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venerdì 21 novembre 2008
La serata con PAOLO LAGAZZI
Una bella serata di poesia quella di ieri sera per Caffè Letterario con il critico letterario Paolo Lagazzi che ha presentato il suo ultimo lavoro dedicato ad Attilio Bertolucci “La casa del poeta” edito quest’anno da Garzanti. Una serata conviviale per pochi intimi (una ventina le persone presenti) ma che grazie al numero contenuto di partecipanti ha permesso a tutti di riunirsi attorno a un tavolo e di parlare e di ascoltare poesia fino a notte inoltrata. Dopo l’introduzione all’opera del critico letterario parmense da parte del curatore di Caffè letterario Marco Sangiorgi e le parole dell’amico e collega Gian Ruggero Manzoni, Paolo Lagazzi ci ha raccontato del suo intenso rapporto di amicizia con Attilio Bertolucci dipanatosi per ventiquattro estati trascorse insieme nella casa del poeta a Casarola, nell’alto Appennino parmense. E in quelle estati Lagazzi ha trovato in Bertolucci un maestro e un amico, ne ha subito il fascino, ha condiviso con lui la quiete e le vibrazioni di quella natura selvaggia. E per noi è stato un modo di avvicinarsi a un autore non così conosciuto e familiare come meriterebbe di essere, tanto da essere oramai considerato dalla critica uno dei giganti della poesia italiana del novecento. A rendere poi ancora più piacevole la serata sono state le intrusioni musicali e “magiche” di Paolo Lagazzi che accompagnandosi con la chitarra ci ha cantato alcuni fra i suoi testi sacri (da De Andrè ai Beatles) della canzone/poesia d’autore e dal suo passato di illusionista ci ha deliziato con i suoi giochi di prestidigitazione. Una passione giovanile per la magia rimasta inalterata negli anni che unita a quella della letteratura ha prodotto fra l’altro uno dei suoi ultimi saggi pubblicato da Moretti e Vitali nel 2006 “Per un ritratto dello scrittore da mago”. Per finire mi piace ricordare una delle poesie di Attilio Bertolucci lette da Lagazzi durante l’incontro di ieri sera, e di cui l’autore di questo saggio parla in questi termini: Una delle poesie più belle, umane e struggenti della raccolta “Viaggio d’inverno”.
Arrivò prima il figlio, in quell’ora,
lucente dopo il pasto il sole e il vino,
eppure silenziosa, tanto che
si sentiva il pennello sul muro
distendere il celeste. Non guardava
fuori, la sua giovinezza
e salute gli bastava, attento
alla precisione dei bordi turchini
entro cui asciugando già l’azzurro
scoloriva com’era giusto. Allora
venne il padre che recava uno stampo,
il verde il rosso e il rosa,
e la stanchezza degli anni e il pallore.
Doveva su quel cielo preparato
con cura far fiorire le rose,
ma il verde stemperato per le foglie
non gli andava, non era un verde quale
ai suoi occhi deboli brillava all’esterno
con disperata intensità appressandosi
la sera che porta via i colori.
Le corolle vermiglie ombrate in rosa
fiorirono più tardi la stanza,
una qua una là, accordate
alle ultime dell’orto, e il buio,
fuori e dentro, compì un giorno
non inutile che lascia a chi verrà,
e dormirà e si sveglierà fra questi
muri, la gioia delle rose e del cielo.
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