Sull'incontro di mercoledì 5 marzo con lo storico Marco Severini
che ha presentato il suo saggio "Dieci donne" edito da Liberi Libri.
La cosa più ingannevole è credere che i vuoti giuridici siano solo
portatori di guasti nel vivere civile, naturalmente questo non è detto, e credo
che ogni certezza in questo senso sia sintomo di un pregiudizio che è bene
perlomeno sfumare nella convizione che a volte l'imperfezione apra le porte a
concezioni civilmente avanzate. Contrariamente a quanto si crede, e non di
rado, nelle pieghe di una smemoratezza, in un' imperfezione giuridica, in una
dimenticanza di legge o in una sua indeterminatezza si insinua una provocazione
che traccia un percorso di civiltà. Questa provocazione venne evidenziata
all'inizio del secolo scorso dall'insigne antropologa e pedagoga Maria
Montessori quando ravvisò nelle grinze di una legge imperfetta la possibilità
per le donne di richiedere il diritto a votare. Ravvisare e proporre il voto
alle donne era una somma provocazione in un paese nel quale,ricordo che siamo
nel 1906, votava circa l'otto per cento della popolazione, sostanzialmente i
nobili, i ceti borghesi e gli intellettuali, mentre tutta l'Italia era
sprofondata nella palude dell'analfabetismo. In un clima di insipienza totale,
le donne per quanto potessero essere minimamente acculturate stavano ancora
peggio dell'ultimo degli uomini, senza alcun dubbio considerate dal punto di
vista politico incapaci di intendere e di volere, se è vero che anche Giolitti,presidente del
consiglio in quegli anni, considerò la vicenda non degna di nota, per non
parlare del Papa che aborriva il voto alle donne come la peste, e avrebbe
preferito che il diavolo entrasse in canonica piuttosto che una donna nel
seggio elettorale.
Ebbene, da un' anomalia giuridica, in questo caso benedetta,
e da una casualità tutta umana, la possibilità del voto alle donne divenne
qualcosa di concreto. Il fatto è questo. La giusta osservazione della
Montessori smosse l'attenzione di alcune maestre marchigiane le quali portarono davanti ai tribunali e alle
commissioni elettorali la loro richiesta di partecipare al voto. Il caso volle,
che a verificare quella richiesta fosse un'illuminato e insigne giurista,
Ludovico Mortara, il quale spoglio da ogni pregiudizio e da ogni emotività,
riconobbe diritto e ragione alle maestre richiedenti. Di una simile sentenza
qualcuno se ne adontò e la giudicò anomala e degna di insulti ma oramai il
solco era tracciato e le maestre ebbero confermato il loro sacrosanto diritto.
Ma la commedia nascondeva nelle pieghe del sipario la beffa estrema. Quello che
fu veramente anomalo e che impedì loro di affermare il loro diritto ad
esercitare il voto fu la singolare lunghezza del governo Giolitti che durò per
circa tre anni e mezzo contro l'abituale durata del governo di allora e ancora
adesso, otto mesi e mezzo circa, cosa che permise al Senato di rivedere tutta
la materia elettorale e rimandare alle calende italiane, che sono peggio di
quelle greche, il voto alle donne. Cosa si può dire in merito a questa vicenda
che ho riassunto a grandissime linee? Che le anomalie specie se giuridiche sono
ambigue e a volte possono essere feconde di evoluzione civile, che le
dimenticanze possono aiutare, che gli uomini vogliono sempre avere ragione, che
le donne dovrebbero governare di più perché con meno testosterone in giro ci
sarebbero meno guerre, e che i governi italiani durano smpre quando non servono
e quando servono sono finiti prima di cominciare.
di Ivano Nanni
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