GG: Da dove vuoi cominciare?
LN: Da un libro che mi hanno regalato di recente, dal titolo “La matematica non serve a nulla”*: ci sono due passi che vorrei farti leggere perché penso che in qualche modo centrino col tuo lavoro. Il primo è una storia sul matematico italo-francese Joseph-Louis Lagrange, il quale, nel pieno della propria brillante carriera di scienziato, fu invitato a risolvere una delicata questione che riguardava i fondamenti della geometria. Dopo anni di ricerca, arrivò il momento di presentarne i risultati in una conferenza pubblica attesa da tutto il mondo accademico. Lagrange entrò nell'aula, dispose lentamente i fogli sul leggio,si schiarì la voce e poi disse soltanto: "Bisogna che ci rifletta ancora." E se ne andò.
GG: In effetti uno dei miei problemi è che non riesco mai a finire le cose. Ancora oggi porto avanti alcune ricerche iniziali. Il punto è che non ho mai avuto le idee chiare, ed è proprio questo il motivo per cui fotografo: schiarirmi le idee e tentare di capire un po' meglio il mondo che mi circonda. Ecco perchè non ho mai lavorato su progetti specifici ma ho sempre cercato di lavorare a un unico progetto, quello della "conoscenza". La fotografia per me è proprio questo: un approccio alla conoscenza.
LN: E in questo progetto pensi di giungere, prima o poi, a qualche conclusione?
GG: Le conclusioni mi interessano poco, mi interessa di più il percorso, così come mi interessano poco le risposte che pretendono di esaurire il discorso o di incorniciare esattamente un concetto: il più delle volte le trovo banali e riduttive. Cerco sempre di aggirare le domande e finire per parlare d'altro. Cerco di fare questo anche con la fotografia. Se devo fotografare qualcosa, qualsiasi cosa, cerco di farlo in maniera discreta, pacata, preferisco accennare piuttosto che enfatizzare: è anche un modo per lasciare all'osservatore spazio per pensare, senza cercare di incanalare il suo pensiero o il suo giudizio verso una qualche direzione. Norberto Bobbio diceva che la mitezza è un modo d'essere che lascia l'altro essere ciò che è: questo atteggiamento appartiene alla fotografia.
LN: Molto interessante, ma come hai detto tu stesso, non hai risposto alla mia domanda. Te ne faccio un'altra: perché fotografi?
GG: Quando avevo 15 anni andavo con i miei amici, di notte, a rubare i cocomeri in un campo. Poi su quel campo ci hanno costruito una delle prime tangenziali di Cesena. Ricordo ancora il malessere che mi procurò questa cosa. Molte delle fotografie che ho fatto in tutti questi anni nei pressi di casa mia o nelle periferie delle città, nelle aree industriali o sotto i ponti dei fiumi di campagna, sono probabilmente tentativi falliti, e per questo ripetuti all'infinito, di ritrovare quel campo.
LN: Non ti sembra ci sia un po' di nostalgia in questo?
GG: La nostalgia può esserci, però è "fattiva": certamente è rivolta al passato, ma allo stesso tempo indaga il presente e si interroga sul futuro analizzando le trasformazioni del paesaggio e i cambiamenti in atto. In questa indagine non c'è nessuna perdita di fiducia e non ci sono intenzioni di denuncia. Quello che cerco di fare è di riportare ciò che fotografo a una dimensione misurabile. Ma vorrei aggiungere qualcosa a proposito di questo: c’è una mentalità corrente che giudica in maniera negativa tutto ciò che è in qualche modo rivolto al passato. Lo trovo profondamente diseducativo. Fare riferimento al passato è un modo per scegliere un punto di partenza su cui cercare di aggiungere qualcosa, sperimentare. Il mio lavoro fa rifermento alla tradizione classica, dalla pittura italiana dei primitivi alla fotografia dell’Ottocento, ed è poi stato influenzato da una certa fotografia americana, però ho sempre cercato di individuare nuove possibilità, di trovare delle “varianti”**, per citare un titolo suggeritomi da Paolo Costantini che mi è piaciuto molto. In questo modo si può approfondire il linguaggio stesso della fotografia.
LN: Volevo arrivare proprio a questo. Quando fotografi cerchi di capire meglio la realtà che ti circonda. Allo stesso tempo cerchi di capire meglio il mezzo col quale cerchi di capire meglio la realtà che ti circonda. A questo proposito vorrei leggerti il secondo passo dal libro di cui ti ho accennato in precedenza. Prima, però, volevo farti un'ultima domanda: a cosa serve la fotografia?
GG: [Pausa] Forse la risposta più saggia è proprio quella di Lagrange: Bisogna che ci rifletta ancora.
LN: “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto davanti agli occhi. Io dico l'Universo. Ma non si può intendere se prima non si impara a intendere la lingua e a conoscere i caratteri nei quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica e i caratteri sono triangoli, cerchi e altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile intenderne umanamente parola. Senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto.”
GG: E’ proprio così. Chi l’ha scritto?
LN: Galileo Galilei.
* "La matematica non serve a nulla" di Giorgio Bolondi e Bruno D'Amore, Editrice Compositori 2010. Il libro è stato presentato a Caffè Letterario dagli autori il 7 giugno di quest'anno.
** "Varianti" di Guido Guidi, Arti Grafiche Friulane 1995
Nessun commento:
Posta un commento