Sull'incontro di
martedì 23 maggio con il giornalista Emiliano Fittipaldi che ha presentato il
suo libro “Lussuria” edito da Feltrinelli.
Ci piace pensarli
lontano dalla pace dei cieli tutti quei prelati che senza remore macchiano la
loro anima, la cosa più preziosa che hanno, di inqualificabili peccati. Eppure hanno
santi sulla terra che li proteggono, perché se devono contare su quelli in
Paradiso forse è meglio che non si presentino a fare la parte dei pentiti. Come
si è detto in modo molto eloquente, nella serata di ieri da un giornalista
dell’Espresso, Emiliano Fittipaldi, anzi un giornalista-giornalista che le
notizie se le va cercare, mica è il cronista della domenica che aspetta
l’imbocco della velina, e le pubblica senza paura delle conseguenze. Dunque, ci
riprova con questo libro a farsi querelare dalla Curia infuriata. Arrabbiata
sì, ma mai come per il primo libro, Avarizia, per il quale Fittipaldi ha pagato
il fio di un processo in Vaticano poi finito nel nulla, anzi a dire il vero, finito
in pubblicità, e male gliene incolse ai suoi detrattori: il libro si è venduto
in tutto il mondo grazie al Papa che pensava di maledirlo e invece l’ha
benedetto. Lì si era toccato il portafogli, il prezioso scrigno delle orazioni
quotate in Borsa, una cosa che non si fa. Ora, dicevo ci riprova con un libro,
Lussuria, sulle malefatte sessuali di numerosi preti, legioni di preti a dire
la verità, come emerge da una corposa documentazione, che spinti da una
libidine incontenibile si fiondano sugli innocenti e ne fanno strage.
Sessualmente parlando. Come dei killer seriali si appostano, adocchiano le
prede, gettano le reti e pescano degli ignari pesciolini con i quali si
trastullano forti dello scudo papalino. Il disgusto e la pena vanno di pari
passo, tutti siamo indignati, ma ancora di più dovrebbero esserlo i devoti che
non solo dovrebbero provare sdegno ma dare un segnale di ribellione tanto forte
da far tremare l’istituzione nelle sue fondamenta. In realtà, tutto tace, tutto
viene respinto, rimbalza sul muro delle omertà tutte italiche. Queste vicende riferite tanto crudamente
fanno schiumare di rabbia, per il reato in sé e per l’impotenza che si prova
nel sapere che lo scudo dei Patti del Laterano funziona benissimo per
proteggere quelle tonache malate, così si definiscono quei figuri, malate che
solo la preghiera può guarire, non il carcere come spetterebbe di diritto.
Viene da pensare che questi riprovevoli reati, che il Vaticano però tratta come
peccati da emendare con le preghiere e non con il carcere, aumentano in quanto
l’impunità è pressoché totale. Qualcuno potrebbe pensare che per la Chiesa la
lussuria in fondo è poca cosa come vizio capitale, come eccesso non è
paragonabile alla Superbia e all’Invidia, che stanno nei gradoni bassi del
Purgatorio e sono un’offesa primaria al Creatore. E più si sale e meno gravi
sono i peccati. Ad esempio l’Avarizia divide il posto con la Prodigalità e
abita al quinto gradone, la Lussuria invece sta al settimo gradone, l’ultimo, è
il vizio più leggero e che non è molto distante dal Paradiso terrestre, e non
si può dire che il lussurioso non goda di un certo paradiso un po’ equivoco. C’è
pertanto una giustificazione filosofica, ma che non cancella, almeno per chi
vuole vedere con serenità le cose come stanno, l’idea che la Chiesa è forse
l’istituzione più materialista che ci sia, pragmatica fino al midollo nel
difendere immagine e tesori, e che il
suo governo, al riparo da ogni accusa non tollera ombra di libertà, come recita
un famoso verso di un grande poeta romagnolo, Olindo Guerrini, il quale aveva
capito benissimo con quali pesi e con quale misura la Chiesa giudicava chi non
era ossequiente al suo catechismo.
di Ivano Nanni
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