Maria Jatosti è stata ospite
del Caffè Letterario di Lugo venerdì 22 novembre per presentare il suo romanzo
"Il confinato" edito da Stampa Alternativa.
La testa incappucciata, la figura intabarrata nella lunga
palandrana nera che ne accentua l’altezza, l’uomo procede tutto sporto in
avanti, assecondando il ritmo dell’andatura: la gamba sinistra strascicata sul
lastrico produce un rumore regolare. Yehoyakim, è questo il suo nome, sosta un
attimo a tirare fiato, poi riprende la marcia: spinto avanti il piede destro,
scandisce, ora solo mentalmente e ora a mezza voce, il proprio nome;
Yehoya-kìm, Yehoya-kìm, Yehoya-kìm , staccando l’ultima sillaba – kim –
sull’eco della quale trascina il piede sinistro. L’esercizio e l’ansia gli accorciano
il respiro. L’avemaria è vicina e la strada davanti a sé molto lunga. Ancora
una volta i custodi gli sbarreranno l’ingresso. “Sempre in ritardo, vecchio
usuraio con quella gam-ba matta in giro a succhiare il sangue dei cristiani”...
La bocca storta in una smorfia di disgusto, l’uomo si cala il cappuccio fino
agli occhi. Deve farcela, prima che quelli gli chiudano in faccia il portone.
Yehoya-kìm, Yehoya-kìm, Yehoya-kìm, riprende, monotonamente. E’ un bene che gli
abbiano imposto quel nome così lungo: a chiamarsi Yoel, come suo fratello, non
avrebbe mai potuto regolare il passo sciancato a quella velocità. Tutte le
fortune, Yoel, per cominciare, da medico non era obbligato a portare lo
sciamannino, l’umiliante marchio giallo cucito sul cappello o sul lato sinistro
della gabbana, al posto del cuore. E della borsa. La mano gli va istintivamente
sotto l’imbottitura, dove tiene il sacchetto con le somme riscosse. Sorride.
Bene ha fatto la sua Chanah, previdente e saggia, a cucirgli quella tasca
segreta. Il suono delle monete gli dà slancio e confidenza. Oggi gli è andata
alla grande: tra prestiti e affitti ha messo insieme un discreto gruzzolo.
Sbircia di sotto in su il cielo. Sta scendendo la nebbia: fine e liscia come
una coperta di lana spagnola rende tutto ugualmente opaco e indistinto alla
vista. La mole massiccia dell’Uguccione gli si para dinnanzi improvvisa, ma
senza paura. L’odore dei capperi che fioriscono sui bastioni gli allarga le
narici. Yehoyakim ama quell’odore che ora si impasta con quello di nebbia e di
legna bruciata nei focolari. Da ragazzini con Yoel raccoglievano manciate di
frutti piccoli e tondi da barattare con qualche biscotto di beridde o una
mappatella di bruscolini salati. Yehoyakim ama ogni cosa di quella città dove i
suoi avi, partiti dalla Spagna prima e poi da Ancona, da ormai quasi un secolo
si sono impiantati senza drammi e soverchierie, grazie alle condotte
lungimiranti dei duchi di Ferrara. Tutto gli è familiare: dai portici alla
rocca, dalla sinagoga, al Limite, all’Arco Clementino, dalla vivace gazzarra
della Fiera, al chiasso dei mercati del mercoledì, dal Paviglione alla tetra
sagoma dell’Ospedale degli Infermi...
L’echeggiare dei rintocchi di una campana lo distoglie
momentaneamente. L’aria umida e stillante della sera gli sta penetrando nelle
ossa. Rabbrividendo, si stringe nel-la gabbana. Yehoya-kìm, Yehoya-kìm,
Yehoya-kìm riprende a borbottare, riannodando il filo dei pensieri. Le cose si
erano messe male con le bolle papali. E così addio privilegi, addio convivenza civile.
Dall’avemaria serale all’avemaria del mattino, portoni e cancelli chiusi, tutti
dentro, tutti insieme, raggruppati, separati, città nella città, giù in fondo
alla via Codalunga... Il selciato gli si fa a un tratto più duro. Sconnesso.
Yehoyakim mette un piede in fallo: Azzo Azzo Obizzo e Butoldo! impreca
infuriato contro la malasorte e la vista incerta. La mano corre all’interno
della gabbana a cercare come sempre conforto nel tinnio argentino delle monete.
Placato l’affanno e il battito precipitoso del cuore, Yehoyakim si fa animo e
si rimette in piedi. Troppo tardi, tuttavia. Un ultimo sforzo, un pelo, si dice
rassegnato, e ce l’avrebbe fatta senza incappare di nuovo nei rigori della
guardia cristiana. Toc toc toc: le nocche ossute contro il buio del portone...
Toc toc toc... La voce gentile ma insistente. Sveglia! E’
tardi!
Il quadrante luminoso segna otto e trenta. Il regionale dei
pendolari è alle dieci in punto. Alzarsi, fare la doccia, chiudere la valigia,
scendere per una imperdibile colazio-ne: una scommessa. La notte è stata
difficile: sonno turbato intermittente, sogni con-fusi, farraginosi.
Fantasmi... Colpa delle escursioni storico-letterarie a tavola o del ge-neroso
vino locale o delle ghiotte pietanze rinascimentali o, infine, delle letture
tardive prima di spegnere la luce... Forse.
Cercò di evocare qualche immagine, estrapolandola dalla massa
gelatinosa dello strascico del sogno. Figure diverse emergevano a flash a
schegge mentre il getto quasi freddo della doccia le sferzava il corpo ancora
caldo del grande letto napoleonico. Donne: l’una, poco vestita, penna d’oca in
mano, aria spudorata, da “mistress to an Age”; l’altra, rassicurante,
soavemente mesta, sapiente e virtuosa, amica delle lettere e delle arti, e
attorno a lei il ciuffo di Byron, il crine fulvo di Foscolo, la fronte grave di
Monti, lo sguardo tagliente del Canova, l’ombra difforme di Leopardi: figure di
uomini, folle di uomini sedotti, affascinati dalla bella contessa...
Il caffè è ottimo, snebbia la mente.
Sbrigati, il treno non aspetta.
Un ultimo sguardo al salotto segreto con il caminetto e lo
stemma gentilizio... Poi il congedo squisito, perfetto dei “nostri”... Le
firme, gli omaggi, i progetti, le promes-se...
Piove. Fa freddo. Lei ha lasciato la giacca impermeabile nella
macchina di Loriano, ieri sera, e non ha ombrello. Niente passeggiata turistica
per la città. Rincantucciata nel sedile, attillata nel piumino nero,
provvidenziale omaggio della sorridente ospite patrizia, scruta dal finestrino
bagnato la nobile armonia dei palazzi settecenteschi, le belle logge di ferro
battuto, i portoni neoclassici, i fregi ducali, e l’ala-obelisco bianca, dietro
l’ombra massiccia dell’eroe dell’aria, le appare improvvisa e incongrua come un
grido, un indice puntato al cielo corrusco di lampi.
A Bologna, dicono, c’è il sole: il viaggio continua.
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