Sull'incontro di mercoledì 18 gennaio con Pietro Gabici e il suo libro "Un prete e un cane in Paradiso" dedicato a Don Fuschini
Epitaffio
Il pennino di don Fuschini scricchiolava sulla carta rapido e preciso, raccontava di un piccolo mondo ora scomparso con le parole che la sua vocazione a latere gli imponeva, con il garbo e l'ironia di chi raccoglie attorno al fuoco dei pensieri le piccole epifanie della terra, contadini e braccianti, gente umile descritti da parole sommesse e impreziosite da un lessico scopertemente vicino a una sperimentazione che allunga la mano sul latino e sul dialetto, dove le invenzioni illuminano la piccola canonica con il lume della poesia. Questa luce troppo forte per rimanere chiusa nello studiolo di un prete, camminò per i viottoli di campagna e sparse il suo fulgore nel cuore stesso della terra, poi proseguì e prese vie più larghe, e arrivò su, in alto, dove l'aria è più rarefatta e i pensieri hanno la cornice del Cupolone. Il pennino di don Fuschini scricchiolava sulla carta e si piegava alle parole che il cuore gli dettava come una canna palustre, cresciuta come lui, selvatico come una beccaccia sull'argine del fiume in quella terra di confine che sta tra la Romagna e il Ferrarese; figlio di un fiocinino, qualcosa di quel mestiere gli rimase addosso, non prese in mano la fiocina e il remo per infilzare anguille ma si fece prete e scrittore per pescare anime e infilzare racconti. Intinse spesso la penna nella pece della polemica anticomunista che temperò con l'oro dei suoi vangeli, rimase fedele alla sua vocazione, doppiamente solitario perché prete e perchè scrittore.
di Ivano Nanni
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