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mercoledì 26 novembre 2008

"I diversi percorsi dell'amore" di IVANO NANNI

Sull'incontro con MARIO DESIATI di Lunedì 24 novembre Quel concetto attorno al quale ruota sia la vita che la letteratura, "l’affascino" (che pregnanza il dialetto!), che è passione, maledizione e seduzione insieme, è forse la porta di accesso per la comprensione di una scrittura che si sposta frenetica su diversi binari. Civiltà dello scrivere e del vivere, nel senso di impegno e passione come lo sentiva Pasolini, e come forse lo sente anche Desiati quando parla della sua terra. Come sicuramente lo sente Saviano, quando affronta la terribile metastasi che appesta Napoli e che pare sfuggire a qualunque cura. Malgrado ciò in Saviano, e anche in Desiati, c’è il fascino vero di questa maledizione dello scrivere che promette riscatto in virtù di un’invenzione narrativa differente. Per cogliere bene certe immagini occorre avere lenti bifocali, inclinare la testa, trovare il punto di equilibrio ottico e prepararsi a vedere tramite piccoli spostamenti di grande rilevanza. Si sposta il punto di vista da un capo all’altro dell’argomento provocando punti di ebollizione diversi dentro ai quali la materia del narrare sbuffa, si scalda, e poi si rapprende in solidi blocchi descrittivi. La magia di una scrittura di urgenza e passione è proprio questo nuovo modo di reinventare oggetti narrativi conosciuti in qualcosa di differente, con spostamenti di prospettiva in un campo preciso di azione. Di provocazione in provocazione si lascia attonito il lettore, si atomizza il protagonista senza cancellarlo, e si dà alla materia stessa il compito di narrarsi tramite un segugio-scrittore che fiuta i sentieri narrativi e di volta in volta prende forme diverse. E il risultato sono opere che si fanno leggere e apprezzare per le svolte epocali che provocano, per gli scismi improvvisi che sbaragliano il campo da certezze narrative note, senza disperdere nulla, perché ogni dettaglio è possibilità di racconto. Queste scritture raccolgono lettori attenti e partecipi. Forse non è il caso di cedere alla provocazione della parola “impegno civile” per Desiati e per altri, ma lo sguardo comune che hanno verso il confine narrativo, un ibrido che si lascia catturare attraverso l’uso combinato di tecniche diverse, non è mai uno sguardo singolo ma una vista molteplice che sposta la telecamera su azioni che di volta in volta appartengono sia a loro stessi, per esperienza diretta, sia ad altri, della cui esperienza si appropriano per diritti di creazione artistica, se così si può dire. C’è, dunque, seduzione verso la materia, e passione, che evolve in una scrittura evocativa ma non onirica. A volte bassa, materica, sostanziale, operosa che mette in linea diversi percorsi, li fa convergere in un’unica soluzione contro quei maledetti correlati del Potere che sono le mafie, gli sfruttamenti, i degradi urbani, le periferie scoppiate, le immondizie sommergenti le case e le persone. È quella creazione molteplice che si affranca dalle pastoie dell’ispirazione del singolo mago della scrittura, del Vate inorgoglito e vanaglorioso, e si avvale di un reticolo di invenzioni anonime, non convenzionali. A mio parere, in Desiati, c’è la freschezza di un’invenzione narrativa nella quale convergono grappoli di racconti sbocciati come frutti spontanei dalla viva terra, raccolti e intrecciati in un ottica di critica del sistema. Se ci togliamo i paraocchi cosa vediamo? Si vede e si sente cosa siamo. Siamo un popolo inacidito e volgare, dove ognuno è solo con il suo piccolo sogno adolescenziale, fiacco e obsoleto, al quale rimaniamo aggrappati sperando in un miracolo che non arriverà mai. Anche di questo si racconta scrivendo dell’infelicità delle spose e della precarietà del lavoro, o della mafia e della vanità dell’apparire a tutti i costi in degradanti siparietti tivù. È un lavoro per demolire le barriere dell'egoismo e dell'ignoranza, la vera peste in cui si ammolla l'anima. È giusto raccontare di questo, perché è questo che siamo diventati, e raccontarlo senza finzioni e senza iperboli, o avvitamenti nostalgici è opera meritoria. In più senza l’intento di fare storia o fondare scuole di pensiero, ma solo con la forza delle immagini vere e autentiche come deve essere la letteratura. Non un’ invenzione di testa, un rete di parole fiacche buttate giù a riempire una griglia narrativa qualunque, ma quasi un dolore di pancia, un colpo di fulmine, un abbaglio delirante: come quell’immagine dei bambini che si rotolano nel campo di calcio come cagnolini, felici di essere semplicemente lì, di partecipare, e poi di ricordare in maniera iperbolica e creativa quel miracolo, quella gioia vera, quella franca condivisione a un evento irripetibile. Un flash di felicità, un lampo di amore vero.

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