Sull'incontro con ARNALDO BENINI di lunedì 15 marzo
Dalla scienza sempre e solo delusioni. Ieri sera la bellissima lezione di Arnaldo Benini, sulle ultime frontiere delle neuroscienze alla scoperta dei meccanismi che regolano il funzionamento del nostro cervello, ha riconfermato la regola. Eh si, ancora brutte notizie. Riassumendo in soldoni, sembra che il nostro cervello non sia quella macchina meravigliosa attraverso la quale percepiamo il mondo e lo modifichiamo con la nostra capacità di volere e di agire; ma sembra piuttosto un meccanismo assolutamente imperfetto, assemblato con materiali scadenti e che funziona in maniera automatica e casuale. Da qui la naturale conseguenza che noi “non facciamo quello che vogliamo, ma vogliamo quello che facciamo”, con tanti saluti al libero arbitrio e all’idea di essere ognuno artefice del proprio destino. Insomma anche questa volta la scienza ci tratta malissimo. Cosa che del resto ha sempre fatto a partire dai suoi esordi. La nascita del pensiero scientifico è contemporanea all’abbandono della visione tolemaica del cosmo e all’affermarsi della visione copernicana che tanto per cominciare dal centro della creazione ci sposta in una periferia dell’universo che man mano con il passare degli anni e il progredire delle scienze cosmologiche diventa sempre più anonima e insignificante. Duecento anni dopo, altra tegola micidiale. Pare che non siamo stati direttamente creati a immagine e somiglianza di un Dio onnipotente e più o meno misericordioso, ma che siamo il frutto di un evoluzione, che partendo da un brodino primordiale di aminoacidi, attraverso infiniti passaggi tra amebe, ornitorinchi e scimmie sia arrivata all’homo sapiens-sapiens. Ora dalle neuroscienze arriva quest’altra bomba che al confronto, fa parere le prime due rivoluzioni scientifiche dei piccoli petardi da ragazzi. In effetti, al trasloco dal centro dell’universo alla sua lontana periferia, dopo un iniziale disorientamento, cosa del resto naturale in tutti i traslochi, ci siamo abituati. In fondo abitare in centro non è poi così importante. Per quanto riguarda invece la teoria dell’evoluzione darwiniana ci siamo detti; be’, dopo tutto, troppo facile essere stati creati così da un po’ di fango mischiato a qualche sospiro divino. Roba da prestigiatori. Invece pensare di essere il frutto di milioni di anni di evoluzione ci ha fatto ipotizzare a un “disegno intelligente” che attraverso misteriose vie, imperscrutabili al nostro occhio umano, abbia dato per risultato la nascita della nostra specie eletta e intelligente sopra tutte le altre creature del mondo. Ma adesso? Se è vero quello che le neuroscienze stanno scoprendo del nostro cervello la cosa si fa gravissima e forse irrimediabile. Intanto, come dice Benini, il nostro cervello “lontano dall’essere un miracolo della natura, appare piuttosto il risultato di un assemblaggio fortuito di cellule lente e arcaiche che ha portato a un marchingegno di materiali scadenti, male assortito, complicato e fragile”. Ma quel che è più grave è che questo improbabile marchingegno è comandato da casuali impulsi elettrochimici che non dipendono affatto da una nostra reale volontà, trasformando così la nostra umana schiatta in una massa di burattini violenti in balia del caso. Insomma un bel quadretto niente male per chi era partito dal centro dell’universo, creato a immagine a somiglianza degli dei e con la libertà di scegliere non solo il proprio destino ma addirittura tra il bene e il male e ora pare invece che non sia in grado di scegliere neanche fra le caramelle alla liquirizia o alla menta. C'è poco da stare allegri ragazzi, siamo proprio una ciurma alla deriva e se tutto questo fa parte di un disegno preordinato mi pare che sia più corretto definirlo “demente” che “intelligente”. E così la scienza ci bastona ancora. “All’apparir del vero tu misera cadesti” diceva Leopardi. Non ci rimane che un’unica consolazione, che è quella, nonostante tutto, di continuare a cercare di capire come funziona il mondo che ci è toccato in sorte, perché sempre come diceva il grande Giacomo “che conosciuto, ancor che tristo,/ Ha suoi diletti il vero. E se del vero/ Ragionando talor, fieno alle genti/ O mal grati i miei detti o non intesi,/Non mi dorrò, …"
di Claudio Nostri
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