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giovedì 9 giugno 2011

"Esercizi di stile" La premiazione del Concorso Letterario

Incontro dedicato ai ragazzi delle scuole medie superiori di Lugo quello tenuto lunedì scorso, 6 giugno nel Salone Estense della Rocca di Lugo. Alla presenza dell’Assessore alla Cultura e alle politiche giovanili del Comune di Lugo Marco Scardovi si è celebrata la premiazione del Concorso Letterario “Esercizi di stile” organizzato dall’Amministrazione comunale con la collaborazione del Caffè Letterario e delle scuole superiori lughesi. A premiare i ragazzi era presente anche la giuria che ha valutato i cinquanta racconti presentati, composta dalla insegnante Velia Ferrioli e dallo scrittore e poeta voltanese Matteo Fantuzzi che è stato ospite, in qualità d’autore, di Caffè Letterario e che collabora con la nostra rassegna da più di due anni. I lavori premiati sono stati sei e i premi, ovviamente in libri, sono stati offerti dalla Libreria Alfabeta. Ecco la classifica finale, il testo integrale del racconto primo classificato e le immagini della serata.


1° classificato
“Pioggia” di Silvia Calderoni
Liceo Scientifico


2° classificato
“Viaggio in Italia” di Federica Zanoni
Liceo Linguistico


3° classificato
“Mamma” di Cecilia Dirani
Liceo Linguistico


4° classificato
“Auschwitz” di Andrea Merli
Liceo Linguistico


5° classificato
“I Giovani e la Politica: triste connubio” di Luca Fregnani
ITIS sez.Meccanici


6° classificato
“Imparando a sorridere” di Gessica Biondi
Liceo Linguistico

“Pioggia” di Silvia Calderoni
Sono le due e mezza del pomeriggio, sto tornando a casa dopo aver pranzato da mia nonna, sono in bici con le cuffie nelle orecchie. Per andare a casa devo attraversare i binari del treno, stranamente le sbarre sono aperte, pedalo più velocemente ora, intanto il cielo si scurisce, il sole scompare, leggere gocce di pioggia mi bagnano il viso, ed io le lascio fare. “Iris, rallenta…” Si, a volte lo faccio, a volte parlo da sola , ma non m’ascolto mai. Mi sono ascoltata solo una volta, quando la vocina dentro di me mi ha detto “ Iris, buttati”, io l’ho fatto, mi sono buttata, ma sono caduta su qualcosa di duro, che non potevo abbattere, mi sono fatta molto male e sebbene oggi porti ancora i segni, sono riuscita a rialzarmi. Da allora ho intrappolato la mia vocina nel profondo del mio stomaco. Certe volte quello che ho dentro non mi basta, certe volte io non mi basto: né a me né agli altri. A volte ho paura di svegliarmi presto la mattina e di rendermi conto di aver sognato, oppure di rendermi conto che sia tutto vero, che quella notte non ha cancellato la mia vita, come avrei voluto. Ciò che penso delle cose è limitato, non basta che io ami, serve solo che io sia simpatica. La sopportazione o la non sopportazione delle cose, degli avvenimenti, della realtà, la insopportazione della normalità. La mia vita gira intorno all’estremo senso di sopportazione. Sopportare le situazioni. Oppure evadere, rimanendo sola. Oppure tanto vale morire. Mi risparmierebbe l’insopportazione della sopportazione. Ma io non morirò, io sono invincibile e nessuno potrà distruggermi. La pioggia si sta facendo più pesante, ma mi piace la pesantezza, mi fa sentire protetta, mi fa sentire meno male e allora pedalo ancora più forte, così che tutta questa pesantezza mi addormenti. “Iris, rallenta…” I binari del treno sono tra le tre cose più poetiche che conosca, le altre due sono le nuvole ed i girasoli, ora da qui vedo tutte e tre le cose: vedo i binari che scintillano sotto la pioggia, vedo le nuvole grigiastre ed incazzate ( chissà poi perché…) e vicino alla stazione vedo un campo di girasoli. Ma oggi non c’è il sole ed io devo andare a casa, mi fanno male le ossa, sono stanca, voglio dormire. Questo pensiero mi fa rabbrividire ed accellero. “Iris, rallenta…” Accellero. Ora mi trovo in una stradina di campagna, a destra vedo dei campi di peschi, a sinistra delle case. La canzone del mio mp3 è cambiata, ora c’è qualcuno che canta sottovoce, quasi bisbiglia, quasi soffia, ma quel soffio è così dolce che lo lascio lì, a vagare indifferente nel mio cervello. “ Iris, rallenta…” Smettila. Hai capito? Smettila. Ora vado così veloce che riesco a pedalare anche senza mani. La pioggia ha aumentato la sua intensità e si sta lentamente infiltrando tra i miei capelli scompigliati. Mi piace questa sensazione, le gambe veloci, i capelli ondeggianti, non sento niente e sono sempre più bagnata, sempre più veloce, sempre più felice. “Iris! Att…” BUM. C’è una musica lontana che mi soffia nelle orecchie. Non vedo niente. Non sento niente. “Iris, io ti avevo avvisata…” Chi sei? Che cosa vuoi? “ Io sono ciò che più ti spaventa al mondo. Io sono ciò che più ti è lontano al mondo. Io sono la morte.” Sento delle pulsazioni nella testa e nella gola, come se il mio cuore si fosse staccato dal petto e sia venuto a battermi in faccia. “Io prendo le anime quando è il loro turno. Non prima. Non dopo. Ma a volte il CASO mi frega…” Ora lo sento, è un dolore acutissimo, sfavillante, come una lama che mi taglia a metà, dritta, netta, senza pause, tasto coi polpastrelli per terra, è tutto bagnato. “Ti avevo detto di andare più piano. Tu non mi hai ascoltata. Il CASO l’ha saputo ed è corso qua…” La testa ora mi pulsa ancora più forte, sembra quasi che dei vermi mi siano entrati dentro e mi stiano divorando la mucose. “ Ora ti devo portare via, Iris…” No, non voglio andare via, via dove, portami dalla mia mamma, portami da lei. “ Non posso Iris. Hai sbandato e sei stata travolta da un camion. Stai morendo.”

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