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martedì 1 ottobre 2013

"Machiavelli, l'antiutopista" di IVANO NANNI


Sull'incontro di lunedì 30 settembre con lo storico Gennaro Maria Barbuto che ha presentato il suo saggio "Machiavelli" edito da Salerno Editrice.

Nell'ultima pagina del saggio "Machiavelli", di Gennaro Maria Barbuto,  c'è una descrizione mirabile di una tempesta avvenuta nel 1456 che segnò con gravi danni tutta la Toscana. Quell'evento tumultuoso di forze naturali che rovesciano sugli uomini la forza del cielo e della terra e, si sa quanto queste forze possano essere orribili e distruttive, illustra perfettamente la comprensione che Machiavelli ha delle cose terrene e umane considerandole tumulti inevitabili.
La rotta degli argini dei fiumi e le gravi ferite portate alla terra da quegli eventi sono come le rotte delle fazioni politiche che inseguono la vittoria di parte e la conseguente vendetta politica. Le fazioni, mosse da forze ferine e dogmatiche e vilmente interessate non cercano il principio di unità, che è il punto sintetico più alto nel quale i conflitti si dissolvono per il bene della repubblica, non premiano la tensione politica con  leggi liberali ma perseguono l'interesse proprio che si concretizza come prima cosa  nella cacciata dei nemici.
Contro simili soluzioni egoistiche e tiranniche Machiavelli lottò tutta la vita pagando un prezzo eccezionalmente duro che lo isolò dalla vita della città dopo il ritorno dei Medici alla guida di Firenze nel 1512. Fu una fortuna che Machiavelli si ritirasse nella sua tenuta dell'Albergaccio nel contado fiorentino? Per noi certamente sì, se consideriamo che altrimenti non avremmo avuto l'insieme dele sue opere. Per lui certamente no, minato dallo sconforto per essere stato estromesso dalla principale arte che lo interessava, la politica fattiva, che lo aveva preso giovanissimo e verso la quale la vocazione non era mai venuta meno. Forte delle sue competenze non certo da scrittoio, ma provate in campo,  nemmeno trentenne fu nominato segretario della seconda cancelleria. Un evento insolito per un giovane di pochi mezzi, senza laurea, figlio di un dottore in legge senza avvocatura e  con qualche podere nel forese. Cos'era successo perché la sua ascesa fosse stata così irresistibile? Certamente il suo acume e la sua duttile intelligenza critica, la sua attenzione agli eventi politici della sua città lo avevano di fatto elevato a cronista delle vicende politiche che in quegli anni di fine quattrocento intrigavano non poco Machiavelli. E lo intrigava moltissimo la figura di spicco che catalizzava la passione politica dei fiorentini tra il 1494  e i quattro anni successivi, Girolamo Savonarola il  “ profeta disarmato” come lo chiama Machiavelli.
Carducci immagina il giovane Machiavelli, dal volto pallido e dal profilo segaligno, ascoltare il frate tuonare contro la corruzione della Chiesa e spandere il suo verbo per la renovatio civile e umana dal pulpito della chiesa di San Marco a Firenze, e sorridere con sarcasmo, prevedendo giorni infausti per il frate rivoluzionario.
È stato fin troppo facile dipingere il frate domenicano come un'ombra del medioevo che stendeva le sue prediche sulla soglia dei tempi moderni frenandone il progresso. Ed era altrettanto facile vedere in Machiavelli il fautore di una politica senza  gli inciampi di una morale dogmatica, profetica, millenaristica. Ma questo rientra pienamente nella logica del conflitto. È vero che Machiavelli considera Savonarola di parte avversa, un nemico politico da combattere, tuttavia ammira in Savonarola  la capacità di tenere avvinta la sua parte e compattarla verso precisi fini politici con l'ausilio e la forza della religione. Si può dire, credo, con un po' di audacia concettuale, che egli combatteva Savonarola per le stesse ragioni per cui lo ammirava. Si gioca su questo conflitto politico la difficile partita della modernità nella quale l'opposizione dei contendenti ne rivela il loro carattere. Savonarola trova i suoi pulpiti e le sue masse da convertire e senza nessuna prudenza tuona contro i tiranni e la chiesa, d'altra parte Machiavelli, coglie la sua occasione, rispondendo alla richiesta della Curia romana di avere notizie delle predicazioni del Savonarola. Quella lettera, datata 1498, segna il trapasso da quell'artificioso conflitto tra medioevo e modernità e pone le basi per la fortuna politica di Machiavelli almeno fino al 1512, anno della sua disgrazia e della nostra fortuna.
di Ivano Nanni

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