Sull'incontro di lunedì 17 dicembre
con Daniele Novara e il suo libro “La grammatica dei conflitti. L’arte
maieutica di trasformare le contrarietà in risorse” edito da Sonda.
È quasi un gioco di ruolo. Una
specie di risiko con tanto di armate e una strategia opportuna, tattiche mirate
alla conquista di spazi vitali. Una relazione implica sempre una
configurazione, una cornice territoriale, uno spazio nel quale esercitare
alcune doti peculiari che mirano alla conquista, alla supremazia, alla
vittoria. Le relazioni, private e pubbliche, politiche o meno mettono in gioco
questi elementi e limiti. Nelle relazioni private come in politica “ si scende
in campo “ con le proprie armate dialettiche allo scopo di procurarsi dei
vantaggi, di prendersi un pezzetto di territorio in più, di affermare il
proprio punto di vista. C'è sempre un'idea esplorativa che accompagna certi
esperimenti politici come comprimere, ad esempio, una o più persone o
moltitudini intere in spazi ristretti e vedere come si comportano. Se
sopportano le angustie dell'angolo nel quale sono costrette, se manifestano
nervosismo, rabbia o angoscia, o se si comportano come un gas compresso che
superato la soglia di compressione per
raggiungimento della temperatura critica, esplode. Nelle relazioni politiche
questo accade sempre, e quelle private si stanno politicizzando sempre di più,
non come negli anni settanta ma come nell'anno 2012, nel senso che il politico
diventa parametro di esclusione dell'altro in un gioco al massacro dove tutti
sono perdenti e solo la violenza resta in campo seduta su macerie fumanti con
un ghigno di vittoria. Il giocatore di risiko a questo punto si pone una
domanda.
Quanti sono i conflitti che siamo
in grado di gestire?
Mi viene da dire: neanche uno,
estremizzando un po'. Ma se è vero, ed è vero in massima parte, che si prediligono le scorciatoie alle analisi,
allora è la violenza e non la gestione delle criticità ad avere la meglio.
Ancora una volta è la mitologia a indicarci uno spunto riflessivo. Attaverso lo
strumento ottico del mito evidenziamo quello che sapevamo ma non conoscevamo, e
cioè che il conflitto è ineliminabile, che amore e guerra convivono da separati
in casa in un corpo, che ha dei genitori Venere e Marte, e questo corpo si
chiama Armònia, ma che è la violenza a imporci i suoi guasti. Tra conflitto e
violenza c'è una guerra di mezzo. Volendo semplificare: da una parte ci sono i
libri e la cultura dell'inclusione dove tutto rientra nella sfera del parlare e
della soluzione tramite la parola, e dall'altra ci sono le armi che sono
l'amplificazione del mutismo dei sentimenti e protesi necessaria alla
violenza. Per questo è utile un libro di
“ lettura “che inquadra i problemi relazionali offrendo la possibilità di
uscire dal cul de sac della violenza.
È questa un'offerta coraggiosa e,
come grammatica del sentire l'altro, appare di questi tempi rivoluzionaria
anche se ripresa da contingenze pregresse. Si lotta contro il pregiudizio per
arrivare alla formulazione di un giudizio equilibrato, non ideologico,e anche
se l'orgoglio spesso impedisce di ri-trovare una composizione armonica tra le
persone, la possibilità che il tempo ricomponga i malintesi sono forti, e
un'offesa, comunque perde forza fuori dal contesto temporale che l'ha prodotta.
È inclusa in questo libro, una grammatica del sentire corretta da un'arte
antica, quella dell'ascolto che porta a un'impostazione organizzativa delle
relazioni umane che non nasconde le due prerogative più importanti per le
relazioni umane, vale a dire: la comprensione dei problemi altrui e il buon
senso nel gestirli. Questo, a me pare, suggerisca la buona via della
trasformazione di sé attraverso gli errori e gli orrori della nostra vita.
di Ivano Nanni
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