Sull'incontro
di venerdì 22 febbraio con Mirella Serri e il suo libro “Sorvegliati speciali. Gli intellettuali
spiati dai gendarmi (1945- 1980)”, edito da Longanesi.
Subito dopo la fine dell'ultimo
conflitto mondiale mentre in tutta
Europa non è ancora iniziata la ricostruzione, l'Unione Sovietica a Berlino,
sull'Unter den Linden, inaugura nel 1947 con grande sfarzo la casa della Cultura.
È una grande mossa strategica e scintillante di prospettive. Gli osservatori
occidentali ne restano ammirati e sorpresi, considerato il momento. In Europa
mancava tutto. La gente pativa le indicibili sofferenze postbelliche. Non c'era
il carbone per riscaldarsi, il cibo non si trovava, le case erano distrutte,
ovunque macerie e strade impraticabili. La gente languiva sotto miseri ripari e
sopravviveva come poteva. In questo contesto catastrofico il gioco di persuasione culturale comunista
in territorio “straniero" inizia a prendere corpo.
Nelle mire di Zdanov e del Piccolo
Padre, il centro deve diventare la testa di ponte culturale con cui persuadere
gli occidentali che il comunismo è la
via maestra per il progresso in ogni campo della vita.
Tre anni prima, nel 1944, Togliatti
torna in Italia e inizia ad organizzare il partito come una grande e ben oliata
macchina di persuasione culturale. L'intento del capo del partito è quello di
muovere contro la borghesia come se il partito fosse un'unica forza propulsiva.
Da quel momento il partito diventa un gigantesco blocco monolitico che pensa
come una mente unica e agisce come un corpo solo, forte della assoluta certezza
dei propri principi e ben sostenuto dai concetti che determineranno l'egemonia
culturale comunista. L'assalto alle cosidette “casematte borghesi” deve
avvenire sul fronte di una pervasiva ed edificante costruzione culturale che
investe ogni campo della cultura: dal
cinema alla letteratura, dal teatro alla pittura, alla filosofia, alle scienze.
Sono numerosi gli intellettuali, professori emeriti, filosofi, critici
letterari, artisti, uomini di teatro, scienziati che sono letteralmente
reclutati nelle file dei comunisti per diffonderne il progetto.
L'adesione al comunismo di
moltissimi intellettuali, complica il quadro politico e insospettisce le
questure che iniziano un lavoro certosino di ascolto. Occhi e orecchie
polizieschi si moltiplicano e origliano indisturbati per anni ogni discorso.
Ogni fremito rivoluzionario, ogni palpito sovversivo che si alzava da ogni
convegno culturale indetto dai comunisti veniva puntigliosamente trascritto.
Gli zero zero sette nostrani presenziavano alle più importanti inaugurazioni
artistiche, agli spettacoli teatrali più dissacratori, alle premiazioni cinematografiche
facendosi all'occasione non solo cronisti ma anche critici sottolineando con
una certa brutalità e una punta di umorismo le kermesse artistiche, come quando
bollano di “ barbarie dell'arte “ un'
importante mostra di pittura, (giudicata dai questurini, orribile e
inqualificabile), che aveva come tema
“l'arte contro la barbarie”.
Il libro Di Mirella Serri “Sorvegliati
speciali. Gli intellettuali spiati dai gendarmi (1945- 1980)”, racconta con
ricchezza di informazioni come in questi anni si combatte a tutto campo una
lotta per la supremazia politica e culturale mettendo in evidenza diversità,
contraddizioni, paradossi, meschinità, indulgenze plenarie, disegni palesi e
occulti di disgregazione sociale della politica e della cultura italiana, il
tutto con la benedizione più o meno velata dei capi politici.
Si apprende che l' offensiva
scelbiana contro la cultura comunista era organizzata dagli stessi personaggi
che durante il fascismo comandavano i servizi di informazioni in quanto nelle fasi
convulse del dopoguerra senza che avvenisse nessuna epurazione, questi
funzionari erano rimasti ancorati alle loro poltrone. Avevano semplicemente
sostituito il ritratto del Duce con quello del Presidente della Repubblica e
cambiato la camicia che ora era di un bianco immacolato. Il caso di Guido Leto
è emblematico. Capo dei servizi di informazioni durante il fascismo e nella
Repubblica Sociale, non cambiò funzione, mantenne il suo ruolo ringraziando
pure Togliatti e Nenni che volevano mettere mano ai registri della polizia
politica fascista. In un simile clima di “ pacificazione” si può capire come
sia stato facile indulgere su tutti gli intellettuali che prima erano con il
regime ed ora non lo erano più. Traslare da un dominio a un altro non era e non doveva essere un problema.
La censura democristiana, con a capo
l'intramontabile e faustiano Andreotti, metteva le ganasce alla ruota della
cultura italiana ne ostacolava le libere espressioni e quando poteva bloccava
eventi e spettacoli. Si comprende perciò quanto
per un artista, uno scrittore, un teatrante, fosse allettante entrare da
una porta spalancata in una casa che offre riparo e privilegi, e Anna Maria
Ortese, dice con disincanto fatale che, il comunismo rappresentava “il
liberalismo d'emergenza” un porto sicuro dove iniziare una nuova vita
culturale. Per molti anni tuttavia, questo approdo fu tutt'altro che quieto.
Non c'era spazio per la critica.
Ben poche furono le voci del
dissenso. Molti furono quelli che non osarono mai contestare le parole d'ordine
del partito e non criticarono mai decisioni o fatti che poi si rivelarono
incontestabili. Si pagò un prezzo alto per avere avuto accesso a una nuova
stagione espressiva, si barattò la dignità politica con ragioni di
opportunismo, lo stesso che molti intellettuali comunisti riconobbero a se
stessi quando militavano sotto il Fascio.
L'eccessiva rigidità del partito,
l'ossessione del controllo pervasivo su ogni aspetto della vita dei militanti,
l'incubo di essere i migliori in un mondo di peggori che vogliono la
distruzione del Bene, la carenza di critica politica, insieme “alla ridotta
forza propulsiva della Rivoluzione d'Ottobre” (da una commento di Berlinguer), provocò
la stagione della diaspora. Una nuova migrazione che interessò non solo gli
intellettuali. Si presero le distanze dall'Unione Sovietica, si acuirono le
critiche ai dirigenti sovietici e alla loro politica nei paesi satelliti, i
capi comunisti italiani presero posizioni divergenti da Mosca, si isolarono e
per un po' salvarono il partito e la dignità politica, ma il processo di
disgregazione era iniziato e non si sarebbe più fermato.
di
Ivano Nanni
Nessun commento:
Posta un commento