Sull'incontro di lunedì 14 maggio con Eugenio Baroncelli e il suo libro "Falene. 237 vite quasi perfette"
Con
pochi e rapidi tratti di penna Baroncelli traccia in una grafia acquosa e
tormentata con picchi di impalpabile apprensione le ampiezze di una vita intera sintetizzate
nel rapido giro di poche frasi.
Sono
quei brevi ritratti assimilabili a un volteggiare falenico di rapidi guizzi
pittorici come fossero piccoli ritratti ad acquerello, microscopici impressioni
del crepuscolo che svapora alle porte della notte, lasciando le sue ombre e le
sue scie di incomprensioni come sono in fondo tutte le vite, fortemente
incomprese.
E
allora tutto quello che appare caotico nella vita di una persona prende il suo
spazio, ed è uno spazio minimo che si dilata per il tempo di spandere un poco
di inchiostro sulla carta e tracciare in breve, impressionisticamente, la
traccia di una vita in un didascalico fermo immagine, un esempio di minimo
spazio crepuscolare che diventa la confusa eredità di un attimo che lo
scrittore intona come un'iscrizione lapidaria o un commosso commento, oppure un
umoristico avvenimento.
È
come se passasse sotto l'occhio dello scrittore di vite altrui, la stagione
delle inettitudini o delle audaci imprese, a seconda dei casi, e su queste
indicazioni l'autore tesse descrizioni, scrive appunti eretici, effonde
vagheggiamenti, inalbera picchi metafisici o commenti lunatici, magici e
nell'insieme prudenti come lo sono le vite gloriose o meno dei tanti che
ritrae.
Quella
di Baroncelli è la penna di un catalogatore metafisico, un ordinatore di personaggi a volte improbabili e immensi e
anche di altri meno noti che cercano come falene la luce, l'attimo di gloria
che fatalmente non trovano, e se lo trovano non è mai come vorrebbero anche se
ai posteri possono lasciare segni di grandezza o perlomeno di bontà.
Questi
personaggi sfilano pagina dopo pagina nascosti da un paravento di vaghezza malinconica e
appaiono come luminose sagome essenziali, la cui perfezione è la stessa delle
marionette sempre uguale a se stesse che parlano al pubblico con gestualità
sempre uguali, segni incancellabili che cristallizandosi nel tempo diventano
tradizione. Pertanto è possibile, per quanto difficoltoso, suggerire che la
poetica delle esistenze altrui create dalla penna dell'autore è una
storicizzazione dell'incompiutezza con la volontà forse inconscia di creare
delle maschere che nel tempo potrebbero trovare un loro posto nel teatro
didascalico delle voci erranti.
di Ivano Nanni
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