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martedì 30 ottobre 2018

"Differenze oniriche" di IVANO NANNI


Sull'incontro di lunedì 29 ottobre con l'artista Cesare Reggiani che ha inaugurato la sua mostra pittorica "Daimon".

La mano dell’uomo faber immette elementi lineari, squadrati, entro una cornice che rivela una natura tracciata da poche linee essenziali. Contemplazione e aspettativa, geometrie e natura: quello di Reggiani appare come un esotismo onirico che rimanda a tratti di prosa borgesiani, reperti di Conrad, come è stato detto giustamente, e forse senza troppo sbagliare, a frammenti di film di Herzog nella sua parte più audace, sul fronte della scoperta, dell’esplorazione in Amazzonia.
Con coerenza il dipinto diviene un teatro di posa nel quale sospesi a un respiro di tempo, impalpabili, restano tracce di umanità. Gli animali osservano i manufatti dell’uomo, e li vivono con stupore come inserti di superfice nel mondo che conoscono, e forse li giudicano, si spera, con l’indulgenza che solo loro possiedono. Queste sono le coordinate dell’arte eclettica di Reggiani emerse nel vitale colloquio con Carmine della Corte che, con sincera ammirazione, ha indicato alcuni importanti capisaldi del lavoro dell’artista. Un incontro, va detto, per pochi intimi, quasi una riunione di famiglia, un incontro tra amici, gli unici incontri ormai possibili in una società sempre più disgregata dove le persone sono corpi solitari immersi in una bolla di detriti semantici, monadi crepuscolari con problemi di afasia. Ecco allora che una possibilità vitalistica è data dall’arte che spinge i corpi a ritrovarsi e le menti a solidarizzare, a farsi comunità, che per quanto piccola e cosciente dei propri limiti coglie le occasioni di andare oltre i diaframmi imposti dalla convivenza di routine. Così, capita, in una serata appena piovosa, di discorrere di metafisica delle immagini. Ma non solo. L’importanza della manualità, l’artigianalità del maestro che lavora sui dettagli dell’opera nella sua bottega aperta agli allievi, è stata evidenziata da Carmine che lambisce, anche e propriamente, il discorso sulla metafisica degli oggetti, sulla sospensione del tempo, sullo stupore animale, sulla presenza/assenza dell’uomo nell’opera. Mentre l’uomo declina, o si nasconde dietro i paraventi geometrici di quinte teatrali, la donna come presenza iconica si innalza con un profilo brillante, distaccato, nel paesaggio bianco di edifici inabitati. Eclettismo e corposa ironia vanno insieme a un umorismo lieve che abbraccia tutta l’opera dell’artista e permane nell’aria tersa dei suoi dipinti. È una collocazione, quella umoristica, che trova riscontro nei passaggi scritti, nei fumetti, e pure nell’editoria minimale e per questo piena di humor dal progetto alla realizzazione. Perfetta questa fusione, questa complementarietà tra il lavoro figurativo e le edizioni cartacee. Si potrebbe dire che è l’arte che continua con altri mezzi. Originale certamente, ora più che mai. Quando lo specifico rischia di diventare prigione, Reggiani coglie il tempo di allontanarsi verso altri lidi, verso altri sogni ed emozioni. Con criterio scientifico addomestica la mano per orientarsi nel labirinto di un nuovo progetto che lo coinvolge. È questo il sicuro segno della reattività all’ignoto in nome di una curiosità mai sopita.



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