Sull'incontro
di lunedì 11 novembre con lo scrittore Matteo Nucci che ha presentato il suo
saggio "Le lacrime degli eroi" edito da Einaudi.
La
Storia raramente produce eroi la Mitologia molti di più, forse perchè una delle
sue funzioni è quella di rendere migliori gli uomini mettendendoli davanti a
eventi impenetrabili e sublimi e
scuotendo la loro cautela e diffidenza innalzarli a una comprensione
superiore. Non sono certamente gli uomini a nascere eroi a parte i semidei e
gli dei che per natura sono portati a compiere grandi cose, gli uomini dal
canto loro non hanno in calendario il compimento di grandi imprese se non sono
costretti dalla necessità.
La
necessità è una divinità che non da scampo, mette gli uomini anche i più cauti
e timorosi, nella condizione di agire quasi sotto dettatura, chiude ogni
possibilità di fuga in avanti o indietro e ordina di fare qualcosa che
generalmente è molto pericoloso. La prima condizione di pianto perciò nasce dal
dubbio che prende ogni uomo chiamato a consumare una parte della sua esistenza
pensando che forse non vedrà più la sua famiglia e non svolgerà più le piccole
e care cose della sua vita ordinaria. Perché dovrei andare in guerra e
ammazzare altri uomini con il rischio di farmi ammazzare?
Domanda
legittima e piena di pathos bagnata di lacrime. La necessità di accondiscendere
a un simile diktat è la premessa all'atto eroico, vincere la paura, non
sottrarsi all'imposizione del dio che chiama, dimostrare la propria
disposizione a vivere una condizione di emergenza dalla quale la vita può
fuggire per sempre, una disposizione per la quale la porte dell'Ade possono
aprirsi è la precondizione che da quel momento in poi ogni azione sarà di una
necessaria violenza iniziata con la vittoria del dio sulla volontà del singolo.
Il punto di forza dell'eroe-uomo è il coraggio che scopre di avere in
condizioni eccezionali di emergenza e unicamente per togliersi da una
situazione che mette in pericolo la sua vita.
L'ispirazione
che il dio inietta nell'uomo per fargli compiere un' azione eroica consiste nel
metterlo davanti a un problema apparentemente insolubile, a una situazione in
cui la sua vita e il suo orgoglio sono minacciati di estinzione e il suo nome
perduto; in quel momento l'uomo ricaccia indietro le lacrime che sgorgano
copiose ma invisibili, e agisce per salvare la sua vita e imporsi come qualcuno che non cede al ricatto
di una parola ingiuriosa, a un'offesa sanguinosa e agendo per sé con un vigore
che non sapeva di avere, con cieco coraggio si potrebbe dire, consente anche la
realizzazione del Bene altrui, cioè compie un'azione così meritoria e vasta che
va oltre il suo disegno iniziale che era circoscritto alla propria salvezza.
Ulisse l'eroe per antonomasia, il più fulgido tra tutti gli eroi, protetto da
Atena, ispirato dalla dea in ogni sua
azione e portato per mano alla conclusione del suo viaggio con la vendetta
contro gli usurpatori della sua casa, come primo atto cercò di sottrarsi alla
guerra trovando “eroico” ammettere la sua vitalità dimostrando di essere un
uomo che ragiona e che con astuzia cerca di rimettere in gioco la sua volontà
contro un evento che lo supera per ampiezza e che impone una scelta certa che
non ammette.
Solo
il suo ruolo, la sua regale stoffa gli impone di seguire i suoi pari,
giiustamente mossi da altre motivazioni. Si tratta allora di cedere un tratto
di sovranità, togliere a se stessi
l'orgoglio della volontà e mettersi a disposizione di una causa che diventa il
punto massimo sul quale puntare tutta la dignità del proprio agire e proietta
il viaggio dell'eroe greco in una circostanza che non sfugge alla rovina o al
trionfo, ed è concluso nel momento in cui il cerchio della vita è della morte
si chiude nella polvere della battaglia oppure nell'attesa, in lacrime, di
tornare quando gli dei lo decideranno, a
casa.
di Ivano Nanni
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