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domenica 15 aprile 2012

"L'audace colpo del solito ignoto" di Ivano Nanni

Sull'incontro di venerdì 13 aprile con Massimo Pulini e il suo libro "Gli inestimabili".

Quando si è scoperto chi era stato a rubare i quadri di inestimabile valore dal Palazzo Ducale di Urbino tutti sono rimasti allibiti. Si sospettava una banda di super esperti ladri di opere su commissione, si diceva che dietro c'era la mafia che voleva ricattare lo Stato, altri pensavano ai terroristi: nel 1975, anni di sequestri e di terrore pensare a ipotesi simili era la via maestra, la stampa internazionale fece dei titoloni. Nessuno si aspettava che un ladro romantico e solitario potesse progettare ed eseguire un lavoro semplicemente assurdo. Impensabile per tutti ma non per lui: per Elio Pazzaglia, detto Paz come pazzariello, pesarese di nascita, detto “il romagnolo"  biscazziere, giocatore da bar, ladro per amore e per scommessa, la cosa era fattibile.
A entrare nel mirino di Pazzaglia furono un Raffaello e due Piero della Francesca, tre capolavori assoluti. Alla fidanzata erano piaciuti e lui li aveva rubati perché erano piaciuti anche a lui in fondo, in quei quadri c'era qualcosa che lo rasserenava: “Peccato che quel quadro lungo (la città ideale di Laurana), non entrava in macchina altrimenti avrei preso anche quello, mi dava serenità a guardarlo“. Parole magiche.
Di fronte alla bellezza anche il ladro per vocazione Pazzaglia resta sedotto dalla pace che gli infondono quei quadri, e capisce bene che quello che ha appena compiuto è un piccolo capolavoro di intelligenza e di audacia. Non era il solito furto di copertoni, la solita roba piccola, con questi si poteva realizzare un bel gruzzolo. Dopo il furto i quadri li aveva portati al bar e messi sulla lastra di vetro del flipper per farli vedere a tutti quelli che non ci credevano, eppure erano lì, e lui voleva i soldi per poter giocare. Le mille luci intermittenti del flipper illuminavano la Flagellazione di Cristo mentre la gente lì accanto fumava, beveva e bestemmiava per le carte che non giravano; un direttore di museo sarebbe morto d'infarto a vedere la Muta di Raffaello in una sportina della coop, e la Madonna di Senigallia avvolta in un cartone legato con lo spago. Poi Pazzaglia perde al gioco la somma che aveva ricavato impegnando i quadri. Perciò i capolavori da museo passano di mano in mano e si inabissano in quel mondo sotterraneo, catacombale, popolato da mercanti d'arte senza scrupoli, da mediatori truffaldini, da collezionisti predatori e antiquari imbroglioni, che non esitano a commissionare squartamenti di opere, ritagli e mutilazioni di grandi quadri, decapitazioni di putti, pur di soddisfare un mercato corrotto, una fantasia di onnipotenza, il desiderio di avere solo per sé il capolavoro.
In questa audace impresa con lieto fine come si conviene alle commedie, i quadri rientrano al museo, il simpatico Pazzaglia si prende una pena modesta e gli altri del giro ancora meno, vale a dire che si conclude all'italiana; la commedia finisce un po' come quei ladri modestissimi che fanno il buco sbagliato e invece del forziere trovano una cucina e da morti di fame quali sono si fanno una fagiolata tanto per rimettersi in forza dopo una nottata di lavoro. “ I soliti ignoti “.  Si dice che solo l'Italia, deficitaria sul piano politico e sociale può produrre soggetti anarcoidi geniali, capaci di imprese iperboliche strambe e rigorosamente illecite, personaggi veri che il cinema non può che rendere appena verosimili sullo schermo, ma forse è vero  quello che disse una volta il grande Orson Welles a proposito degl'italiani:
“Tutti gli italiani sono degli attori e i peggiori stanno sul palcoscenico”. E Pazzaglia è stato un grande attore.
di Ivano Nanni

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