebbe rilanciato la propria vocazione internazionale e affrontato il confronto finora differito con le sfide della società capitalistica e le conquiste della società moderna. Da diversi studiosi è stato affermato che la Costituzione promulgata il 3 luglio 1849 rappresenta l’eredità più importante della Repubblica quarantanovesca: scritta dai rappresentanti di un’Assemblea senza precedenti nella storia italiana i quali operarono in assoluta libertà di giudizio, senza alcuna soggezione verso le personalità più autorevoli e senza alcun accordo precostituito, questa carta costituzionale si compose di otto principi fondamentali e di sessantanove articoli e si rivelò la più avanzata e democratica dell’intero Risorgimento. Se il corso degli eventi gli precluse di divenire realtà operante e funzionale, la Costituzione conservò un profondo valore ideale e di protesta, simboleggiò il chiaro senso di svolta e di rottura dell’esperienza storica che l’aveva prodotta e, in risposta al fallimento di altre progettualità politiche, delineò la traccia fondamentale di una via laica, italiana e democratica al problema dell’unità e dell’indipendenza nazionale; una traccia che avrebbe ispirato un secolo dopo, in un contesto diverso ma non privo di analogie sul piano storico e normativo, la Costituzione repubblicana del 1948. Infine, l’eroica resistenza militare repubblicana di fronte all’invasione militare straniera costituì un grande successo morale sulla strada dell’unificazione. La vittoria impossibile dei 19.000 difensori di Roma contro i 35.000 soldati francesi (senza contare l’occupazione austriaca e la presenza marginale di spagnoli e borbonici) divenne una di quelle gloriose sconfitte che – come ha sostenuto Mario Isnenghi – sono parte costitutiva, in età romantica, di un moto grandioso e minoritario: una sconfitta nobilitante, che si sarebbe profondamente sedimentata nell’immaginario collettivo. Memoria e storiografia È indubbio che la memoria della Repubblica ha proiettato un’ombra lunga sulla successiva storia nazionale. Benché l’Italia divenisse uno Stato unitario il 17 marzo 1861 grazie alla vittoria della strategia liberal-cavouriana, il pensiero mazziniano e democratico continuò ad alimentare le battaglie di un’intera generazione politica per gli obiettivi della repubblica e di un paese migliore: queste battaglie furono portate avanti sia da quella parte del movimento democratico che decise di integrarsi nella vita politica dello Stato liberale sia da coloro che rimasero per diversi anni su una posizione di intransigente opposizione all’Italia monarchica. Ma, dato ancora più interessante, si sviluppò in diverse aree centro-settentrionali una pedagogia civile repubblicana – che non poco dovette all’intenso impegno di Aurelio Saffi – che si concretizzò nella centralità dei valori laici, nella matrice morale dell’azione politica, nella definizione di una religione civile del dovere. Da tutto ciò nacquero miti, rituali, feste e addirittura un calendario alternativo all’Italia ufficiale, mentre riprese, specie in Romagna e nelle Marche settentrionali, l’opera di proselitismo da parte di un repubblicanesimo che, sul finire dell’Ottocento, superate in parte difficoltà e divisioni interne, si strutturò in vero e proprio partito politico. L’età giolittiana presentò un’altra forte contrapposizione tra le diverse anime del movimento-partito che si richiamava a Mazzini, ma anche a Cattaneo – centrale fu, in questo senso, l’intensa azione svolta dal lombardo Arcangelo Ghisleri – e trovò solo alla vigilia della Grande guerra una migliore ridefinizione di strategie e obiettivi, grazie anche ad una nuova e dinamica generazione di militanti (tra cui il faentino Pietro Nenni, i marchigiani Giovanni Conti e Oliviero Zuccarini, ed altri ancora). Il IX Febbraio rimase una festa imperdibile per i militanti repubblicani e per chi intendeva riconoscersi nel ricordo dell’Italia migliore che l’Ottocento democratico e progressista aveva saputo proporre. Così il ricordo – non sempre una «retorica e parolaia» celebrazione – della Repubblica romana alimentò la formazione e l’impegno di una terza generazione di militanti repubblicani (dopo quella risorgimentale e quella post-breccia di Porta Pia) che sostennero le idealità politiche e civili dell’antifascismo, del fuoriuscitismo, della clandestinità, ma anche dell’intransigente affermazione di una repubblica determinata dalla volontà popolare. Dopo la Resistenza, il repubblicanesimo tornò in prima fila in quella complessa fase politica da cui scaturì, il 2 giugno 1946, la nascita della Repubblica italiana e, contestualmente, la mirabile azione costituente. In quell’Assemblea presero posto e offrirono un contributo prezioso e illuminante militanti – come Giovanni Conti e Giuseppe Chiostergi – che erano nati alla fine dell’Ottocento ed erano stati educati ai principi mazziniani. Nonostante fosse stata al centro di una memorabile (ma fino a poco tempo fa dimenticata) seduta parlamentare il 9 febbraio 1949 e di efficaci ricostruzioni storiografiche – vanno almeno ricordate quelle di Domenico Demarco (1944) e di Luigi Rodelli (1955) nonché l’impeccabile rivisitazione di Giorgio Candeloro nel terzo volume della sua Storia dell’Italia moderna (1960) –, la Repubblica romana è caduta nel dimenticatoio a partire dagli anni sessanta. Lo hanno determinato scelte di natura politica e ideologica, ma anche il mutamento dei gusti e degli orientamenti storiografici, sempre più sviati dall’analisi politica e portati a sperimentare nuovi approcci e inedite sinergie con altre discipline (in primis, le scienze sociali). Non che siano mancati enti e istituzioni pronti a ricordare quella Repubblica ottocentesca così profondamente anticipatrice degli scenari novecenteschi – si pensi al ruolo svolto dall’Associazione Mazziniana Italiana o dall’Istituto per la storia del Risorgimento Italiano –, ma di fatto non è stato scritto più nulla di significativo sugli avvenimenti quarantanoveschi. Soprattutto si è rimasti a lungo privi di una nuova ed organica ricostruzione storiografica, basata sulla ricerca di archivio e capace di individuare gli elementi profondi e innovativi dell’esperienza che aveva accomunato Mazzini, Garibaldi, Mameli e migliaia di patrioti italiani e stranieri. Una nuova generazione di studiosi, sensibile alle tematiche risorgimentali e capace di aggiornare e ridefinire status metodologico e prospettive storiografiche, è comparsa solo agli inizi del terzo millennio e da essa è lecito aspettarsi un rinnovamento degli studi che troppo a lungo ha reso gli italiani orfani di una riflessione storica intorno all’origine del loro passato prossimo. di Marco Severini RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI M. Severini, La Repubblica romana del 1849, Venezia, Marsilio, 2011; Id. (a cura di), Dall’Unità alla Repubblica. Percorsi e temi dell’Italia contemporanea (con scritti di G. Sabbatucci, R. Balzani, M. Severini, G. Di Cosimo, E. De Fort. E. Cecchinato, N.M. Filippini), Venezia, Marsilio, 2011.