Vittorio Emiliani è stato ospite del
Caffè Letterario di Lugo venerdì 21 ottobre 2016 per presentare il suo saggio
"Cinquantottini” edito da Marsilio.
La prima volta che venni a Lugo sapevo poco di Gioachino Rossini e delle sue
ascendenze lughesi, ancor meno dei suoi studi del tutto originali presso i
canonici Malerbi. Nella nebbia della sera autunnale mi venne incontro una mole
enorme, inusitata, al centro di un abitato antico: era il Pavaglione, una sorta
di città nella città, di piazza nella piazza, grande mercato dei bozzoli da
seta, centro di aggregazione civile e, sin dall'antico, di attività teatrali.
Più tardi mi ha coinvolto la vicenda del suo Teatro Rossini. Sul
"Giorno", dove lavoravo a Milano, comparve infatti la denuncia di un
gruppo di intellettuali bolognesi e romagnoli, in testa mio fratello Andrea
all'epoca giovane direttore della Pinacoteca Nazionale, i quali reclamavano un
pronto intervento pubblico al fine di evitare la rovina definitiva di quel
prezioso teatro settecentesco trasformato durante il fascismo, se ben ricordo,
in Cinema Impero e poi lasciato decadere. Vicenda risolta da un abilissimo
sindaco il quale, col pretesto di un referendum popolare (forse
provvidenzialmente "dopato" a favore di quel restauro filologico poi
condotto da Pier Luigi Cervellati), diede inizio a Lugo ad una sorta di una sua
"Rossini Renaissance".
Ci sono poi tornato da presidente della Fondazione Rossini di Pesaro accolto in
Romagna dal saluto festoso del grande Augusto Campana che esclamò incontrandomi
per strada: "Finalmente un romagnolo alla presidenza della Fondazione
Rossini!" Lugo, sindaco Maurizio Roi, batté sul tempo Pesaro
nell'occasione del Bicentenario della nascita (1792-1992) di Gioachino da Anna
Guidarini di origine urbinate e da Giuseppe Rossini, detto Vivazza, da Lugo,
"giacobino e repubblican vero",
organizzando nel dicembre 1991 un bel concerto con le opere infantili
del Nostro nella edizione critica curata dal musicologo ravennate, il
bravissimo Paolo Fabbri.
A Lugo ho sentito di recente chiamare Gioachino "il nostro
concittadino". Tutti sanno quanto aspra sia stata in passato la disputa in
proposito fra Lugo e Pesaro. Secondo il noto letterato Giulio Perticari,
emigrato dalla natia Savignano sul Rubicone a Pesaro, era il sangue paterno a
decidere e in questo caso c'erano addirittura il sangue del babbo e del nonno,
entrambi lughesi, entrambi suonatori di tromba squillante. Ma decisiva a me
pare soprattutto la prima e fondamentale educazione musicale che il bambino,
precocissimo, ricevette a Lugo dai due canonici, Giuseppe e Luigi Malerbi, il
primo accademico di Santa Cecilia a Roma e il secondo componente dei
Filarmonici di Bologna, l'uno didatta severo, l'altro maestro di stravaganze e
di frivolezze (in città lo avevano soprannominato "monsignor Bilino")
che fece posare al bambino le dita sul musicalissimo organo del veneziano
Gaetano Callido, organaro dei più inventivi, tuttora nella chiesa del Carmine.
Il fatto fondamentale è che questi due musicisti lughesi avevano nella loro
biblioteca non soltanto la tradizione italiana, ma Bach, Haendel, Gluck, e
soprattutto Mozart e Haydn, ancora vivente, dai quali il decenne Gioachino
bevve avidamente i primi essenziali nutrimenti divenendo "il
tedeschino", come lo chiamò al Liceo Musicale di Bologna, padre Stanislao
Mattei, o "il musicista italo-alemanno" come lo definirono a Napoli i
critici delle gazzette. Un tratto distintivo che fa di Rossini il più colto dei
grandi del nostro melodramma, capace di comporre, oltre tutto, in un solo anno,
il 1813, a ventun'anni, due capolavori: uno serio, "Tancredi", e
l'altro follemente comico, "Italiana in Algeri". E parlo del solo
1813. Con smaglianti orchestrazioni. Insomma Lugo ha pienamente diritto di
considerare anche "suo" Gioachino Rossini e forse dovrebbe fare
qualcosa di più, dal punto di vista scientifico, per valorizzarne la memoria,
magari partendo proprio dai canonici Malerbi, dall'austero Giuseppe e da
"monsignor Bilino", Francesco suo fratello.
E poi non sorge tuttora ancora vicina a Lugo, in territorio di Ravenna, la mole
villica e rurale del Conventello all'epoca di proprietà dei ricchi commercianti
di granaglie Triossi, dove il dodicenne musicista, senza aver ancora ricevuto
una lezione di composizione e di basso continuo, compose in pochi giorni le sei
Sonate a quattro? Che eseguì con un quartetto un po' anomalo, cioè senza viola:
Agostino Triossi, al contrabbasso, lui e uno dei fratelli Morini al violino e
l'altro Morini al violoncello. "E io ero il meno cane dei tre,,,",
commentò con ironia da vecchio quando gli sottoposero quelle Sonate del 1804. A
lungo sconosciute o sottovalutate, esse, ormai da anni, corrono per il mondo,
incise anche da Herbert von Karajan ed eseguite con frequenza da Salvatore
Accardo, riecheggiando motivi e armonie di Mozart e Haydn. Grazie ai Malerbi,
grazie all'accogliente Lugo.
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