Sull'incontro di lunedì 15 ottobre con Giuseppe Ayala e il suo libro"Troppe coincidenze".
Dopo le stragi del 92 la macchina da guerra del pool si fermò. Sono emblematiche le immagini sconsolate e le parole di Caponnetto dopo la morte di Falcone quando disse: “ È finito tutto “ e non lo disse travolto dall'emozione ma con la ragionata e cosciente sfiducia nel dopo. Nel 93 arrivarono le stragi di Milano, Firenze, e Roma, non attuata per una coincidenza fortunata. Nel 94 i timer delle bombe vennero azzerati, tutto di fermò. Iniziò un lungo periodo di pax mafiosa, coincidente con la vittoria politica di un partito aziendale.
Dopo le stragi del 92 la macchina da guerra del pool si fermò. Sono emblematiche le immagini sconsolate e le parole di Caponnetto dopo la morte di Falcone quando disse: “ È finito tutto “ e non lo disse travolto dall'emozione ma con la ragionata e cosciente sfiducia nel dopo. Nel 93 arrivarono le stragi di Milano, Firenze, e Roma, non attuata per una coincidenza fortunata. Nel 94 i timer delle bombe vennero azzerati, tutto di fermò. Iniziò un lungo periodo di pax mafiosa, coincidente con la vittoria politica di un partito aziendale.
C'è ancora molto da
spiegare sulle relazioni politico criminali che hanno represso nel sangue
l'attività del pool antimafia voluto da Antonino Caponnetto dopo la morte del
giudice Rocco Chinnici. La percezione che si aveva vent'anni fa, era che
l'azione di alcuni magistrati fosse finalmente efficace per reprimere e
smantellare le organizzazioni criminali che parevano invincibili.
È inutile nasconderselo,
sono troppe le oscurità, le zone d'ombra
inquietanti che negli anni non hanno trovato soluzione, e sono molti i punti di
fuga che un evento criminale lascia dietro le spalle. Le schegge delle
esplosioni con cui si sono azzerati i vertici delle investigazioni sono
conficcate dolorosamente nella memoria di ognuno di noi. La sensazione di
trovarsi, dopo la morte di Falcone e Borsellino in una terra desolata, nel
pieno di una guerra, senza possibilità di arginare una tracimante criminalità
era, ed è palpabile come la paura per il dolore subito e la vergogna per lo
sprofondare del vivere civile in una nebulosa di relazioni inquinate dalle mafie come dimostrano anche adesso, gli
incroci pericolosi tra politica e criminalità.
“ L'Italia è un paese
bellissimo e incivilissimo...” La
citazione di Stendhal decide del nostro carattere italico, promiscuo e dai
tratti ferini, che non fa coincidere vivere civile con la bellezza e la grazia
di ciò che ha prodotto. Coesione sociale e politica richiedono secoli di
cultura dello Stato che il nostro individualismo e anarchismo non tollera.
Mario Soldati scrive, in
un racconto del 1955, dal titolo il Vino di Carema: “...ma in Francia e in
Inghilterra, da secoli e non soltanto per vini e liquori, esiste un ponte tra
società e individuo, una società organizzata, una gerarchia del costume. La
nostra civiltà è anarchica, scontrosa e ribelle...”.
È evidente che se nessuno
rinuncia “ ad essere se stesso “ a “ esprimersi “ sempre e ovunque e comunque,
ogni tentativo di costruire qualcosa in cui riconoscersi tutti quanti, viene
sabotato da particolarismi di partito, municipalismi esaperati, vanità
personali, egocentrismi spaziali, impotenza a progettare il bene comune, in
una latitanza politica ottusa che è la
vergogna di una classe dirigente che non sa prevedere le conseguenze delle sue
decisioni, che non ha una visione del futuro, che è impotente e
rinunciataria.
“Purtroppo si deve
convivere con la mafia...”.
Pietro Lunardi ci
informò, da ministro della Repubblica, di qualcosa che si intuiva ma non si
diceva, e cioè della “ organicità “ della mafia. Egli suggerì che non solo
c'era un fil rouge tra politica e mafia,
ma la mafia era parte integrante dello Stato e che si doveva convivere non
essendo possibile espellerla. Beppe Grillo ribadisce questo concetto
travisandolo in modo paradossale quando afferma che sono i politici ad avere
infiltrato la mafia mettendo su un piano inclinato di deriva sociale sia i
politici che i mafiosi, in pratica dicendo la stessa cosa di Lunardi. È un
sentire comune.
La mafia concepita come
organismo non estraneo allo Stato è ammessa, per dato storico provato, e
Giuseppe Ayala ci informa di questo particolare non irrilevante, già al momento
della costituzione dell' Unità d'Italia. In quel preciso momento due entità
uguali e contrarie hanno cominciato a saldarsi generando nel tempo quel deficit
di legalità che è la ragione principale delle nostre ingiustizie presenti.
È questa la concidenza
più profonda, a mio parere, probabilmente la madre di tutte le coincidenze. La
saldatura di positivo e negativo. È in
questo caso una coincidenza molto particolare, ovvero, questa unione
intollerabile toglie di mezzo l'dea che
le mafie siano un corpo estraneo alla società. L'ombra non esiste più.
Dunque, annullata questa differenza, si forma una
nuova figura, socialmente e
antropologicamente nuova, formata dalla fusione di positivo e negativo
insieme. Non c'è più il bene concreto ( lo Stato ) e la sua ombra (
l'antistato ), ma un perfetto assemblaggio di entrambe le parti costituenti una
paradossale immagine: una sorta di mostro, o di entità metafisica, che dobbiamo
temere per la sua invulnerabilità; come
vampiri, le mafie, si sono ben adattate alla luce del giorno. Si cancella in
questo modo l'idea che le mafie siano un
virus letale delle istituzioni. Non c'è più virus, il parassita e l'ospite
stanno insieme in una sola terribile figura. Quadro davvero sconsolante che si
precisa in una domanda. Come è possibile, se è vero che le mafie sono organiche
allo Stato, sbarazzarsi della mafia senza sbarazzarsi dello Stato? Chi potrà
svolgere questo lavoro?
Ho sempre pensato che
l'attività del magistrato fosse, con rispetto parlando, simile a quella
dell'operatore ecologico, con tutta la nobiltà che comporta occuparsi dello
smaltimento dei rifiuti per la società.
Forse sono rimasti solo i
magistrati, come sembra suggerire Ayala, a indicare come bonificare una società corrotta, non
solo reprimendo ma sopratutto prevenendo l'azione prima che si trasformi in
danno conclamato. Ma per fare questo, forse, occorre prima separare di nuovo la
figura, dalla sua ombra.
di Ivano Nanni
di Ivano Nanni
Nessun commento:
Posta un commento