Sull'incontro di venerdì 30 marzo gennaio con Pino Corrias e il suo libro "Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano".
Le situazioni sociali ed economiche dei primi anni sessanta che hanno suscitato le domande sulle quali Bianciardi ha sviluppato la sua critica ora sono diventate il nostro stile di vita. Se dagli anni sessanta in poi, anni del boom economico, c'è stato un progresso questo è avvenuto secondo una linea di deformazione che Bianciardi aveva intuito come produttiva di alterazioni sociali. Aveva intuito dove il permessivismo acritico verso un modello economico competitivo avrebbe condotto il Paese. La sua critica radicale è diretta contro il consumismo che Bianciardi rifiuta per difendere un' idea di progresso che diverge dalle regole del capitalismo.
Credo che Bianciardi avesse capito molto bene che il capitalismo non è solo un'affermazione tecnico-economica che crea mercato, ma si impone sulla gente come un Assoluto che stabilisce le regole per una competizione alla quale tutti partecipano, sia gli entusiasti che mirano al successo, sia quelli diffidenti e riluttanti che si chiamano fuori dal gioco; e questo avviene proprio per il carattere totalizzante e onnicomprensivo del capitalismo, che non solo regola prezzi e distribuzione delle merci, ma regola anche la “ produzione “ di relazioni umane e la distribuzione degli affetti secondo i turni di lavoro imposti dalla complessa macchina produttiva in tutte le sue diramazioni.
Bianciardi, aveva visto che il capitalismo è un sistema anarcoide che non ama le regole fisse, ma ovunque si trovi tende a stabilire un ordine suo basato sul mercato il cui pilastro costituzionale, seppure con varianti, è mors tua vita mea. Tutto questo per Bianciardi appare come un lento e inesorabile declino verso una perversione calcolata dei rapporti umani che svaniscono nella loro concreta umanità, mentre si fanno strada velocità, sregolatezza, invidie personali, degenerazione sociale; cioè quei contro-principi che solo adesso si sono imposti come autentici mostri che ci avvelenano la vita e sono parte integrante della politica. La politica è satura di questa degenerazione e chi legifera è portato a immettere nello spirito delle leggi, quasi inconsciamente, questi valori depressivi.
Si intuisce perciò come Bianciardi, da vero umanista, non nutrisse nessuna speranza nelle relazioni nate dalla competizione e da un orientamento subdolo del desiderio, e riflette sulla manipolazione dell'attività pubblicitaria.
Bianciardi molto acutamente rileva come la pubblicità ridifinisca i confini dei desideri della gente, e li orienti verso un consumo sempre più alto di beni superflui. La sua riflessione coglie in questa impostazione un pericolo intrinseco, cioè una pericolosa sterilizzazione della società che indotta solo a competere e a comprare acriticamente, tende a regolare le sue relazioni sociali e i suoi giudizi sulla base dell'avere sempre di più e ad escludere tutti quelli che si chiamano fuori dallo schema confinandoli ai margini della società come perdenti.
Bianciardi ha perfettamente chiaro ciò che è ingiusto e deprimente, e sente di appartenere in tutto e per tutto alla stirpe dei rivoluzionari che lottano per imporre nuovi valori nella società, e lo fa con i mezzi che gli sono propri.
È evidente che la vera rivoluzione avviene per uno scrittore nel suo terreno di gioco, Bianciardi aveva capito benissimo che per fare letteratura non era il caso di “farla” con la patente del letterato, ma nell'unico modo possibile per comunicare qualcosa ai lettori, scansando i pericoli della retorica e dell'autoreferenzialità, dando al racconto la forza della parola diretta.
Forse il sarcasmo e il cinismo che si respira nelle sue opere nascono da una realistica impotenza a gettare una bomba vera, ad esempio, facendo saltare la Montecatini per vendicare la morte di 43 minatori morti nel grossetano, vicenda che seguì con Cassola e sulla quale scrisse un libro; e probabilmente questa frustrazione immette nella sua scrittura quel sarcasmo esistenziale, che è l'equivalente di una bomba simbolica che fa saltare sulle poltrone borghesi e accademici.
Questa fuga continua in avanti senza specchi, senza concedere nulla alla vanità fanno di Bianciardi un illuminista moderno che crede nelle possibilità degli uomini di comprendere la realtà, e modificarla in positivo. Guardiamo allora al progetto del Bibliobus, la biblioteca ambulante che portava i libri tra i contadini, e che spesso non venivano restituiti. C'era questa utopia del far crescere nelle case dei più umili il sapere, che è coscienza del proprio stato, la base per ogni progresso futuro. Questo sapere che entrava nelle case dei più poveri, era davvero un progetto rivoluzionario, pionieristico che collocava Bianciardi, in cima alla catena culturale di quei tempi. Tuttavia fu un'utopia che non servì ad allontanare il pericolo di una trasformazione culturale e antropologica in atto, un orrore che lui e pochi altri avevano visto molto bene prendere forma in quegli anni, e che con amarezza vide propagarsi senza limiti.
di Ivano Nanni
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