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sabato 6 maggio 2017

"Un inno alla gioia" di IVANO NANNI

Sull'incontro di venerdì 5 maggio con il filosofo Andrea Colamedici che ha presentato il suo libro “Il Codice del Mito. Il sogno di Platone e l’incubo dell’Occidente” edito da Mursia.

Chiunque abbia assistito ieri sera alla presentazione del libro di Andrea Colamedici, il Codice del Mito, edito da Mursia, esposto nelle sue linee principali con partecipazione da Giovanni Barberini corre il rischio, se non gli è mai capitato, di innamorarsi della filosofia.  Poco male si può dire, visto che siamo in un periodo di disamoramento di tutto ben venga un innamoramento improvviso come un temporale a sconvolgere una vita spesso compresa tra un commento sui social e una grandinata di immagini televisive per lo più indecenti. Disamorati della politica in primis, della lettura, della scuola, del lavoro (e come si potrebbe amarlo?) e di tutto quello che presuppone un qualche sforzo di comprensione, si procede senza guida in mezzo alla confusione di messaggi e immagini piatte seguite da parole sbiadite dall’abuso frequente e fuori luogo. L’invito a coltivare qualcosa di esotico come la filosofia sembra appartenere allo stesso genere di convinzione che ha un giardiniere di fare crescere un baobab in serra un progetto da sostenere senza dubbi per la forza racchiusa in questa utopia. Si detesta lo sforzo e si predilige la facilità, la scorciatoia, i Bignami culturali vanno forte, gli usa e getta della riflessione sempre di più, la filosofia del relax è più che mai un successo.
Ebbene, a mio avviso, il messaggio che è partito durante la presentazione, e non entro nel cuore degli argomenti degni di un seminario articolato in sei mesi tra prove scritte e orali, è di quelli che garbatamente invitano a sconvolgere la propria vita con riflessioni sui temi platonici dell’esistenza, dell’apparenza dell’essere e delle sue sfaccettature, e dell’anima, e coinvolgere in un’avventura che può portare a una scoperta felice per i propri sentimenti messi a nudo, quindi non proprio una lettura intesa come scaldaletto invernale. Una rivelazione, in fondo, cioè quella di vedere modificata la propria vita da un’illuminante parola che indaga sul mistero dell’esistenza. Forse lo studio, non matto e disperato, non siamo Leopardi, non approderà a nulla eppure avrà rimesso quella pulce nell’orecchio a qualcuno, a pochi naturalmente, ma felici di esserlo, come gli happy few di Enrico V che impavidi giungono alla fine della battaglia feriti ma vittoriosi con onore. Platone sosteneva che prima dei cinquanta non si potesse esercitare la nobile arte della filosofia ma solo studiare e senza nessuna aspettativa, per cui questo libro è dedicato ai giovani volenterosi e senza aspettativa (i più saggi hanno già capito che non ne hanno), e a quelli più vecchi, ultracinquantenni che sperano che Platone si sbagli e che abbia ragione Socrate e Gramsci quando diceva che tutti sono intellettuali e che tutti possono filosofare.
di IVANO NANNI

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