Osvaldo Guerrieri è stato ospite del Caffè Letterario di
Lugo mercoledì 11 dicembre per presentare
il suo saggio "Col diavolo in corpo" edito da Neri Pozza.
Lugo non è città di transito, Lugo è meta. Mi ha accolto in
un giorno soffice di nebbia e mi si è svelata un poco alla volta, senza
sfacciataggine. Mi ha attratto con un’insegna, quella del Caffè letterario, e
il Caffè mi si è offerto come fosse un’oasi nel deserto. Non che Lugo sia un
deserto. Tutt’altro. E’ gremita di uomini, di cose, di memorie. Mostra con
comprensibile orgoglio il “Pavaglione”, sotto il cui porticato i commerci hanno
dettato legge per qualche secolo; custodisce come un bene di famiglia il
monumento a Francesco Baracca, che sarà un pochettino enfatico, ma è entrato
nella sensibilità di ciascuno con il punto esclamativo della sua ala rivolta al
cielo come un’invocazione o una sfida.
Tuttavia l’idea che il Caffè sia un’oasi non si lascia scacciare.
Poiché ha a che fare con il libro, l’oasi dovrebbe essere
tutta mentale. Invece non è così. E’ vero: al Caffè letterario si discutono
romanzi e saggi, si analizzano scritture, rimbalzano idee e visioni del mondo.
Ma il Caffè letterario è anche sostanza concreta. E’ accoglienza e incontro, è
il “punto G” di una comunità che sembra darsi appuntamento anche per riflettere
su se stessa e ricordare se stessa. E’ questa l’impressione che ne ho tratto. E
poiché ci troviamo a vivere in una dimensione così frantumata e spesso
frastornata, i Lughesi sembrano considerare il Caffè letterario un luogo di
costruzione o di ricostruzione. Certamente sarà merito di chi, nel corso degli
anni, ha dato identità alla manifestazione e vi ha profuso energia e passione,
ma il merito forse andrà condiviso con chi accorre, ascolta, partecipa senza
temere di mettersi in gioco. E’ questo raro intreccio che giustifica l’oasi. E’
per questo motivo che si lascia Lugo con il desiderio di tornarvi. Prima o poi.
di Osvaldo Guerrieri
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