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sabato 9 febbraio 2019

"Il pianeta delle macchine" di IVANO NANNI


Sull'incontro di venerdì 8 febbraio con Gianfranco Pacchioni che ha presentato il suo saggio “L’ultimo Sapiens” edito da Il Mulino.

La cosa inquieta un po’. Se una nuova generazione di computer dotati di facoltà di autoapprendimento sta replicando al meglio le doti umane, ciò significa che inizieranno a riflettere sulle loro azioni cosicché svilupperanno una coscienza tale da prendere decisioni imprevedibili per noi, piccoli umani dotati di sentimenti buoni per i romanzi, le poesie, l’arte, di cui per il momento abbiamo l’esclusiva. Ad esempio, i computer, che tra breve non saranno più solo macchine, potrebbero decidere di replicare solo se stessi. Innamorati narcisisticamente della propria perfezione, escluderanno gli esseri umani dalle decisioni futuribili, e perciò, in quel preciso momento si verificherà una condizione tale da giustificare il titolo del libro- L’ultimo sapiens – di Gianfranco Pacchioni, chimico e prorettore dell’Università Bicocca di Milano nella cui presentazione racconta alcuni aspetti della ricerca genetica che sposteranno i cardini dell’evoluzione che prevedibilmente non si potrà più chiamare solo umana. Vale a dire che per l’uomo, se l’intelligenza artificiale diventerà autonoma, le prospettive potrebbero essere quelle di una vita chiusa nelle verdi praterie di una riserva(indiana?) dove si potrà vivere sì, ma come obsoleti prodotti della creazione, non più unici ma replicabili, duplicabili, stampabili in 3d, geneticamente modificabili, e poi anche, forse, sacrificabili. Anzi sicuramente sacrificabili.
C’è un mondo parallelo in cui queste cose avvengono, o stanno per avvenire. Si stanno sviluppando con una velocità preoccupante e senza clamori prove tecniche procreative. Di tanto in tanto sui giornali appare la foto di un essere umano con sotto la scritta clonato in un laboratorio cinese (per il momento). Solitamene queste notizie appaiono in decima pagina, o nella rubrica scientifica, perciò restano sotto la soglia di attenzione delle masse indaffarate a sopravvivere e ignare del mondo nuovo che avanza. In altri termini, accanto al nostro mondo, al mondo delle persone normali come me, che non arrivano alla decima pagina, ma tuttavia maneggiano come primati smartphone con cui si potrebbe andare su Saturno, esistono i mondi dei genetisti, dei biologi molecolari, degli ingegneri del DNA, e di tutti quegli scienziati che sperimentano sul genoma umano, alterano i codici genetici e li riscrivono. L’immagine che appare alle persone come me, sono di scienziati, che forbici alla mano tagliuzzano pezzi della catena genetica, e facendo questo rispondono ad esigenze correttive primarie. Chi ha perso una mano, un orecchio, una gamba potrebbe ritrovarsi di nuovo con il suo arto a posto, proprio il suo, esattamente una replica esatta, stampato in un laboratorio coreano e inviato a casa senza spese di spedizione, non è meraviglioso tutto questo? Direi di sì. A parte la sindrome Frankenstein è una frontiera che si sposta.  Dunque le frontiere della scienza, di questa scienza si spostano rapidamente, sono movimenti tellurici, tsunami psichici che mettono in discussione temi epocali, correttivi e procreativi. Con piccoli aggiustamenti al DNA si arriverà a correggere malattie insite nei circuiti remoti della psiche, allungare la vita umana oltre ogni immaginazione, avvicinarsi all’immortalità, a vivere cinquecento anni come Noè, come tutti i patriarchi biblici prossimi all’eternità. E Dio, ci stiamo dimenticando del creatore supremo, che fine farà in tutto questo replicare di vita oltre la vita? Non sarà replicante anche lui, o per lo meno replicabile. E se si cercasse la matrice la divina in quei laboratori? Già, che fine ha fatto Dio in tutta questa marea di sostituzioni, clonazioni, duplicazioni? Che sia solo un file dentro a un computer, qualcosa in attesa di stampa?
E se per tutti noi, che brancoliamo nel buio dell’insipienza, si aprisse un varco di luce dove è possibile capire quello che non abbiamo mai capito, e cioè che la terra potrebbe essere, essa stessa una macchina, un gigantesco computer organico replicabile e replicato all’infinito, sarebbe il risultato di un’auto programmazione o di una intelligenza che si compiace di essere in diverse forme ma che sostanzialmente resta un grande ingegnere meccanico?
di Ivano Nanni


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