Ancora una splendida serata a Caffè Letterario in compagnia
dello scrittore veneziano Andrea Molesini e del suo romanzo “Non tutti i
bastardi sono di Vienna” edito da Sellerio nel 2010. Romanzo splendido, affresco
di un periodo, quello degli ultimi anni della Prima Guerra Mondiale
ingiustamente trascurati sui banchi di scuola. Sicuramente uno dei romanzi
storici più belli degli ultimi dieci anni: un capolavoro di stile, contenuto e
cultura. Straconsigliato!
Autunno 1917, Caporetto. Gli austriaci arrivano al Piave. Villa Spada, a pochi
chilometri dal fiume, viene requisita e diventa un comando nemico. La famiglia
Spada si scopre, d’improvviso, prigioniera in casa propria. La storia è
raccontata in prima persona da Paolo, un diciassettenne che nell’ultimo anno
della Grande Guerra conosce per la prima volta l’amore, la gelosia, la
vendetta, e capisce che vincitori e vinti sono lo stesso impasto di eros e di
polvere, avviliti dalla stessa tragedia che travolge nazioni e famiglie, e
mette a soqquadro ogni ordine conosciuto. «A generali cretini seguiranno
caporali cretini», profetizza il nonno. Così il ragazzo si fa uomo, mentre
l’Italia sconfitta prepara la riscossa.
Personaggi vigorosi calcano la scena. C’è una nonna matematica, che oppone al
nemico la muraglia del proprio garbato disprezzo. Un nonno che si finge
scrittore per scansare le grane e sfida il mondo con sentenze al vetriolo. Una
zia malinconica e ardente – di lei s’invaghisce il comandante nemico – che
regge le sorti della casa con astuzia e prudenza. C’è il segreto custodito dal
guardiano Renato, zoppo ma fiero: «Dalle mie parti sgozziamo il cinghiale, non
il porco, e i falchi per noi sono polli». C’è Teresa, una cuoca coriacea che in
quell’anno di carestia trasforma un ratto in un arrosto di coniglio, e sua
figlia Loretta, graziosa ma di poco cervello, che per gelosia combinerà un
guaio terribile. E poi c’è Giulia, una giovane ricca, rossa, sfacciata, che fa
innamorare al primo sguardo, protagonista di uno scandalo di cui tutto si sa e
niente si dice. C’è don Lorenzo, un prete sanguigno che castiga il mondo con lo
spiffero fetido del suo alito e un bizzarro, talvolta involontario, umorismo. E
infine il barone von Feilitzsch, l’invasore, che presto si rende conto che i
vincitori di Caporetto perderanno la guerra, la patria, tutto: la sua tristezza
si fa via via più devastante, come quella degli italiani soggiogati. Vivere in
una casa invasa. Come non pensare che questa sia la metafora della nostra
condizione di uomini occidentali all’alba del terzo millennio? Ci sentiamo
tutti costretti in un ruolo che non ci appartiene, deciso da altri, chissà
quando, chissà come. Nessuno interpreta la parte che vorrebbe recitare. Il
ruolo di “ospite in casa propria” è quello di ciascuno di noi, ora, qui.
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