Sull'incontro di sabato 31 maggio con
la scrittore Cristiano Cavina che ha presentato il suo romanzo “Inutile Tentare
Imprigionare Sogni” edito
da Marcos y Marcos.
Ora,
io non voglio che si creda che sottovaluti l’autore di cui andrò a scrivere di
seguito. Nelle mie recensioni provo sempre a tirare fuori degli aspetti che mi
appaiono evidenti del libro, della serata o dello scrittore di cui propongo
delle analisi e giuro d’averlo fatto anche nel caso di Cavina che alla libreria
“Alfabeta” ha presentato il suo ultimo lavoro “Inutile tentare imprigionare
sogni”. Il titolo originario doveva essere “Inutile tentare istruire scemi”,
acronimo dell’ITIS, prima di Faenza e poi di Imola, teatro della storia narrata
che è poi resoconto dell’adolescenza studentesca dell’autore, ma gli editori
hanno evidentemente puntato su qualcosa di più poetico.
Ho
pensato al Vamba di Gianburrasca, unico testo che affronta il mondo della
scuola con freschezza e leggerezza come fa l’autore romagnolo, provando a
raccontare non solo la tristezza, ma anche le situazioni comiche e ludiche di
cui la scuola è piena e forse qui mi sarei dovuto fermare nelle associazioni
letterarie. Però in Cavina, insieme agli aspetti goliardici ed umoristici, non
mancano sfaccettature nostalgiche e tenere che avvicinano in alcune pagine
l’autore ad una letteratura più ricercata. M’è allora venuto in mente Proust;
certo Casole non è il Faubourg Saint-Germain, e Ubaldo ha tutt’altre ambizioni
rispetto a Marcel, e gli anni ottanta in Italia non sono l’inizio del Novecento
a Parigi, e…Niente, Proust credo sia troppo, lo ammetterebbe anche l’autore che
cita in un passaggio quello delle antologie scolastiche delle madeleine. Raccontando
di una precedente conferenza insieme ad uno scrittore più affermato ed
esponendo le tecniche ed i metodi di scrittura posti in comparazione è Cavina
stesso a mostrare delle differenze. Ci sarebbe l’ “Agostino” di Moravia, come
si suggerisce durante la presentazione del libro, ma mentre da un lato Moravia
è più strutturato e più letterato, Cavina fornisce ad i suoi personaggi, per
scelta e per spontaneità di stile, un linguaggio adolescente e giovane che è
quasi oltre il parlato, pulito e fresco e semplice.
Le
ragioni per cui scrive il Cavina sono indubbiamente meritorie; quel desiderio
di salvare la “periferia della periferia” di cui si parla solo per fatti di
cronaca nera senza mai raccontarne l’umanità, la forte vena nostalgica, i
colori acquarello di alcune pagine di “Romagna mia”, il bisogno di comunicare
un sincero affetto, quasi un amore per parenti o amici o familiari, che, per
una traccia etnica e culturale nella Romagna cui l’autore appartiene è ben
difficile esprimere in maniera diretta nella vita reale e per cui è necessario
il filtro ed il medium del libro perché venga alla luce. C’è una critica alla
critica continua dell’ambiente scolastico, che non formerebbe più a detta di
molti e che invece, dice chiaramente Cavina, nulla può contro le richieste e le
“politiche” interne al nucleo familiare. Ma non c’è mai conflitto nelle pagine
del libro, neanche nelle scazzottate occasionali o nei “giochi” tra ragazzi” ma
sempre l’intenzione di sottolineare la solidarietà e l’affetto che lega non solo
compagni di scuola, ma anche membri di una famiglia o generazioni differenti
tra loro. Ci sono riflessioni crude sull’utilità della scuola nell’insegnare
che il mondo non è “per qualcuno” ma sempre “contro qualcuno”.
I
tratti seri, quindi, nel testo non mancano, ma si nascondono come imbarazzati,
come se l’autore non si sentisse quasi degno di dire la sua, utilizzando certi
toni, in merito a certi argomenti ed allora ci si scherza su, mentre si
presenta il libro e mentre se ne raccontano frammenti: il “magari” sotto la
sagoma della donna sulla porta dei bagni in un istituto frequentato da soli
ragazzi, l’iscrizione all’industriale ad opera della madre e, come per uno
Scajola ante-litteram, “all’insaputa dell’interessato”, la scelta della vita
solo di piani B, tutti ugualmente fallimentari, il ricordo di compagni di
scuola che al primo anno di liceo si presentano con la patente, la passione per
i professori, studiati nel loro dedicarsi più o meno insegnamente al proprio
lavoro, le biografie grottesche dei docenti, degli studenti, degli alunni, e di
chiunque si movesse tra casa e scuola e tanti altri ancora sarebbe gli esempi
da presentare.
Belli
comunque gli anni di scuola, si sente che è vero il ricordarli di Cavina, una
persona normale, che fa una vita normale, che raccoglie e salva memorie, che è
vecchio e giovane insieme nel parlarne. È davvero difficile trovarci della
letteratura nell’opera del Cavina, ma c’è una tale gioia di vivere, tanto la
felicità quanto i dolori che la vita ci offre nel suo raccontare, che non
dispiace affatto che ci sia chi ancora racconta come fosse in riva al mare o
seduto di fronte alla porta di casa con amici e pietre che si conoscon da anni,
anzi, fa quasi piacere pensare con Rimbaud, che sia quasi un bene che tutto
vada e venga regalato così, almeno per una volta che “l’arte sia completamente
inutile”.
di Vittorio Musca
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