Sull'incontro di lunedì 30 settembre con lo storico Gennaro Maria Barbuto che ha presentato il suo saggio "Machiavelli" edito da Salerno Editrice.
Nell'ultima
pagina del saggio "Machiavelli", di Gennaro Maria Barbuto, c'è una descrizione mirabile di una tempesta avvenuta
nel 1456 che segnò con gravi danni tutta la Toscana. Quell'evento tumultuoso di
forze naturali che rovesciano sugli uomini la forza del cielo e della terra e,
si sa quanto queste forze possano essere orribili e distruttive, illustra
perfettamente la comprensione che Machiavelli ha delle cose terrene e umane
considerandole tumulti inevitabili.
La
rotta degli argini dei fiumi e le gravi ferite portate alla terra da quegli
eventi sono come le rotte delle fazioni politiche che inseguono la vittoria di
parte e la conseguente vendetta politica. Le fazioni, mosse da forze ferine e
dogmatiche e vilmente interessate non cercano il principio di unità, che è il
punto sintetico più alto nel quale i conflitti si dissolvono per il bene della
repubblica, non premiano la tensione politica con leggi liberali ma perseguono l'interesse
proprio che si concretizza come prima cosa
nella cacciata dei nemici.
Contro
simili soluzioni egoistiche e tiranniche Machiavelli lottò tutta la vita
pagando un prezzo eccezionalmente duro che lo isolò dalla vita della città dopo
il ritorno dei Medici alla guida di Firenze nel 1512. Fu una fortuna che
Machiavelli si ritirasse nella sua tenuta dell'Albergaccio nel contado
fiorentino? Per noi certamente sì, se consideriamo che altrimenti non avremmo
avuto l'insieme dele sue opere. Per lui certamente no, minato dallo sconforto
per essere stato estromesso dalla principale arte che lo interessava, la
politica fattiva, che lo aveva preso giovanissimo e verso la quale la vocazione
non era mai venuta meno. Forte delle sue competenze non certo da scrittoio, ma
provate in campo, nemmeno trentenne fu
nominato segretario della seconda cancelleria. Un evento insolito per un
giovane di pochi mezzi, senza laurea, figlio di un dottore in legge senza
avvocatura e con qualche podere nel
forese. Cos'era successo perché la sua ascesa fosse stata così irresistibile?
Certamente il suo acume e la sua duttile intelligenza critica, la sua
attenzione agli eventi politici della sua città lo avevano di fatto elevato a
cronista delle vicende politiche che in quegli anni di fine quattrocento
intrigavano non poco Machiavelli. E lo intrigava moltissimo la figura di spicco
che catalizzava la passione politica dei fiorentini tra il 1494 e i quattro anni successivi, Girolamo
Savonarola il “ profeta disarmato” come
lo chiama Machiavelli.
Carducci
immagina il giovane Machiavelli, dal volto pallido e dal profilo segaligno,
ascoltare il frate tuonare contro la corruzione della Chiesa e spandere il suo
verbo per la renovatio civile e umana dal pulpito della chiesa di San Marco a
Firenze, e sorridere con sarcasmo, prevedendo giorni infausti per il frate
rivoluzionario.
È
stato fin troppo facile dipingere il frate domenicano come un'ombra del
medioevo che stendeva le sue prediche sulla soglia dei tempi moderni frenandone
il progresso. Ed era altrettanto facile vedere in Machiavelli il fautore di una
politica senza gli inciampi di una
morale dogmatica, profetica, millenaristica. Ma questo rientra pienamente nella
logica del conflitto. È vero che Machiavelli considera Savonarola di parte
avversa, un nemico politico da combattere, tuttavia ammira in Savonarola la capacità di tenere avvinta la sua parte e
compattarla verso precisi fini politici con l'ausilio e la forza della
religione. Si può dire, credo, con un po' di audacia concettuale, che egli
combatteva Savonarola per le stesse ragioni per cui lo ammirava. Si gioca su
questo conflitto politico la difficile partita della modernità nella quale
l'opposizione dei contendenti ne rivela il loro carattere. Savonarola trova i
suoi pulpiti e le sue masse da convertire e senza nessuna prudenza tuona contro
i tiranni e la chiesa, d'altra parte Machiavelli, coglie la sua occasione,
rispondendo alla richiesta della Curia romana di avere notizie delle
predicazioni del Savonarola. Quella lettera, datata 1498, segna il trapasso da
quell'artificioso conflitto tra medioevo e modernità e pone le basi per la
fortuna politica di Machiavelli almeno fino al 1512, anno della sua disgrazia e
della nostra fortuna.
di Ivano Nanni
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