Sull'incontro di venerdì 30 marzo gennaio con Pino Corrias e il suo libro "Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano". In risposta al commento di Ivano Nanni.
Come direbbe Bianciardi: mi oppongo. Mi pare che una condanna così dura, assoluta e senza attenuanti del capitalismo sia ingiusta e per certi versi immotivata. Leggendo le tue parole, quando parli di “degenerazione sociale, invidia, orrore antropologico e culturale” prodotte dal libero mercato e dal “carattere totalizzante e omnicomprensivo del capitalismo”, mi fai venire in mente le parole con cui, le varie nomenclature dei paesi anticapitalisti, proprio negli stessi anni in cui viveva Bianciardi, descrivevano il “malato” mondo occidentale e intanto dovevano costruire dei muri per evitare che i loro cittadini corressero in massa verso quell’orrore. Beh, teniamocelo stretto questo capitalismo; regoliamolo meglio, correggiamolo, mettiamo dei paletti, ma teniamocelo, per favore. Anche perché mi pare che capitalismo e libero mercato siano legati in modo stretto all’idea di democrazia. Sì, è vero, non tutti i paesi capitalisti sono retti da istituzioni democratiche, ma è vero però il contrario, che, almeno fino ad ora e fino a prova contraria, in tutti i paesi dove esiste una democrazia parlamentare rappresentativa il modello economico sia solo quello capitalista e del libero mercato. Detto ciò, lungi da me il vedere nella democrazia parlamentare il “migliore dei mondi possibili”, specialmente avendo sott’occhio quello che produce quella del nostro paese, ma al momento non mi pare di scorgere all’orizzonte qualcosa di migliore o di più desiderabile. Nel momenti di crisi poi in cui viviamo, mi sembra che la maggior preoccupazione di tutti quanti, non sia tanto quella di trovare nuove regole di convivenza civile (quelle vecchie, vedi la nostra Costituzione repubblicana, andrebbero benissimo, se ognuno di noi le sentisse veramente come proprie) o di rivoluzione del sistema economico imperante, quanto quella di conservare tutti quei benefici e privilegi che proprio il malfamato sistema capitalistico ha contribuito in maniera decisiva a creare.
Riguardo poi a Bianciardi e alla bella biografia che ha scritto di lui Pino Corrias, faccio proprio fatica a considerarlo come tu dici “un illuminista moderno che crede nelle possibilità degli uomini di comprendere la realtà e modificarla in positivo”. Nelle sue parole trovo al contrario radicato un sano disincanto sulle “magnifiche sorti e progressive” dell’umanità. La feroce ironia con cui trattava l’ideologia carrierista, opportunista e maneggiona del cosiddetto miracolo economico italiano degli anni sessanta e allo stesso modo l’ottusità fanatica di quelli che lui chiamava “i preti rossi”, me lo fa essere più vicino al pensiero di Giacomo Leopardi (uno dei suoi autori più amati) quando scriveva nella Palinodia al Marchese Gino Capponi “Divin consiglio ritrovàr gli eccelsi / Spirti del secol mio: che, non potendo / Felice in terra far persona alcuna, / L’uomo obbliando, a ricercar si diero / Una comun felicitade; e quella / Trovata agevolmente, essi di molti /Tristi e miseri tutti, un popol fanno / Lieto e felice: e tal portento, ancora / Da pamphlets, da riviste e da gazzette / Non dichiarato, il civil gregge ammira”. E guarda caso, uno dei primi estimatori di Bianciardi e de “La vita agra”, il suo romanzo più famoso, e che contribuì non poco al suo successo, fu Indro Montanelli, che appena uscito il libro scrisse sulla terza pagina del Corriere della Sera “La vita agra è uno dei libri più vivi, più stupefacenti, più pittoreschi che abbia letto in questi anni.” Indro Montanelli. Non proprio un campione dell’anticapitalismo.
di Claudio Nostri
di Claudio Nostri
Luciano Bianciardi |
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