Sull'incontro di venerdì 5 maggio con il filosofo Andrea Colamedici che
ha presentato il suo libro “Il Codice del Mito. Il sogno di Platone e l’incubo
dell’Occidente” edito da Mursia.
Chiunque abbia assistito ieri sera alla presentazione del libro di
Andrea Colamedici, il Codice del Mito, edito da Mursia, esposto nelle sue linee
principali con partecipazione da Giovanni Barberini corre il rischio, se non
gli è mai capitato, di innamorarsi della filosofia. Poco male si può dire, visto che siamo in un
periodo di disamoramento di tutto ben venga un innamoramento improvviso come un
temporale a sconvolgere una vita spesso compresa tra un commento sui social e
una grandinata di immagini televisive per lo più indecenti. Disamorati della
politica in primis, della lettura, della scuola, del lavoro (e come si potrebbe
amarlo?) e di tutto quello che presuppone un qualche sforzo di comprensione, si
procede senza guida in mezzo alla confusione di messaggi e immagini piatte seguite
da parole sbiadite dall’abuso frequente e fuori luogo. L’invito a coltivare
qualcosa di esotico come la filosofia sembra appartenere allo stesso genere di convinzione
che ha un giardiniere di fare crescere un baobab in serra un progetto da
sostenere senza dubbi per la forza racchiusa in questa utopia. Si detesta lo
sforzo e si predilige la facilità, la scorciatoia, i Bignami culturali vanno
forte, gli usa e getta della riflessione sempre di più, la filosofia del relax
è più che mai un successo.
Ebbene, a mio avviso, il messaggio che è partito
durante la presentazione, e non entro nel cuore degli argomenti degni di un
seminario articolato in sei mesi tra prove scritte e orali, è di quelli che garbatamente
invitano a sconvolgere la propria vita con riflessioni sui temi platonici
dell’esistenza, dell’apparenza dell’essere e delle sue sfaccettature, e dell’anima,
e coinvolgere in un’avventura che può portare a una scoperta felice per i
propri sentimenti messi a nudo, quindi non proprio una lettura intesa come
scaldaletto invernale. Una rivelazione, in fondo, cioè quella di vedere
modificata la propria vita da un’illuminante parola che indaga sul mistero
dell’esistenza. Forse lo studio, non matto e disperato, non siamo Leopardi, non
approderà a nulla eppure avrà rimesso quella pulce nell’orecchio a qualcuno, a
pochi naturalmente, ma felici di esserlo, come gli happy few di Enrico V che
impavidi giungono alla fine della battaglia feriti ma vittoriosi con onore.
Platone sosteneva che prima dei cinquanta non si potesse esercitare la nobile
arte della filosofia ma solo studiare e senza nessuna aspettativa, per cui
questo libro è dedicato ai giovani volenterosi e senza aspettativa (i più saggi
hanno già capito che non ne hanno), e a quelli più vecchi, ultracinquantenni
che sperano che Platone si sbagli e che abbia ragione Socrate e Gramsci quando
diceva che tutti sono intellettuali e che tutti possono filosofare.
di IVANO NANNI
di IVANO NANNI
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